Nella lotta all’AMR vince la guerra

Oltre ai morti, le guerre generano gravi conseguenze sanitarie, come la resistenza antimicrobica, amplificata dalla scarsità di farmaci e dalla cattiva gestione sanitaria.

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The abstract visualization of the fight against antibiotic resistance depicted as a chess game with microbes and medicines as players

Dal 1945, mai tante guerre come oggi. La tragedia che oggi si sta consumando nella Striscia di Gaza si aggiunge a una lista di 59 conflitti già mappati dall’Onu al 21 settembre – data dell’ultima Giornata internazionale della pace: secondo i dati delle Nazioni Unite nessun continente è risparmiato da scontri armati e nel 2022 due miliardi di persone vivevano in aree di guerra.

Oltre ai morti e i feriti causati da bombardamenti e attacchi armati, le guerre generano conseguenze sanitarie molto più ampie derivanti dall’inagibilità delle strutture ospedaliere e di cura, dall’indisponibilità di personale, dalle precarie condizioni igienico-sanitarie, dalla mancanza di acqua e cibo, dalla carenza o assenza di farmaci. Tra gli altri allarmi lanciati da Medici senza frontiere – anche rispetto all’attuale situazione a Gaza – vi sono quelli relativi alla scarsità di farmaci, che causa elevati tassi di infezione tra i feriti, e all’utilizzo inappropriato di antibiotici a largo spettro, con un conseguente aumento del rischio di resistenza antimicrobica (AMR). Secondo i dati  dell’Associazione, ad esempio, oltre il 60% dei pazienti ricoverati nell’ospedale di Aden, in Yemen, ha sviluppato una resistenza agli antibiotici.

“Alcuni pazienti – si legge in un comunicato – necessitano di isolamento immediato per evitare la diffusione di batteri che ancora non hanno un trattamento antibiotico”. Condizioni che difficilmente si possono realizzare in zone massacrate dalla guerra.

Come è noto, l’AMR è un’emergenza globale che causa, nel solo SEE (spazio economico europeo), oltre 35.000 morti all’anno – di cui, tra l’altro, un terzo in Italia – e che non sembra volersi arrestare: i dati pubblicati alla vigilia della Settimana mondiale di sensibilizzazione sulla resistenza antimicrobica 2023 dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc) mostrano che, dopo una riduzione del 2,5% tra il 2019 e il 2022, l’uso complessivo di antibiotici in Europa è nuovamente aumentato nel 2022 (l’obiettivo fissato dal Consiglio europeo prevede di ridurre l’uso di antimicrobici del 20% entro il 2030). La ripresa del consumo è stata attribuita al fatto che molti europei hanno ripreso lo stile di vita precedente alla pandemia di Covid-19, ma lo scenario di guerra che si è delineato in Ucraina potrebbe aver contribuito a tale fenomeno?

Al World health summit dell’ottobre dello scorso anno, Laura Jung, clinica e ricercatrice sulla resistenza agli antibiotici presso il Centro medico dell’Università di Lipsia, in Germania, testimoniava che “le infezioni più resistenti che stiamo vedendo in ospedale hanno colpito persone provenienti dall’Ucraina ferite in battaglia, curate negli ospedali da campo e poi arrivate in Germania o nell’Europa centrale”.

Le guerre creano indubbiamente le condizioni affinché le infezioni meno rispondenti ai farmaci si diffondano, dalle aree coinvolte nel conflitto, in tutto il mondo. Le testimonianze scientifiche che collegano le ferite di guerra con la resistenza antimicrobica hanno iniziato a essere raccolte negli ultimi vent’anni ma un ruolo essenziale nello sviluppo dell’antimicrobicoresistenza lo ebbe già la Seconda guerra mondiale, con la produzione su scala industriale e l’utilizzo massiccio di arsenicali, sulfamidici e disinfettanti QAC (composti di ammonio quaternario usati per la pulizia e la disinfezione), nonché con l’introduzione di massa della penicillina come profilassi e nel trattamento dei soldati.

Nel 2009 sono state pubblicate su Militar Medicine le evidenze che le vittime statunitensi dei combattimenti in Iraq e Afghanistan sviluppavano infezioni da batteri multiresistenti (MDR) a seguito di ferite riportate nelle operazioni Iraqi Freedom (OIF) ed Enduring freedom (OEF). Nonostante le procedure aggressive di controllo delle infezioni all’interno delle strutture di ricovero delle vittime, si registrava una continua trasmissione nosocomiale e una crescente resistenza antimicrobica per alcuni agenti patogeni.

Sono sempre fonti della medicina militare statunitense a fornire le maggiori informazioni relative alla resistenza antimicrobica sviluppatasi a partire dagli anni ’80 in Iraq: nonostante la ritrosia delle istituzioni irachene a fornire dati in merito, uno studio di un team internazionale pubblicato nel 2022 sul British medical journal global health ha dimostrato come guerra e conflitti siano fattori determinanti per l’intensificarsi della resistenza antimicrobica in Medio Oriente. I ricercatori hanno analizzato in particolare il ruolo che la contaminazione ambientale da metalli pesanti – il cui utilizzo nella costruzione di armi e proiettili è aumentato dalla fine del secondo conflitto mondiale – potrebbe svolgere nell’innescare la resistenza antimicrobica attraverso un meccanismo di “co-selezione”.

Tornando al conflitto in Ucraina, sebbene i dati sull’attuale conflitto non siano ancora disponibili, un articolo pubblicato su The Lancet Infectious Diseases nell’aprile di quest’anno a firma di Nicola Petrosillo, Eskild Petersen e Sergii Antoniak ricorda che gli studi condotti dal 2014 (anno di inizio del conflitto) al 2020 mostrano che l’incidenza di batteri multiresistenti in feriti di guerra ricoverati in ospedali militari ucraini è stata superiore a quella riscontrata in ospedali civili (sia ucraini che di altri Paesi europei). Dal 24 febbraio 2022, data dell’inizio dell’attacco armato su larga scala da parte della Federazione Russa, il numero di vittime, pur controverso, è indubbiamente molto elevato. Da marzo 2022 i Centri europei per il controllo delle malattie hanno avvertito che le persone con ferite traumatiche in Ucraina potrebbero avere batteri multiresistenti e hanno raccomandato isolamento preventivo e screening per evitare il trasporto di tali batteri insieme ai pazienti trasferiti dagli ospedali nelle zone di guerra. Gli autori concludono che le infezioni associate alla guerra e l’AMR avranno un impatto drammatico sulla salute delle persone all’interno e all’esterno del Paese, creando un vasto serbatoio di infezioni da batteri Gram-negativi mutliresistenti in Ucraina e in Russia, con il potenziale di ulteriore diffusione.

In un momento in cui i segnali di una progressiva estensione dei conflitti a livello globale sono sempre più evidenti, comprendere il legame tra AMR e guerre è uno degli elementi essenziali per arginare una delle molte conseguenze irreparabili che ogni guerra porta con sé e diffonde nel mondo intero.