DALLE AZIENDE
Chiesi è un gruppo internazionale con forte vocazione alla ricerca e spiccata determinazione allo sviluppo di soluzioni per i pazienti rari. Non poteva mancare, in questo quadro, il commitment verso l’ambiente, vissuto non solo come un obbligo dettato dalla normativa, ma come parte del ruolo sociale che l’azienda ha da sempre esercitato, nella sua città (Parma) e in tutti i Paesi in cui opera.
Con Cecilia Plicco, Head of Shared Value and Sustainability del Gruppo, ho discusso del report di sostenibilità recentemente presentato e approfondito (numeri alla mano) i diversi aspetti della questione, da quelli ormai decifrati nella loro chiave di lettura ai più complessi e ancora in via di definizione.
Il sustainability report di Chiesi da poco presentato indica che l’azienda ha investito il 23,8% del fatturato in ricerca e sviluppo: quali sono le aree su cui puntate?
Gli investimenti di Chiesi sono concentrati nelle nostre tre aree di business. La principale, anche in termini di revenue, è rappresentata dal Respiratorio (Air), un ambito nei confronti del quale il commitment è quello di continuare a investire. In particolare, sono due le patologie respiratorie che vedono la maggiore concentrazione di prodotti corporate: asma e broncopneumopatia cronica ostruttiva (Bpco), malattie che colpiscono milioni di persone al mondo e la cui incidenza è in continuo aumento. Le stime dicono che, per effetto congiunto del cambiamento climatico e del peggioramento della qualità dell’aria, l’incidenza di asma e Bpco è destinata ad aumentare ulteriormente. La nostra seconda area di business, in cui siamo storicamente presenti, è rappresentata da Care. Menziono la Neonatologia, nell’ambito della quale abbiamo sviluppato uno dei nostri prodotti storici, peraltro un farmaco salvavita: l’impegno è di continuare a investire in questa direzione. La nostra terza area di investimento è quella dedicata alle malattie rare (Rare): nel 2020 abbiamo istituito la business unit global rare diseases, che fornisce terapie e soluzioni innovative per le persone affette da malattie rare, da allora in crescita. Viviamo l’impegno di continuare a investire in soluzioni innovative che afferiscono a queste tre aree per incontrare i bisogni di cura dei pazienti.
Lo scorso anno avete conseguito la medaglia di platino nella valutazione di sostenibilità (secondo EcoVadis): come sta procedendo il percorso verso il traguardo del Net Zero e quali sono i suoi aspetti più critici?
Questa è una domanda interessante, che riguarda una delle milestone che abbiamo comunicato contestualmente al lancio del report di sostenibilità: la pubblicazione del Climate transition plan, il nostro piano di transizione climatica, che definisce la roadmap che ci permetterà di raggiungere il traguardo Net Zero. Chiesi ha fissato gli obiettivi Net Zero in allineamento con il framework Science based target initiative (SBTi), indicando il 2019 come baseline. Net Zero è un framework molto sfidante, perché obbliga le aziende a ridurre le emissioni di almeno il 90% rispetto alla baseline: il focus è quindi sulla riduzione delle emissioni, non ci sono altre scorciatoie. Abbiamo due tempistiche diverse: per gli scope 1 e 2, che – semplificando – riguardano le emissioni dirette e quelle indirette legate all’energia, l’impegno è raggiungere il Net Zero al 2030, mentre per le emissioni di scope 3 (indirette), al 2035. Proprio queste ultime dipendono dall’intera value chain e, pertanto, non essendo sotto lo stretto controllo dell’azienda, risultano più critiche. Abbiamo già raggiunto una riduzione del 39% per scope 1 e 2, per esempio agendo sui nostri processi produttivi e implementando sistemi che ci permettessero di ridurre le emissioni. Tali interventi sono già in essere in Paesi come l’Italia e la Francia, dove abbiamo due dei nostri siti produttivi. Stiamo agendo sulla flotta e stiamo procedendo anche sul fronte energetico, aumentando il consumo di elettricità ottenuta da fonti rinnovabili: queste sono azioni già in essere, che ci hanno permesso di raggiungere importanti risultati. Lo scope 3 è tuttavia il più complesso, non solo per Chiesi, ma per tante altre aziende. Ad oggi, le emissioni stanno aumentando in termini assoluti, perché sta crescendo l’azienda. Per Chiesi la principale fonti di emissioni di scope 3 riguarda l’utilizzo degli inalatori, usati per il trattamento di malattie respiratorie, da parte dei pazienti: su questo fronte nel 2019 abbiamo predisposto un piano, finanziato con un investimento di 350 milioni di euro, finalizzato alla sostituzione del propellente presente negli inalatori con un’alternativa a basso potenziale di riscaldamento globale. L’intervento permette al paziente di continuare a utilizzare l’inalatore, ma abbattendo del 90% le emissioni rispetto al dispositivo oggi in uso: si tratta di un’importante leva, che ci permetterà di fare un passo decisivo per il nostro Net Zero target del 2035.
E sul fronte della value chain?
Su questo fronte si dipana l’altra azione rilevante, in merito alla quale abbiamo avviato un percorso, in parte anche connesso a EcoVadis e dunque al rating cui lei prima accennava. EcoVadis ci permette di avere a disposizione dati primari riguardanti la nostra value chain: si tratta, quindi, di uno strumento che stiamo impiegando efficacemente e su cui stiamo ingaggiando i nostri fornitori, allo scopo di ottenere dati più affidabili e lavorare sinergicamente nell’ottica della riduzione delle emissioni. Quella delle iniziative congiunte con i fornitori rappresenta una delle aree su cui abbiamo in programma di investire maggiori sforzi, anche per l’individuazione di tutte le possibili leve su cui agire per raggiungere insieme i target di sostenibilità. Quello dell’interdipendenza costituisce per noi un concetto essenziale, su cui stiamo lavorando fin dal 2018, ancora prima, quindi, di annunciare quello che all’epoca era l’obiettivo di carbon neutrality, poi evoluto in Net Zero. In generale, ritengo che il percorso di sostenibilità, a maggior ragione quando in gioco ci sono obiettivi ambientali, richieda un approccio sistemico. Per questa ragione, abbiamo fin da subito iniziato a lavorare fianco a fianco con i nostri fornitori e partner commerciali, tanto da arrivare a definire con essi nel 2019 un codice di condotta, che abbiamo chiamato “Codice di interdipendenza”, il quale sta evolvendo insieme all’azienda. Più recentemente, nel 2021, abbiamo adottato la piattaforma EcoVadis, che ci permette, oltre a ottenere dati primari, di verificare determinati parametri di sostenibilità, quali etica, approccio ambientale, rispetto dei diritti umani. L’ultimo punto, che offre ad oggi un contributo limitato alla riduzione delle emissioni rispetto ad altre categorie ma verso cui abbiamo deciso di destinare maggiori sforzi in futuro, è il tema dei viaggi di lavoro. Si tratta di un aspetto più nostro, interno all’azienda e improntato alla sensibilizzazione dei dipendenti.
Poco fa accennava all’impatto ambientale dei propellenti contenuti negli inalatori: per quanto riguarda, invece, lo smaltimento del packaging qual è la situazione?
Anche questo rappresenta un punto di grande interesse su cui Chiesi sta lavorando. La nostra filiale commerciale italiana ha avviato un progetto pilota in Friuli Venezia-Giulia, che risponde all’esigenza di un approccio sistemico e che, in questa prospettiva, coinvolge anche il paziente e il farmacista e, più in generale, l’intero sistema. Gli anni scorsi abbiamo anche lanciato iniziative pilota nel Regno Unito e in Francia, con modalità diverse, in linea con le differenti discipline in materia di smaltimento dei rifiuti. In quest’ottica stiamo definendo casi studio che trasferiamo internamente agli altri Paesi, in modo da identificare l’approccio specifico ideale. Ci stiamo facendo promotori di un dialogo fra tutti gli attori interessati, mirato a migliorare la sensibilizzazione su questi temi che, com’è noto, nel settore farmaceutico sono caratterizzati da precise peculiarità.
Più di 7.000 dipendenti, ricavi per oltre tre miliardi e 6.200 brevetti all’attivo: come si gestisce dal punto di vista della sostenibilità un’azienda nella quale le complessità certamente non mancano?
La ringrazio per la domanda, che mi permette di ripercorrere quello che è stato il mio cammino in Chiesi fino a oggi. Sono entrata in azienda nel 2015 dopo un’esperienza in Fondazione Chiesi e ho pertanto avuto il privilegio di assistere al percorso dell’azienda in materia di sostenibilità. Nonostante la dimensione internazionale e la complessità insita nella nostra organizzazione, è stata un’evoluzione naturale.
L’azienda ha forti basi valoriali, legate anche alla sua governance di family-owned business, che sono centrali al modo di fare impresa di Chiesi. La invito a leggere nel nostro sito la mission di Chiesi, che è stata scritta oltre 20 anni fa, quando ancora la sensibilità su questi temi non era così matura come oggi, e che rappresenta un chiaro riferimento a quanto l’azienda volesse coniugare i risultati in termini di successo e profitto con l’adesione a criteri di integrità, eticità e responsabilità dal punto di vista sociale e ambientale. Un altro elemento interessante legato al nostro percorso, che a mio parere ha aiutato anche nella gestione della dimensione nell’ingaggio, è il fatto di volersi imporre degli standard, dei framework, ancorando scelte apparentemente astratte ad azioni concrete. Le faccio un esempio. Nel 2018, gli shareholder hanno deciso di adottare la forma societaria di Società Benefit in Italia e Benefit Corporation negli Stati Uniti: all’epoca è stato riportato nello statuto dell’azienda il fatto che Chiesi esiste non solo per generare valore per gli azionisti, ma anche per migliorare la qualità della vita delle persone. Questo approccio è stato poi esteso alle filiali del Gruppo, indipendentemente dal fatto che esistesse o meno una specifica normativa locale. Un’altra scelta importante è stata quella di adottare, dal 2018, uno standard di misurazione allo scopo di valutare e monitorare con criteri oggettivi la nostra performance sociale e ambientale (lo standard B Corp che poi ci ha portato alla certificazione nel 2019) e di parlare un linguaggio comune all’interno di tutto il Gruppo. Oggi stiamo vivendo un’evoluzione della sostenibilità e degli standard di riferimento comuni, ma quando siamo partiti era tutto molto diverso. L’ultimo punto che cito è quello della comunicazione interna, che ha supportato la nostra evoluzione mantenendoci allineati verso gli obiettivi. Il nostro piano We ACT (Actively care for tomorrow) ha permesso di raccontare a tutti i dipendenti le motivazioni di determinate scelte aziendali e le loro conseguenze e di spiegare cosa ognuno di noi potesse fare per essere parte del cambiamento.
Parliamo di malattie rare e ultrarare, temi strettamente connessi alla sostenibilità sociale: quali sono i vostri risultati in termini di miglioramento dell’accesso alle cure?
Questo aspetto è legato al significato che attribuiamo al concetto di sostenibilità e che va al di là dell’impegno per la tutela dell’ambiente ed è strettamente legato alla dimensione sociale di un’azienda farmaceutica, che ha impatto sulla salute delle persone: in questo senso, abbiamo abbracciato il concetto di valore condiviso, che implica che l’azienda si impegna a risolvere un bisogno sociale, unendo il proprio successo al progresso della società. Le malattie rare rappresentano per definizione un’esigenza sociale non soddisfatta. Sono almeno 10.000 le malattie rare, che colpiscono 400 milioni di persone in tutto il mondo, ma solo il 5% di queste ha effettivamente una terapia approvata o sperimentale. Questo fa capire la dimensione del bisogno sociale oltre che diagnostico e farmacologico. I pazienti hanno bisogno di supporto lungo tutto il percorso di diagnosi e trattamento. La nostra Global business unit rare diseases è nata nel 2020 e in questi quattro anni siamo riusciti, anche attraverso la costituzione di collaborazioni e partnership a livello internazionale, a servire i pazienti con 10 opzioni terapeutiche disponibili in 70 Paesi per il trattamento di 12 patologie rare. Abbiamo ottenuto 30 approvazioni a livello globale, di cui 4 soltanto nel 2023: numeri che ben descrivono la rapidità dell’evoluzione di Chiesi in questo ambito.
Nel suo ruolo di Head of shared value and sustainability, come vede il rapporto fra industria farmaceutica e tutela dell’ambiente, in generale: semplice compliance alla normativa o sta cambiando qualcosa?
La definizione che ha citato riguarda proprio uno dei requisiti della legge italiana, che impone alle aziende di identificare una figura responsabile dell’impatto sociale e ambientale. Sicuramente, questa è una posizione estremamente interessante, che permette di avere un’idea complessiva dell’impatto prodotto da tutte le aree dell’azienda. Chiesi ha istituito un “Comitato di impatto”, coordinato dal mio team, all’interno del quale siedono tutte le funzioni aziendali: ognuna per le proprie competenze monitora e definisce l’evoluzione di quello che è l’impatto, per esempio, sulle persone e sui fornitori. Per quanto riguarda in generale il ruolo delle farmaceutiche sui temi dell’ambiente, si possono fare riflessioni interessanti. Dal punto di vista di Chiesi, per cui la salute respiratoria è di primaria importanza, confermo l’impegno massimo a contrastare il cambiamento climatico e minimizzare gli impatti ambientali e l’utilizzo delle risorse. A questo proposito, emerge chiara la connessione tra la salute del nostro pianeta e la salute delle persone, sulla quale ci impegniamo a creare awareness, ad esempio ascoltando la voce dei pazienti o aprendoci a collaborazioni con esperti. Su questi aspetti inerenti al concetto di One health c’è tutto un filone di lavoro che va ben oltre la compliance e che diventerà sempre più centrale in tutto il settore. Per noi, per le nostre aree di business, è ancor più strategico, tanto è vero che rispetto agli obiettivi al 2050 imposti dalla normativa noi stiamo alzando l’asticella.