Applicazione delle GMP nell’ambito ATMP

Mirka Broccato, GMP Executive Consultant & QP, intervista Monica Gunetti, QP all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, sull’applicazione delle GMP nell’ambito delle terapie avanzate e sul ruolo cruciale della QP

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Come per i farmaci tradizionali, anche la produzione di medicinali ATMP ha delle regole da seguire, un sistema qualità da rispettare e specifiche GMP da soddisfare, pubblicate nella Parte IV del volume 4 dell’Eudralex.

In tanti, e per tanti anni, nella farmaceutica “tradizionale” abbiamo ragionato di GMP e di come applicarle in modo rigoroso ma anche sostenibile. Ora è interessante capire come si possano disegnare dei processi GMP in un contesto articolato, poco standardizzato e così vicino alla ricerca come quello della produzione di ATMP.

Ho avuto il piacere di dialogare di questo con Monica Gunetti, responsabile dell’Unità operativa, qualified person e regulatory affair manager dell’Officina farmaceutica dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù (Opbg) di Roma, professionista di grandissima esperienza e competenza.

 

Quali sono le sfide più grandi per la QP di un’officina che produce medicinali ATMP?

La sfida più grande per me e per tutti i colleghi che con me lavorano è di far arrivare il farmaco al paziente il prima possibile. Siamo consapevoli che i pazienti e i loro familiari sono in attesa con grandi aspettative dei farmaci che produciamo; spesso arrivano a questo punto senza un’altra concreta alternativa terapeutica. Questa è la vera sfida: una lotta contro il tempo!

Nel nostro caso, i pazienti che sono trattati con prodotti di terapia genica a base di linfociti T citotossici chimerici (cellule Car-T) ingegnerizzati a reagire in modo specifico contro il tumore dal quale è affetto il paziente, qualche giorno prima dell’infusione devono essere condizionati per accogliere questo tipo di immunoterapia. Alcuni dei nostri farmaci vanno somministrati freschi, entro 24 ore dalla produzione, occorre quindi sapere il prima possibile se il medicinale sta rispettando le specifiche attese e potrà essere rilasciato così da preparare il paziente. I tempi necessari per il rilascio del prodotto devono essere ridotti al minimo e così, in questi casi, lo si rilascia con le analisi finali ancora in corso, basandosi sui risultati dei controlli di processo che sono definiti fin dallo sviluppo in ottica risk based.

Tutte quelle attività che per una officina tradizionale vengono pianificate e realizzate in un tempo definito – mi riferisco ad esempio alle manutenzioni, ai media fill, alle qualifiche – noi le dobbiamo realizzare come se stessimo organizzando una “macchina da guerra”. Non possiamo permetterci ritardi, errori o sbavature. Il nostro direttore (Franco Locatelli, direttore del dipartimento di oncoematologia al Centro trapianti, terapia genica e cellulare dell’Opbg N.d.R.) ci ripete spesso che “la malattia non va in vacanza”, ogni ritardo può costare caro al paziente che sta aspettando la sua terapia.

 

Che tipo di ostacoli incontrate durante la produzione?

Siamo costantemente impegnati a fare fronte a tutte quelle criticità specifiche che si verificano in un’officina che produce ATMP, dove la variabilità delle matrici biologiche è frequente. Le cellule che trattiamo arrivano da pazienti che spesso hanno subito cicli di terapie invasive e di conseguenza hanno delle performance che possono essere molto variabili. Nonostante la robustezza del processo di produzione sia testata in fase di convalida, è possibile che questa complessità generi anomalie, non conformità, out of specification. L’applicazione dello strumento di risk analysis ci consente di avere sempre uno sguardo oggettivo sul processo e sull’impatto degli eventi anomali, sulla qualità e sicurezza dei medicinali, consentendo alla QP di prendere decisioni scientificamente sostenibili e in tempi rapidi.

In questa sfida, fortunatamente, la QP non è mai sola, seppur la responsabilità del rilascio del prodotto sia sua: è accompagnata da team di esperti, è sostenuta da un confronto sempre aperto con le autorità e dialoga con il clinico, che è il medico di riferimento per il paziente, che conosce la sua storia e la sua malattia.

 

Quali sono gli strumenti indispensabili per la QP ATMP?

Le GMP ATMP attraverso lo strumento della risk analysis consentono una certa adattabilità al contesto di sviluppo farmaceutico e sperimentazione clinica in cui si sta operando. Occorre, però, una profonda conoscenza dei prodotti, dei processi e di come ogni evento impatti sulla sicurezza ed efficacia del medicinale per poter applicare con consapevolezza questo strumento. Sappiamo ad esempio che in certe circostanze è previsto che il referente clinico, dopo aver valutato il rapporto rischio/beneficio, possa decidere di somministrare al paziente anche un lotto di medicinale che ha avuto un parametro fuori specifica e che la QP ha stabilito di non poter rilasciare. Il clinico, però, deve essere supportato nel prendere questa decisione. Spetta alla QP, che conosce il prodotto, il processo di produzione e i test condotti, realizzare un risk assessment biologico che metta nelle condizioni il clinico di prendere la migliore decisione a beneficio del paziente. In questo la QP ha un ruolo cruciale, deve essere in grado di valutare aspetti che qualche volta sembrano confliggere: deve dare al clinico le informazioni necessarie in un modo fruibile affinché sia in grado di valutare l’impatto sul paziente dell’anomalia avendo però sempre costante l’attenzione a tutelare l’officina di cui è rappresentante e garante della corretta applicazione della normativa GMP. È quindi essenziale che il know how sia condiviso tra chi sviluppa, chi produce, chi controlla, chi rilascia e chi somministra il farmaco.

 

Spesso nelle officine tradizionali questi ruoli sono ben distinti: come vi assicurate che il dialogo sia efficace e orientato all’obiettivo?

Importante per la buona riuscita dei nuovi progetti è sicuramente la trasversalità delle funzioni. I nostri operatori spesso passano la maggior parte della loro giornata nel reparto di produzione e la rimanente in quello di sviluppo e questo consente loro di avere sempre chiari i requisiti per entrambe le funzioni. Nel reparto di sviluppo, inoltre, sono presenti una piccola unità che si occupa di regolatorio e che aiuta i colleghi a dare la giusta lettura ai requisiti GMP e alle norme di riferimento, e un’unità di sorveglianza post infusion, che segue il follow-up del paziente dopo la somministrazione del farmaco e raccoglie quindi dal campo informazioni preziose per le attività di sviluppo successive.

Un’idea di quanto tutte le funzioni siano collegate tra loro la dà il fatto che quando la QP rilascia un lotto di medicinale, deve comunicarlo a tutti i reparti: di produzione, di sviluppo, al comparto clinico, al tessue establishment. Ognuno ha un ruolo attivo per far sì che il prodotto arrivi nel più breve tempo possibile al letto del paziente.

 

Quali sono le skill di cui deve essere dotato il personale affinché questi meccanismi funzionino efficacemente?

Ovviamente è necessario avere un background scientifico: biologico, biotecnologico, di biologia molecolare e cellulare. Occorre inoltre che siano note le GMP, competenza quest’ultima che si acquisisce frequentando dei master specifici. Occorre saper lavorare in condizioni ambientali difficili: in cleanroom di classe B, in sovrapressione e con una vestizione ingombrante, occorre adottare le pratiche di riduzione del rischio di contaminazione che prevedono movimenti standardizzati, lenti e controllati. I nostri prodotti non possono essere sterilizzati terminalmente e quindi vanno realizzati in ambienti asettici.

Importantissime, però, sono anche le soft skill: le capacità di problem solving, di lavorare in team, di resilienza alle situazioni difficili. I nostri programmi di produzione cambiano continuamente. Spesso, appena finito il lotto veniamo sollecitati perché il paziente sta male: dobbiamo essere in grado di lavorare in fretta ma bene, assecondando l’evoluzione clinica del paziente.

Anche la ricerca non è esente da queste pressioni, bisogna possedere l’abilità di riadattare i propri programmi e le attività a un contesto in continua evoluzione. C’è un costante bisogno di sviluppare nuove terapie che curino malattie sempre diverse.

 

In che cosa, dal suo punto di vista, le attuali GMP Part IV semplificano la sua attività di QP? 

Nel 2018 sono stata lieta di aver partecipato con il gruppo di lavoro AFI Farmaci Biotech e terapie avanzate, coordinato da Maria Luisa Nolli, alla call per la revisione della bozza della Parte IV delle GMP. È stato un gran passo avanti che ci ha cambiato la vita, perché le GMP hanno iniziato a parlare la nostra lingua introducendo il grado di flessibilità necessaria per rendere sostenibile il nostro lavoro durante le diverse fasi di sperimentazione clinica prima di arrivare alla registrazione per l’immissione in commercio. Nella gestione delle starting material, ad esempio, il non dover più ispezionare le banche cellule e tessuti che possiedono già un riconoscimento ufficiale ha permesso di ridurre l’effort sul piano di auditing. Il fatto di poter impiegare, nelle fasi iniziali dei processi, reagenti research grade, laddove esista l’indisponibilità di alternative GMP e venga garantita la performance funzionale del materiale, è spesso essenziale per la riuscita di un progetto. Questo tipo di flessibilità ci consente di focalizzare gli sforzi economici e di risorse laddove ce n’è bisogno. Chi può conoscerne criticità e punti da attenzionare e su cui concentrare le risorse, meglio di chi il prodotto lo sviluppa e lo produce?

 

Come potrebbero essere ulteriormente modificate le GMP ATMP per favorire un’applicazione più funzionale?

Nonostante siano stati fatti grandissimi passi avanti, rimangono ancora dei requisiti che, dal mio punto di vista, potrebbero essere rivisti. Abbiamo visto prima come sia essenziale che gli operatori possano operare trasversalmente nelle funzioni di sviluppo, technology transfer e produzione; questo comporta, ad esempio, che il numero di operatori che devono mantenere le skill sulle pratiche asettiche sia molto elevato. Abbiamo poi numerosi prodotti che formalmente sono diversi e che quindi richiedono per ognuno l’esecuzione di una specifica convalida in asepsi (media fill). Oggi, nella nostra officina, dal 20 al 30% degli slot produttivi disponibili all’anno sono impiegati per fare media fill. Sarebbe utile poter applicare logiche worst case; molti prodotti hanno fasi comuni (la strategia di sviluppo è proprio quella di mantenere uniformità dei processi di produzione), con suite produttive simili. Poter ridurre il numero di convalide in asepsi con un approccio worst case e a piattaforma ci consentirebbe di recuperare capacità produttiva a beneficio del numero di pazienti che accedono alle nostre terapie.

Un altro ostacolo che vedo a livello normativo (anche se io non me ne occupo direttamente) è la gestione della produzione decentralizzata, ovvero il modello di produzione che prevede un sito centrale, nel quale vengono fatti alcuni step di processo, e una serie di siti decentralizzati, posizionati in prossimità dei pazienti nei quali vengono fatti gli step finali di produzione. In tale contesto è previsto che la QP del sito centrale, stabilita a livello EU, abbia la responsabilità ultima della certificazione del lotto, facendo affidamento sui dati e sulle informazioni che vengono trasmessi dal sito decentralizzato. Qualora emergano delle deviazioni, con impatto sul lotto, di un dato fuori specifica o altro, sarebbe necessario un tempo di interazione e reazione tra i due siti (centralizzato e decentralizzato) per la gestione dell’investigazione e la definizione di un piano di azioni correttive e preventive (Capa). Queste tempistiche potrebbero essere non compatibili con il rispetto della shelf-life del prodotto e l’infusione immediata del paziente condizionato. Occorrerà quindi definire delle logiche di delega e delle procedure ben disegnate per consentire un efficace e veloce scambio di informazioni.

 

Quali requisiti è necessario che abbia un’officina ATMP affinché anche questo tipo di farmaci possano raggiungere più larghe fette di mercato?

Quello su cui progressivamente tutti ci stiamo erudendo è che il fine ultimo – anche per chi sviluppa e produce i medicinali ATMP in un contesto accademico ospedaliero – deve essere l’immissione in commercio. Il punto fermo è che più farmaci arrivano sul mercato più pazienti con la stessa patologia possono avere una cura.

Con una decina di colleghi abbiamo fondato l’associazione NOTA aps (Network officine terapie avanzate) attraverso la quale organizziamo momenti formativi ed eventi di condivisione. In queste occasioni cerchiamo sempre di far intervenire colleghi del regolatorio che hanno portato i farmaci di terapie avanzate al commercio, in modo da condividere questi percorsi e rendere capitale comune queste esperienze di grande valore.

Per arrivare a questo punto, oltre ai grandi investimenti tecnici, scientifici ed economici, nelle officine occorre lavorare anche sulla gestione e strutturazione delle informazioni e dei dati di sviluppo, di produzione e clinici per garantire la tracciabilità necessaria affinché tutto possa confluire agevolmente nelle sezioni del CTD. Il rischio altrimenti è di arrivare impreparati alle fasi registrative, con dati mancanti o non fruibili e la conseguente necessità di tornare alle fasi precedenti e questo può significare la perdita di anni.

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