Killer acquisition

Le operazioni di M&A finalizzate a controllare un potenziale concorrente per soffocarne lo sviluppo rappresentano un danno non solo per il mercato ma soprattutto per i pazienti

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Le operazioni di fusione e acquisizione nel settore farmaceutico non sono solo strumenti fondamentali per la crescita delle aziende ma rappresentano anche il principale strumento di innovazione delle big pharma che hanno in gran parte sostituito la R&D interna con un processo di scouting di organizzazioni dotate di promettenti pipeline di sviluppo.

Tuttavia, le attività di M&A possono anche nascondere insidie concorrenziali. Ad esempio le cosiddette killer acquisition, una pratica considerata particolarmente dannosa, per il mercato e per i pazienti. 

Il termine killer acquisition si riferisce a un’acquisizione in cui un’impresa dominante assorbe un concorrente emergente con l’obiettivo – esplicito o meno – di sopprimere un progetto di innovazione che potrebbe minacciare la propria posizione di mercato. Questo fenomeno è particolarmente diffuso nell’industria farmaceutica, dove lo sviluppo di nuovi farmaci richiede anni di ricerca e investimenti ingenti. L’innovazione è il cuore pulsante del mondo pharma e le aziende investono miliardi di euro in progetti di sviluppo che richiedono anni prima di generare profitti. Un’acquisizione mirata a eliminare un potenziale concorrente prima ancora che possa affermarsi sul mercato altera profondamente gli equilibri nella competizione e, nel lungo periodo, rischia di rallentare il progresso scientifico. Se poi le aziende target non hanno ancora generato ricavi significativi, l’operazione diventa quasi invisibile alle autorità di regolamentazione.

Un recente studio commissionato dalla Commissione europea e condotto da Lear – società di consulenza economica specializzata in concorrenza e regolazione – ha messo in luce la portata di questo fenomeno e il suo potenziale impatto sulla concorrenza e sull’innovazione.

Oltre la metà delle M&A a rischio

L’indagine, avviata nel 2022 e conclusasi dopo tre anni di approfondimento, ha analizzato oltre 6.300 transazioni nel settore farmaceutico: fusioni, acquisizioni, accordi di licensing e collaborazioni in ricerca e sviluppo. L’obiettivo principale era l’identificazione di casi in cui un’operazione porta all’interruzione di progetti di ricerca promettenti.

La ricerca si è basata esclusivamente su fonti pubblicamente disponibili, sfruttando database come il registro statunitense degli studi clinici della National library of medicine e Adis Insights, una piattaforma specializzata che raccoglie dati su accordi farmaceutici e sviluppo clinico. L’approccio ha permesso di identificare con precisione le dinamiche di numerose transazioni e di approfondire la sorte dei progetti coinvolti. Per superare il limite imposto da un accesso ristretto ai dati interni alle aziende, i ricercatori hanno affiancato all’analisi quantitativa un lavoro di screening manuale, valutando caso per caso le ragioni che hanno portato alla sospensione dei progetti in corso.

I risultati sono stati significativi: il 38% delle transazioni analizzate ha mostrato sovrapposizioni rilevanti tra i prodotti delle parti coinvolte; in particolare, nel 54% delle operazioni di M&A sono stati rilevati segnali di potenziale interruzione di progetti di ricerca e sviluppo. Florian Ederer, docente alla Boston University, afferma che “secondo le loro stime più prudenti”, quasi il 6% di tutte le acquisizioni di progetti di farmaci in fase di sviluppo sono acquisizioni killer. “Si tratta di circa 50 acquisizioni killer all’anno”.

I limiti della regolamentazione

L’emergere di prove concrete sulle killer acquisition apre una questione per le autorità di regolamentazione, che tradizionalmente esaminano le operazioni di concentrazione in base alle soglie di fatturato delle aziende coinvolte. Tuttavia, nel settore farmaceutico, molte delle imprese target sono startup o aziende in fase pre-reddituale, il cui valore non risiede nei ricavi attuali, ma nel potenziale innovativo delle loro ricerche. Se le operazioni anticoncorrenziali non rientrano nei parametri di notifica obbligatoria, possono passare inosservate alle autorità di controllo.

Negli ultimi anni, la Commissione europea ha cercato di colmare questa lacuna attraverso l’applicazione dell’articolo 22 del Merger Regulation, che consente di esaminare anche transazioni sotto soglia in presenza di un potenziale rischio concorrenziale. Tuttavia, l’efficacia di questo strumento rimane limitata poiché  la competenza giuridica è in carico agli Stati membri. Un altro fronte su cui l’Unione sta cercando di intervenire riguarda l’uso delle norme antitrust, in particolare gli articoli 101 e 102 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, che disciplinano rispettivamente le pratiche anticoncorrenziali e l’abuso di posizione dominante. Lo studio di Lear suggerisce che questi strumenti potrebbero rivelarsi utili per contrastare le killer acquisition, soprattutto nei casi in cui le transazioni si configurano come accordi di licenza o altre forme di collaborazione strategica.

Il caso J&J–Actelion

Un caso specifico analizzato nella ricerca è l’acquisizione da parte di Johnson&Johnson della biotech svizzera Actelion, un’operazione che ha incluso anche l’acquisto di una partecipazione di minoranza in Idorsia, società scorporata da Actelion per proseguire lo sviluppo di farmaci sperimentali. L’analisi ex post condotta dai ricercatori ha rivelato che uno dei farmaci di Johnson&Johnson, sviluppato in collaborazione con Minerva per il trattamento dell’insonnia, è stato successivamente orientato verso il trattamento della depressione, indicazione terapeutica con maggiori potenziali di mercato.  Sebbene il team di ricerca abbia concluso che in questo caso l’interruzione dello sviluppo è avvenuta per ragioni legittimamente commerciali, il caso solleva interrogativi sulla capacità delle attuali misure regolatorie di prevenire dinamiche anticoncorrenziali, soprattutto quando l’acquisizione di una partecipazione di minoranza permette a un’azienda di influenzare indirettamente le scelte strategiche di una società concorrente.

Danni e soluzioni

Il dibattito su come affrontare le killer acquisition è naturalmente aperto, ma lo studio di Lear suggerisce alcune linee di intervento. Una maggiore trasparenza nelle transazioni che coinvolgono asset di ricerca e sviluppo potrebbe essere un primo passo per consentire alle autorità di monitorare meglio il fenomeno. Allo stesso tempo, il solo criterio del fatturato si è rivelato insufficiente per identificare operazioni potenzialmente dannose: l’introduzione di nuovi parametri mirati a stimare il valore strategico degli asset acquisiti, potrebbero aiutare a individuare meglio le acquisizioni sospette.

I danni provocati dalle acquisizioni killer sono numerosi. In primo luogo, danneggiando la concorrenza causano un aumento dei prezzi applicati agli ospedali e ai pazienti. Inoltre, fanno perdere variabilità: i farmaci abbandonati potrebbero essere più efficaci per alcuni pazienti o provocare minori effetti collaterali. Ma l’aspetto più insidioso giace nel potenziale appiattimento della diversificazione nella ricerca. Secondo Ederer, “le acquisizioni killer possono anche distorcere la direzione dello sviluppo di nuovi farmaci, incentivando la creazione di farmaci molto simili (‘me-too’) a scapito di trattamenti veramente innovativi”. Se a sopravvivere sono esclusivamente i progetti che si allineano alle priorità strategiche dei grandi gruppi, intere aree terapeutiche meno redditizie ma cruciali per la salute pubblica potrebbero essere trascurate.