Il Primo Maggio, ovvero il lavoro che aspetta risposte

Il Primo Maggio 2025 ha riportato l’attenzione sui diritti dei lavoratori, con sindacati in piazza a chiedere sicurezza e salari dignitosi. Il Presidente Mattarella, ospite di BSP Pharmaceuticals a Latina, ha denunciato la piaga delle morti sul lavoro e l’inadeguatezza dei salari, definendoli un freno al futuro dei giovani e lancia un monito: servono azioni concrete.

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Il Primo Maggio 2025 ha riportato al centro il lavoro. Ma non solo come celebrazione, bensì come questione aperta, drammatica, irrisolta.
Dai cortei che sotto lo slogan “Uniti per un lavoro sicuro” hanno riempito le piazze di Roma, Bologna, Palermo e Milano, è emersa una voce chiara: quella di chi chiede sicurezza, dignità, stabilità. E di chi non è più disposto ad accontentarsi di annunci.
A Roma, Maurizio Landini (Cgil) ha parlato con parole nette:

“Nessuno deve più morire sul lavoro. Non è propaganda, serve una vera trattativa.”

Poi l’avvertimento:

Se dal Governo non ci saranno risposte adeguate, si dovrà aprire una fase di mobilitazione e di sostegno alla piattaforma unitaria sulla sicurezza

Da Montemurlo (Prato), Pierpaolo Bombardieri (Uil) ha chiesto parità di trattamento tra i familiari delle vittime del lavoro e quelli delle vittime di mafia. A Casteldaccia (Palermo), cinque nomi scanditi nella memoria. Intanto a Bologna, 30.000 persone hanno marciato nel corteo unitario Cgil, Cisl e Uil, ricordando che la “strage silenziosa” del lavoro continua.
Nessuna retorica. Solo un’Italia che, nel 2025, conta ancora oltre mille morti all’anno per infortuni sul lavoro. Con numeri in crescita.

Messaggi

Il 29 aprile, alla vigilia del Primo Maggio, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha visitato la sede di BSP Pharmaceuticals a Latina. La scelta non è stata casuale. L’azienda, specializzata in biofarmaci oncologici e attiva in oltre 80 Paesi, rappresenta una delle eccellenze italiane nel settore farmaceutico.

Proprio da lì, Mattarella ha voluto lanciare un messaggio forte e nitido:

Le morti sul lavoro sono una piaga che non accenna ad arrestarsi. Sono centinaia le vite già mietute in questi primi mesi dell’anno, famiglie consegnate alla disperazione. Non sono tollerabili né indifferenza né rassegnazione.

E poi, ancora più a fondo, ha toccato il nodo salariale e demografico:

Salari inadeguati sono un grande problema nel nostro Paese. I giovani incontrano difficoltà a progettare con solidità il proprio futuro, e questo

Il punto è qui. Non solo numeri — pure impressionanti — ma visione. Perché, se manca la sicurezza, non c’è progresso industriale, non c’è sostenibilità. E, se il lavoro resta precario, non c’è futuro.

I numeri dell’urgenza

Secondo ISTAT, a gennaio 2025 il tasso di occupazione è salito al 62,8%, con 24,2 milioni di occupati (+2,2% in un anno). Ma è una crescita diseguale. La disoccupazione giovanile resta al 20,8%, e il 20% dei lavoratori italiani ha un contratto precario. Tra i 15 e i 34 anni, un giovane su quattro è a tempo determinato.
Il lavoro a tempo parziale coinvolge il 18,1% degli occupati. Ma il 52,3% di questi non lo ha scelto. È part-time “involontario”, subìto. Tra le donne, sale al 65%.
L’inflazione al 2,0% (aprile 2025) continua a erodere il potere d’acquisto. Le retribuzioni crescono del 4,0% (marzo 2025), ma insufficientemente: tra il 2004 e il 2023, i salari reali in Europa sono cresciuti del 12,4%. In Italia, sono calati dell’8% dal 2021.
E mentre le famiglie si impoveriscono, la natalità crolla: il tasso di fecondità è a 1,18 figli per donna. Un minimo storico.

I numeri della vergogna

Nel 2024 si sono registrati 1.090 infortuni mortali (+4,7%), e nei primi due mesi del 2025 già 138 (+16%). Le denunce di malattie professionali nel 2024 sono state 88.499 (+21,6%), con un +5,9% a gennaio 2025.
Sono numeri, sì. Ma dietro ogni cifra c’è un nome. E una domanda: perché?
La risposta sta spesso nei contratti instabili, nella carenza di formazione, nell’assenza di controlli. Le condizioni peggiori si concentrano proprio dove la vulnerabilità è più alta: giovani, donne, sud, part-time.

Promesse

Il governo ha annunciato lo stanziamento di 1,2 miliardi per la sicurezza. Ma — come denunciano i sindacati — a oggi non esistono decreti attuativi. Le risorse, già previste nei bilanci INAIL, vengono “rivendute” come nuove, ma in realtà sono dei lavoratori.
Elly Schlein parla di “spot” e accusa la premier Meloni di “voltare le spalle a 3,5 milioni di lavoratori poveri”. Intanto il salario minimo resta bloccato, e l’unica certezza è la distanza tra Palazzo Chigi e le piazze.

La piattaforma sindacale

Cgil, Cisl e Uil chiedono un cambiamento profondo: meno profitto, più persona. Le proposte ci sono, e sono concrete:

  • aumentare i controlli (oggi si verifica solo il 5% delle aziende);
  • rendere obbligatoria la formazione su salute e sicurezza per tutti;
  • introdurre una “patente a punti” per penalizzare chi viola le norme.

Non sono bandiere ideologiche. Sono richieste ragionevoli, proporzionate, attese.

Una questione che riguarda tutti

Il lavoro non è solo produzione. È cittadinanza, identità, progetto. Lo ha ricordato ancora Mattarella, con parole che vanno conservate:

Il lavoro non può consegnare alla morte, ma deve essere indice di sviluppo, motore di progresso, strumento per realizzarsi come persona.
La sicurezza sul lavoro non è un costo, ma un investimento nella vita delle persone.

Un messaggio che interpella tutti, e in particolare il mondo dell’impresa. Anche e soprattutto il settore farmaceutico, che sulla vita fonda la propria ragion d’essere.

Il tempo della responsabilità

Non è il momento di armarci, ma di tutelare la salute” ha detto Landini. È una frase che vale anche oltre il contesto. In un Paese che discute di difesa e confini, il lavoro resta la vera frontiera.
Perché non c’è impresa competitiva senza equità. Non c’è sostenibilità senza tutele. Non c’è innovazione se chi la produce non è ascoltato, riconosciuto, protetto.
Il Primo Maggio ci ricorda che il lavoro è il fondamento di una democrazia adulta. Ora tocca alla politica — e anche alle imprese — decidere se restare indietro o mettersi finalmente al passo con la realtà.