La sanità del futuro non potrà essere sostenibile se non sarà profondamente umana. Un’affermazione che può suonare paradossale, soprattutto in un’epoca in cui le tecnologie digitali, l’intelligenza artificiale e la medicina di precisione stanno ridefinendo i confini della cura. Ma proprio in questa apparente contraddizione – tra innovazione e prossimità – si gioca la sfida dei prossimi anni.
Proprio questa tematica è stato trattato durante la IX Sessione del 64° Simposio AFI, che ha mostrato come l’evoluzione verso una sanità davvero sostenibile passi per l’approccio Human Value-Based Healthcare e il digital design thinking.
Dalla misurazione del valore alla costruzione del significato
Il concetto di “value-based healthcare” (VBHC), introdotto da Porter e Teisberg nel 2006, ha trasformato la cultura della salute, orientandola verso l’efficienza misurabile: costi e outcome. Ma oggi, questo paradigma mostra i suoi limiti. Se la misurazione rigorosa degli esiti clinici ha migliorato l’organizzazione e la trasparenza, rischia però di ridurre l’esperienza del paziente a una questione gestionale.
Maria Rosaria Natale (Your Business Partner) propone allora un’evoluzione: l’Human Value-Based Healthcare (HVBHC), che integra la voce del paziente lungo tutto il percorso di cura, non solo come utente finale, ma come co-protagonista nella progettazione dei servizi sanitari. Non più solo outcome clinici e metriche economiche, ma anche qualità della vita, desideri, contesto sociale e culturale. Una trasformazione epistemologica prima ancora che tecnologica.
Le parole chiave: ascolto, co-creazione, umanizzazione
Il modello Human VBHC affonda le sue radici nel design thinking applicato alla salute, declinato nella sua variante “human centered”. Questo significa lavorare con team clinici multidisciplinari, stakeholder e pazienti insieme, usando strumenti digitali per raccogliere e interpretare bisogni espliciti e latenti, ridefinire algoritmi di cura e progettare servizi più inclusivi e accessibili.
L’ascolto non è solo un gesto etico, ma una leva strategica. Il coinvolgimento diretto dei pazienti – anche attraverso conversazioni antropologiche, come nel caso studio sull’angioedema ereditario – consente di generare nuove mappe di senso, nuove personas, nuovi indicatori qualitativi. Il valore non si misura solo: si costruisce.
Il digitale come leva abilitante (non sostitutiva)
Roberta Gilardi (G-Gravity) ha insistito su un punto cruciale: l’innovazione digitale non è fine a sé stessa. È lo “strato abilitante” che permette di ridurre le disuguaglianze di accesso, abilitare nuovi percorsi terapeutici e migliorare l’efficienza senza compromettere la relazione di cura.
Nella sua visione, l’Health Technology Assessment (HTA) del futuro dovrà evolversi verso una valutazione outcome-based, in grado di incorporare real world data, PREMs e PROMs, wearable device, piattaforme multi-sided e agenti conversazionali intelligenti. Eppure, tutto questo non basta se non è supportato da una cultura dell’empatia e della co-progettazione.
Ecosistemi multi-sided e partecipazione continua
Tra i concetti più innovativi emersi durante la sessione vi è quello di ecosistema multi-sided applicato alla sanità. Un paradigma mutuato dalle economie digitali che permette di superare la logica binaria paziente-medico per abbracciare una visione collaborativa e inclusiva: caregiver, pharma, assicurazioni, operatori pubblici e privati.
Questi ecosistemi, integrati attraverso API e dotati di interfacce user-friendly, possono ospitare strumenti di triage domiciliare, percorsi di monitoraggio remoto, dashboard per l’aderenza terapeutica e moduli di feedback esperienziale. Il tutto alimentato da AI e machine learning per una gestione predittiva e adattiva del bisogno di salute.
La normativa come snodo cruciale
Naturalmente, ogni rivoluzione deve fare i conti con la realtà. E il digitale pone sfide sistemiche e normative non banali: privacy, sicurezza dei dati, interoperabilità, formazione degli operatori e, soprattutto, validazione degli outcome generati dai pazienti.
La richiesta che emerge con forza è quella di una normativa abilitante, flessibile, capace di riconoscere il valore anche dei dati soggettivi, a patto che siano raccolti e trattati con rigore metodologico. Solo così sarà possibile integrare PROMs e PREMs nei processi decisionali e rendere il paziente davvero partecipe.
Human VBHC: dai casi di studio alla prassi
La forza del modello proposto da Natale e Gilardi sta anche nella sua concretezza. Numerosi i casi studio illustrati: dall’oncologia ematologica al carcinoma polmonare, fino alle malattie rare come l’angioedema ereditario. In tutti i casi, la combinazione di ascolto attivo, mappatura del patient journey, uso di piattaforme digitali e collaborazione tra stakeholder ha prodotto risultati tangibili: migliore qualità della vita, migliore aderenza terapeutica, maggiore soddisfazione.
In alcuni casi, come nella riabilitazione, l’adozione del modello Human VBHC ha ricevuto riconoscimenti scientifici e premi internazionali, dimostrando che non si tratta di un’utopia, ma di un cambiamento già in atto.
Un nuovo lessico per la salute
In conclusione, la IX sessione del Simposio AFI 2025 ha offerto uno sguardo lungimirante, ma pragmatico, su ciò che può e deve diventare la sanità del futuro. Serve un nuovo lessico: non solo più efficienza, ma anche prossimità; non solo dati, ma anche relazioni; non solo innovazione, ma anche umanità.
L’approccio Human VBHC e il digital design thinking rappresentano, insieme, un ponte tra tecnologia e compassione, tra sistemi e persone. Un ponte necessario per costruire una salute che non solo cura, ma anche ascolta, coinvolge e accompagna. Perché, come ha ricordato Gilardi in chiusura, “non si tratta più solo di valutare le tecnologie, ma di co-progettare futuro, salute e fiducia“.