Bioingegneria smart, il futuro della medicina

Nel settore biomedico, la bioingegneria integra dispositivi avanzati e intelligenza artificiale per migliorare diagnosi, monitoraggio e terapie, rendendo l’assistenza sanitaria sempre più tecnologica, precisa e personalizzata

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Nel campo biomedico, la bioingegneria contribuisce allo sviluppo di tecnologie avanzate per la diagnosi, il monitoraggio e la cura dei pazienti, integrando dispositivi innovativi e sistemi intelligenti. L’intelligenza artificiale ha un impatto decisivo in questo ambito, migliorando l’analisi delle immagini diagnostiche, ottimizzando l’uso dei dispositivi indossabili per il monitoraggio continuo dei parametri vitali e rendendo più efficienti i processi clinici. Grazie all’AI, vengono progettate protesi intelligenti che si adattano ai movimenti del paziente, si potenziano i sistemi di supporto alle decisioni mediche e vengono sviluppati algoritmi per la diagnosi precoce di patologie complesse. Parliamo di tutto questo con Andrea Aliverti, professore di Bioingegneria del sistema respiratorio, Dipartimento di elettronica, informazione e bioingegneria del Politecnico di Milano.

Di quali aree di ricerca si occupa il suo dipartimento? 

Il dipartimento di elettronica, informazione e bioingegneria (DEIB) è molto ampio e si articola in varie aree di ricerca: automatica, elettronica, elettrica, telecomunicazioni, informatica e, appunto, bioingegneria. 

L’ingegneria biomedica è trasversale anche ad altri dipartimenti del Politecnico, come quello di chimica, dove si studiano per esempio i biomateriali utilizzati per le protesi meccaniche. Nel dipartimento di matematica la bioingegneria riguarda lo studio di modelli matematici, in quello di meccanica ci si occupa di sistemi meccanici come protesi, esoscheletri o robotica, nel dipartimento gestionale la bioingegneria si articola invece su tematiche legate all’organizzazione dei sistemi sanitari.  

La sezione di bioingegneria del DEIB si occupa di neuro-ingegneria e robotica medica, tecnologie biomediche, dispositivi, informatica biomedica e sanità digitale, modellistica micro e macro, fluidodinamica computazionale, modellistica dei fluidi come il sangue, analisi del movimento e della postura, analisi dei segnali delle immagini e dei dati di tipo biomedico. 

Lei in che settore opera?

Io, in particolare, lavoro nel settore delle tecnologie elettroniche in ambito biomedico, dispositivi per la misurazione di parametri fisiologici, con particolare riferimento ai sistemi respiratorio e cardiovascolare. Mi sono occupato dello sviluppo di nuove metodologie di misura di volumi respiratori, delle interazioni tra sistema respiratorio e sistema cardiovascolare, delle proprietà meccaniche del sistema respiratorio, valutazione funzionale, resistenza e compliance. Studio anche nuovi algoritmi per l’analisi di immagini come la Tac e la risonanza magnetica e i sistemi indossabili, i cosiddetti “wearable”, per portare le misurazioni dal laboratorio alla vita reale, consentendo il monitoraggio continuo o da remoto dei pazienti, anche basandosi su sistemi di intelligenza artificiale (AI) per l’analisi dei dati.

AI e ricerca

Secondo Aliverti, gli ambiti chiave in ingegneria biomedica e di medicina in generale in cui l’AI sta giocando un ruolo fondamentale sono vari.

L’imaging medico e la diagnostica: il riconoscimento automatico di anomalie o la segmentazione di organi o lesioni per la diagnosi predittiva. 

L’analisi di dati clinici: cartelle elettroniche e dati omici, cioè l’analisi genomica e proteomica unita alle cartelle cliniche elettroniche attraverso algoritmi di AI.

I dispositivi biomedici: in questo ambito, sia a livello di progettazione che a livello di controllo, l’AI fornisce un contributo essenziale. Mi riferisco ad esempio alle protesi intelligenti che, grazie all’aiuto di un elettrodo che misura un segnale elettrico o a un sensore che rileva l’attività muscolare, si adattano in tempo reale ai movimenti del paziente, rallentando o accelerando il movimento della protesi. In questo ambito rientra anche la robotica, in cui l’AI ha un ruolo primario. Cito l’esempio della robotica chirurgica, dove in molti casi non è tanto il robot che assiste il chirurgo ma il contrario. Nella chirurgia il robot è essenziale perché consente movimenti molto fini effettuati con una precisione e abilità che la mano non può garantire. Poi c’è la robotica riabilitativa, come ad esempio gli esoscheletri. Questi tipi di robot possono assistere persone con vari tipi di disabilità, effettuando programmi di riabilitazione più accurati. Nell’ambito della robotica, l’applicazione dell’AI si riferisce anche ai dispositivi wearable: smartwatch che utilizzano l’intelligenza artificiale per il monitoraggio di parametri vitali.

La scoperta di nuovi farmaci: simulazioni molecolari, analisi strutturale di proteine o di nuove molecole vengono simulate basandosi su dataset presenti in letteratura, prima di passare all’effettiva sperimentazione reale. C’è poi un utilizzo importante nell’ottimizzazione dei trial clinici e nella selezione dei pazienti: con l’AI si può ridurre il numero di pazienti necessari per fare uno studio clinico. L’AI viene utilizzata anche nella ricerca di base, pre-clinica.

I sistemi di supporto decisionale: sono sistemi basati sull’AI per supporto alla diagnosi e alla prescrizione. Anche il triage al pronto soccorso rientra in questo ambito. In questo settore le chatbot stanno diventando molto importanti, anche per accelerare il processo di anamnesi e raccolta dati o di refertazione, per assistere i pazienti a casa o per la gestione dei farmaci, automatizzando una serie di processi. Questi sistemi stanno diventando molto accurati, si sviluppano chatbot sempre più mirate e controllate. Un’altra applicazione è quella di aiutare il medico nello svolgimento delle varie attività burocratiche. Durante la refertazione, per esempio, l’AI consente un grande risparmio di tempo. 

Interfacce neurali (BCI, brain computer interfaces): sono i segnali che arrivano dal cervello e vengono rilevati da sensori e poi codificati e interpretati. Anche qui l’AI è fondamentale per elaborare in tempo reale segnali molto complessi: il cervello genera un segnale che viene rilevato, l’AI lo elabora e produce dei segnali di output che determinano un ‘azione, per esempio in un individuo con disabilità motoria.

Che contributo fornisce l’AI?

Utilizzo molto l’AI nell’ambito dell’imaging polmonare delle vie aeree, cioè l’analisi delle immagini radiologiche (Tac risonanza magnetica, Pet, ultrasuoni). Questo è un settore in cui l’AI ha dato un grande contributo negli ultimi anni: gran parte dell’analisi quantitativa delle immagini è basata su algoritmi di AI a vari livelli. L’utilizzo dell’AI consente di filtrare le immagini, migliorarne la qualità, segmentare e identificare porzioni di immagine in modo automatico senza l’intervento manuale del radiologo, per estrarre caratteristiche patologiche e riconoscere ad esempio una piccola massa tumorale. L’AI consente anche di fondere tipi differenti di immagine, come una Tac e una Pet, per capire dove una certa funzione è alterata.

Lo screening del tumore al polmone è un’altra area dove si utilizzano software basati su algoritmi di AI, che apprendono a partire da una grande mole di immagini. Le Tac sono prese a bassa dose perché non si può fare screening fornendo alte dosi, trattandosi di valutazioni ripetute nel tempo. L’AI consente di ottimizzare i parametri di radiazione da fornire al paziente e di filtrare le immagini per migliorarne la qualità, riuscendo a identificare i primi segnali di formazione di masse tumorali. 

Utilizzo l’AI anche per elaborare segnali di diversa natura misurati mediante dispositivi indossabili per estrarne caratteristiche peculiari, ad esempio per riconoscere il tipo di attività che la persona sta svolgendo (Human activity recognition, HAR) oppure per combinare diversi dati per stimarne altri (ad esempio estrarre la ventilazione polmonare di una persona non potendola misurare direttamente).

Quale sarà il ruolo dell’AI nel futuro della bioignegneria?

Indubbiamente l’AI avrà un ruolo sempre maggiore, non se ne può più fare a meno. È diventato un metodo trasversale e molto diffuso, dai compiti più semplici a quelli più complessi. In ambito cardiovascolare, per esempio, il medico oggi guarda l’elettrocardiogramma a occhio e riconosce delle anomalie, ma l’AI può farlo in modo molto più accurato e immediato.  

Per fare un altro esempio, l’esame della polisonnografia, per la valutazione delle apnee notturne, consiste in moltissimi tracciati che il medico dovrebbe analizzare in tempi lunghi, mentre l’AI lo fa in pochi secondi. Faccio anche l’esempio di una Tac, che non è un’immagine, ma un insieme di tantissimi punti e numeri, ogni singolo pixel dell’immagine è un numero. L’AI può analizzare tutti questi punti in modo molto accurato, dettagliato e soprattutto quantitativo. 

Un ventilatore meccanico in terapia intensiva non è ormai una semplice pompa che dà aria a un paziente, ma diventerà sempre più un sistema intelligente che rileva come il paziente respira, adattando quindi il supporto ventilatore, riconoscendo ad esempio eventuali asincronie tra paziente e ventilatore in modo automatico. L’AI oggi è intrinseca ai dispositivi nei sistemi di analisi, di diagnosi e di terapia.  

Com’è la situazione in Italia per l’applicazione dell’AI alla bioingegneria nella pratica medica?

Questo utilizzo è molto diffuso anche in Italia, anche se ci sono notevoli cautele da un punto di vista etico, che vengono affrontate a livello anche legale e normativo. Questo non è un ostacolo ma sicuramente rallenta la tecnologia. Il trattamento dei dati va guidato da normative che proteggano la privacy, e l’AI è affamata di dati, perché su questi si basa per apprendere e migliorare. C’è da considerare anche la questione della qualità dei dati con cui si addestra l’AI.

Negli Stati Uniti negli ultimi anni la FDA ha certificato e approvato una serie di dispositivi di AI in numero maggiore rispetto all’Europa, gli enti certificatori europei tendono ad essere molto più cauti, quindi meno dispositivi sono stati immessi nel nostro mercato rispetto agli Stati Uniti.

L’AI Act è una dichiarazione che l’Unione europea ha creato pensando a tutti i rischi associati all’intelligenza artificiale, basandosi su una classificazione di rischio come quella dei device medici. 

Dovrebbero esserci delle normative specifiche ma c’è una difficoltà reale, perché quando le nuove normative escono sono già vecchie. Giorno per giorno la situazione cambia: escono nuovi prodotti e strumenti. La normativa e la legislazione fanno fatica a stare dietro a questo ritmo, bisognerebbe studiare nuovi approcci non basati sulla normativa tradizionale, ma in qualche modo in grado di adattarsi alla rapidissima evoluzione della tecnologia.