La pandemia, con l’impressionante numero di persone che si è portata via e le drammatiche ricadute sociali che ha creato, ha rappresentato per il nostro Paese un pesantissimo fattore di aggravamento di una condizione già vacillante.
In questo momento è, non solo legittimo, ma quanto mai opportuno concentrare energie ed attenzione sul futuro, provando a progettare una realtà che ci permetta di ricostituire il Paese e rilanciare un’economia messa veramente a dura prova.
In questo contesto si inquadra il secondo appuntamento con Il Futuro Migliore, evento organizzato da Assobiotec Federchimica per delineare proposte operative per la crescita e lo sviluppo delle biotecnologie in Italia.
Il capitale umano
Il dibattito patrocinato da Assobiotec Federchimica si apre con una considerazione dell’economista Lorenzo Bini Smaghi che ha ripercussioni più ampie di quanto potrebbe sembrare ad una prima osservazione.
La partita di oggi non si muove solo sul capitale economico ma anche su quello umano
Il mondo, dopo che questa terribile tempesta si è abbattuta sull’umanità, ripropone le note tematiche di competitività e di attrattività per gli investitori. Dobbiamo, pertanto, essere coscienti che si tratta di punti su cui non possiamo più permetterci di svicolare.
D’altro canto, il gap che ha accumulato il nostro Paese non è solo dovuto alla COVID-19, ma trae origine da tempi ben più lontani.
La scarsa presenza di università italiane nei ranking internazionali, almeno per le facoltà affini al biotech (biologia, ingegneria chimica) documenta, lo evidenzia il Presidente di Société Générale, la scarsa volontà di investire nello sviluppo di competenze locali.
Un atteggiamento autolesionista si ripercuote anche sui finanziamenti (scarsi) alla ricerca di base. Questo è un punto su cui Annalisa Mandorino, Segretario Generale di CittadinanzAttiva, incentra il focus del suo intervento.
D’altra parte, i tagli alla Sanità effettuati negli ultimi 15 anni hanno interferito pesantemente sulla qualità e sull’efficacia del nostro sistema sanitario. In questo contesto, il nostro Paese confida nel digitale come abilitatore di opportunità anche nell’ottica della riduzione delle disuguaglianze interne.
Il primo pilastro proposto da Assobiotec: ricerca e sviluppo
In ossequio alla centralità del capitale umano nello sviluppo sociale ed economico di un Paese, lo storytelling dell’industria biofarmaceutica è particolarmente abile nel raccontare le storie umane dietro lo sviluppo dei farmaci e, in particolare, dei vaccini.
Come quella di Ugur Sahin e Oezlem Tuereci, due immigrati turchi (marito e moglie) che in Germania hanno trovato le condizioni adatte a fare crescere il loro progetto, la fondazione di una startup biotech che sarebbe presto diventata nota a tutto il mondo, BioNTech.
Una storia che si snoda attorno al primo pilastro del biotech, ricerca e sviluppo, e che ha portato, grazie all’alleanza con Pfizer, alla produzione del primo vaccino anti COVID.
Il biotech che vorrei
Cosa contraddistingue il biotech italiano da quello degli altri grandi Paesi europei?
Valentino Confalone, General Manager di Gilead Italia, non ha dubbi: la flessibilità e la qualità dei produttori italiani.
Gilead lo sa bene, perché produce nel nostro Paese molecole ormai iconiche come sofosbuvir e remdesivir. Allo stesso modo conosce i limiti del nostro ecosistema, primo fra tutti quello costituito dalle complessità delle procedure autorizzative per l’allestimento di una catena produttiva. Eppure il rafforzamento del tessuto produttivo nazionale è uno dei pilastri su cui dovrebbe fondarsi il biotech del futuro.
Sul fronte delle sperimentazioni, la biotech californiana ha, in questo momento, 34 studi di ricerca aperti che coinvolgono centri italiani: un dato in linea con gli altri Paesi europei. Ciò che, al contrario, pone il nostro Paese al di sotto degli standard è la percentuale di arruolamento di pazienti nei trials, che è pari al 30% di quella degli altri Stati.
Questo rappresenta un punto critico, perché ci rende molto meno competitivi nella capacità di attrarre studi importanti, ad esempio sulle terapie avanzate, che richiederebbe un ecosistema più rapido e accogliente.
Qual è il futuro dell’industria farmaceutica? Trasformarsi da semplice produttore (di farmaci) a fornitore di servizi. In questo senso, la digitalizzazione, attraverso l’utilizzo estensivo della telemedicina, può rappresentare uno strumento abilitante.
Startup no-tax
La prima terapia genica ex vivo approvata è stata realizzata all’Istituto San Raffaele, precisa Pierluigi Paracchi, membro del board di Assobiotec. Paracchi rammenta bene Strimvelis (così si chiama la terapia) e il suo sviluppo, perché dallo stesso ecosistema è nata la biotech di cui è CEO, Genenta Science.
L’ambizioso obiettivo raggiunto con Strimvelis è testimone dell’altissimo valore delle eccellenze che può esprimere il nostro Paese e che sono in grado di competere a livello mondiale.
Dunque, cosa manca all’Italia per portare il suo biotech verso atmosfere più rarefatte?
Il potenziamento dell’imprenditorialità, suggerisce Paracchi, potrebbe essere un punto su cui lavorare. Fondare una startup nel settore delle biotecnologie significa, infatti, essere a tutti gli effetti imprenditori e richiede anche competenze specifiche.
In secondo luogo, è necessario aumentare la dimensione degli investimenti, per poter competere con i big del settore.
In ultimo, ma questo appare essere il punto più importante, occorre ridurre le tasse per gli imprenditori che investono nel biotech del nostro Paese, producendo valore per l’Italia.
Partnership pubblico-privato per un ecosistema favorevole
Cosa abbiamo imparato dall’esperienza attualmente in corso?
Elena Sgaravatti, Vicepresidente Assobiotec Federchimica non ha dubbi: la centralità della scienza e della ricerca. In particolare nelle biotecnologie, che hanno tirato fuori dal cilindro soluzioni cruciali in tempi rapidissimi. Non solo per quanto riguarda lo sviluppo del vaccino, ma anche sul fronte degli anticorpi monoclonali e nella produzione di sistemi diagnostici avanzati.
Un successo reso possibile dalla costruzione di un’alleanza fra istituzioni, accademia e imprese. Una partnership che è riuscita ad andare oltre i confini rigidi che separano il pubblico dal privato e che segmentano la nostra società depotenziandola nelle iniziative imprenditoriali di grande respiro.
Proprio le alleanze pubblico-privato rappresentano il terzo dei pilastri che Assobiotec Federchimica mette nel suo ecosistema ideale.
Il quarto pilastro: la governance
Questo modello di economia, che si è rivelato non sostenibile nel lungo termine e che ha contribuito alla creazione di un ecosistema sfavorevole, deve essere modificato.
L’occasione per intervenire sulla governance del sistema è rappresentata dal PNRR, che ci permette di pianificare una strategia di ripresa. Di riflettere non solo su cosa sia opportuno fare per organizzare il futuro migliore, ma anche di come realizzare il cambiamento.
Non c’è ecosistema robusto senza technology transfer
Gli investimenti da venture capital del nostro Paese sono stati, nel 2018, pari a 180 milioni di euro, rispetto ai più di 3.000 di Francia e Germania. Questo dato ci colloca agli ultimi posti in Europa.
Ma la costruzione di un ecosistema favorevole non può prescindere dal trasferimento di conoscenza. Il technology transfer, quinto pilastro del biotech, è uno dei risultati prodotti dall’economia della conoscenza.
In questo senso, la creazione di un’Agenzia per la Ricerca che sappia compiere scelte strategiche in maniera corretta, che si muova con il consenso delle peer reviews, che agisca producendo linee guida da condividere per aumentare il flusso di informazioni potrebbe ottimizzare gli investimenti e accelerare le iniziative.