Fra gli organismi eucarioti, categoria alla quale l’uomo appartiene, è schiacciante la prevalenza della riproduzione sessuata rispetto a quella non sessuata. Ciò suggerisce la presenza di un vantaggio evolutivo. Ma il sesso è associato anche a importanti costi per le specie: in che modo e perché abbiamo raggiunto l’attuale equilibrio, allora?
Ne parliamo con la professoressa Chiara Tonelli, docente di genetica presso l’Università degli studi di Milano e presidente del comitato scientifico di Fondazione Veronesi.
Sappiamo che il sesso esiste da almeno due miliardi di anni e che il 99,9% degli organismi eucarioti si riproduce sessualmente. In cosa consiste il vantaggio evolutivo di questa modalità?
Il sesso può essere visto come un processo che fonde il materiale genetico di due individui in un singolo individuo. Alla base di questa definizione è quindi presente lo scambio di materiale genetico, fenomeno che viene osservato nel ciclo sessuale di tutti gli eucarioti. Da un punto di vista evolutivo, e quindi anche della selezione naturale, il successo è determinato dalla capacità di un singolo soggetto di trasmettere i propri geni alle generazioni future.
Il successo coincide dunque con la maggior fitness, intesa non solo come abilità nell’adattamento ma in generale come la capacità di produrre il maggior numero di figli a loro volta fertili.
In questo quadro, i viventi hanno la possibilità di attuare diversi meccanismi di riproduzione. Esistono, ad esempio, organismi asessuati che si autoriproducono.
Le femmine di alcune specie producono uova che non richiedono la fecondazione da parte del maschio. Altre specie si riproducono per gemmazione. Poi vi sono organismi, come la stella marina, che si riproducono per partizione: dal corpo dell’individuo si stacca una porzione che dà origine a un nuovo essere.
Rispetto ai meccanismi finora citati, la riproduzione sessuale ha una serie di costi che potrebbero renderla inefficiente. Il primo costo è rappresentato dal fatto che la popolazione che si riproduce non è tutta quella esistente, ma solo quella femminile. In secondo luogo, esiste la possibilità che non tutte le femmine riescano a trovare un maschio per riprodursi.
A questo proposito, vale la pena richiamare il concetto di ermafroditismo, caratteristica di individui che hanno sviluppato sia gli organi riproduttivi maschili che femminili e si riproducono autofecondandosi. Oltre a questo meccanismo, un organismo ermafrodita può incrociarsi con un altro ermafrodita: si stabilirà dunque un contatto fra la parte femminile del primo e quella maschile del secondo e fra la parte maschile del primo e quella femminile del secondo. Questo è un sistema che consente di massimizzare le possibilità di incontrare un altro individuo della stessa specie con cui riprodursi.
I costi associati alla riproduzione sessuale sono evidenti anche in alcuni animali, come il pavone o altri volatili dotati di un piumaggio variopinto che li rende più attrattivi agli occhi delle femmine. Oltre all’attrattività, questa caratteristica rende tali uccelli più riconoscibili anche da parte dei predatori, aumentando la probabilità che siano catturati e uccisi.
Tutto ciò spiega perché il sesso può essere inefficiente e costoso, ma in esso è possibile trovare tracce degli importanti vantaggi evolutivi a esso correlati. Il primo beneficio consiste nella combinazione di due genomi provenienti da due genitori differenti, che consente la complementazione genica. Se nel patrimonio genetico di un genitore è presente un gene deleterio, l’incrocio con un individuo sano ne permette la compensazione.
In secondo luogo, il sesso consente la messa a fattore comune di caratteristiche che offrono maggiore capacità di adattamento all’ambiente circostante. E la ricombinazione dei genomi permette la propagazione delle mutazioni favorevoli, con ricadute positive in termini di vantaggio adattativo.
Tutto ciò è stato dimostrato con un esperimento condotto su un nematode, il Caenorhabditis elegans, un sistema che viene utilizzato come modello in laboratorio. I ricercatori hanno isolato elementi che si riproducevano sessualmente ed elementi in grado di autofecondarsi e li hanno infettati con la Serratia marcescens, un patogeno Gram-negativo.
Dopo alcune generazioni, si è osservato che le popolazioni autofecondanti sono giunte rapidamente all’estinzione, al contrario di quelle con riproduzione sessuata, rimaste stabili malgrado la presenza del parassita. Il rimescolamento dei geni associato alla riproduzione sessuata ha consentito un vantaggio adattativo che ha permesso la sopravvivenza della specie. Questa è la ragione per cui da oltre due miliardi di anni il sesso si conferma elemento evolutivo di successo.
Si parla della cosiddetta ipotesi “Red Queen” per spiegare l’evoluzione dei sessi: di cosa si tratta?
Il nome deriva da un personaggio di “Alice nel Paese delle Meraviglie”, la Regina Rossa, che nel romanzo invita a correre per rimanere sempre nello stesso posto, ossia metaforicamente per sopravvivere. Per non estinguersi in presenza di competitori o parassiti, a loro volta in grado di evolvere, è necessario continuare a evolvere: è la stessa conclusione cui si è arrivati con l’esperimento su C. elegans. Questo fenomeno viene spiegato con la coevoluzione della specie, un fenomeno in base al quale l’adattamento di una specie è influenzato dall’evoluzione di altre.
Possiamo capire meglio cosa sia la coevoluzione delle specie con un esempio. Immaginiamo che l’evoluzione abbia favorito la nascita di volpi che corrono più velocemente dei loro genitori e capaci quindi di cacciare i conigli con maggiore efficienza. Fra i conigli sopravvivranno di conseguenza gli esemplari in grado di scappare più rapidamente. Questo è un esempio di come l’evoluzione di una specie sia in grado di selezionare gli esemplari migliori anche in un’altra specie.
L’ipotesi della Regina Rossa risale al 1973 ed è stata impiegata per spiegare la coevoluzione fra ospite e parassita: per non estinguersi, una specie deve continuare a evolvere, mutare. Una condizione, questa, più facilmente realizzabile negli individui a riproduzione sessuata.
In questo contesto, cosa avvantaggia i batteri, organismi dalla capacità di adattamento così spiccata?
I batteri sono caratterizzati da un genoma molto semplice, composto da molti meno geni rispetto agli organismi eucarioti: in essi una mutazione porta a un risultato in tempi molto più brevi. Inoltre, essi si riproducono mediante un meccanismo che potremmo definire “sessuale”, attraverso il processo della coniugazione.
Il genoma batterico è formato da un grosso cromosoma e da un determinato numero di plasmidi, in grado di ricombinare con il cromosoma principale. I plasmidi possono essere scambiati con altri batteri.
Attraverso il meccanismo della coniugazione, inoltre, il batterio può copiare e trasmettere una porzione del proprio cromosoma ad altri batteri: questo spiega la facilità con cui la resistenza a un certo antibiotico può diffondersi molto rapidamente in una popolazione batterica.
I meccanismi che determinano il sesso nella progenie sono analoghi fra le diverse specie di organismi viventi?
Gli organismi eucarioti possiedono geni che determinano il sesso. Ma il sesso può anche essere determinato da fattori ambientali che agiscono secondo diversi meccanismi. Uno di questi fattori è costituito dalla temperatura: ad esempio quella a cui vengono incubate le uova dei rettili è in grado di determinare la percentuale di femmine e di maschi nei piccoli. Un altro fattore è rappresentato dall’alimentazione.
La femmina fecondata del cervo che non è in grado di alimentarsi a sufficienza abortisce selettivamente gli embrioni maschi. Cuccioli maschi di cervo nati sottopeso e denutriti non saranno mai competitivi con i maschi più robusti in termini riproduttivi. Cuccioli femmina di dimensioni limitate, invece, potranno comunque incrociarsi con maschi robusti e riprodursi.
Prendiamo ora in considerazione la componente genetica della determinazione del sesso. Essa è basata sull’esistenza delle due tipologie di cromosomi, X e Y. In alcuni mammiferi, il sesso che porta la coppia di elementi XX è quello femminile, mentre l’XY è quello maschile. In alcuni rettili, uccelli, insetti e piante si verifica l’opposto.
Nell’uomo, lo sviluppo dell’embrione è per default verso il sesso femminile, a meno che non venga trascritto un gene (definito SRY) localizzato sul cromosoma Y responsabile dell’attivazione di una serie di geni a valle che bloccano il differenziamento in senso femminile e attivano quello in senso maschile. Il gene SRY è stato ritrovato, con sequenza molto simile anche se non identica, nelle alghe brune.
È questa la ragione per cui le alghe brune sono un modello interessante per studiare le origini e l’evoluzione del meccanismo di determinazione dei sessi?
In primo luogo, è importante ricordare che le alghe hanno riproduzione sessuata: esistono alghe di sesso femminile e alghe di sesso maschile. Un recente progetto di ricerca europeo si è concentrato sulle alghe proprio al fine di studiare i meccanismi di determinazione del sesso. Nel corso della ricerca si è osservata in questi organismi la presenza di un gene caratterizzato da importanti analogie con il SRY.
Le alghe sono interessanti da questo punto di vista. Il loro sviluppo sessuale è indipendente da quello degli animali, dai quali si sono distanziate epoche prima. Tuttavia, seguono un meccanismo di riproduzione sessuale molto simile a quello dei mammiferi.
Questo suggerisce che la natura possa avere limitato la scelta verso alcuni tipi di processi biologici. Ciò che succede è che nel corso dell’evoluzione emergono processi biologici nuovi, alcuni dei quali hanno grosso successo, mentre altri no e per questo vengono eliminati. Quello del sesso deve essersi presentato più volte, finendo con l’essere selezionato da più specie perché correlato al vantaggio maggiore.
Sappiamo anche che la riproduzione sessuale non comporta un’estensione del genoma: attraverso gli studi sulle alghe la comunità scientifica ha dimostrato che è sufficiente la presenza di pochi geni per avviare un processo di questo tipo.