La lunga marcia verso Net-Zero

Nonostante i progressi ottenuti nel contenimento delle emissioni di gas serra, vi sono ancora ampi margini di miglioramento per le aziende impegnate nella transizione verso il net-zero

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Le aziende farmaceutiche e biotecnologiche si trovano oggi di fronte a un paradosso: mentre sviluppano terapie che prolungano e migliorano la vita, contribuiscono a minacciare gli ecosistemi da cui dipende la salute globale.

Il settore delle life science genera emissioni paragonabili a quelle di una nazione di medie dimensioni, e oltre il 90% dei gas climalteranti riconducibili a un’azienda non dipendono direttamente da essa. In un mondo che, sebbene tra continui rallentamenti e ripensamenti, ha ormai imboccato la strada – obbligata – della sostenibilità, la decarbonizzazione non rappresenta più una scelta, ma un requisito basilare per mantenere sufficienti livelli di competitività e attrattività verso clienti e finanziatori.

Energia pulita

La prima opzione è partire dalle basi: ridurre le emissioni prodotte direttamente, quelle che vengono definite Scope 1 e 2. Mentre tagliava il 59% delle sue emissioni rispetto al 2015 grazie alla sostituzione delle fonti di energia fossile con elettricità rinnovabile in tutti i suoi stabilimenti, AstraZeneca nel 2020, ha annunciato un piano da un miliardo di dollari per raggiungere le zero emissioni entro il 2025 e l’obiettivo carbon negative per l’intera catena del valore entro il 2030. Anche Johnson & Johnson ha seguito un percorso analogo, installando ad esempio 56 MW di impianti solari ed eolici, grazie al quale ha risparmiato al Pianeta 260.000 tonnellate di CO₂ all’anno.

La sfida dello Scope 3

Oltre il 90% delle emissioni, però, non è emesso direttamente dall’azienda ma fa parte del cosiddetto Scope 3, termine che indica il complesso dei gas serra generati lungo l’intera supply chain di un’azienda, al di fuori del suo controllo diretto: includono le attività a monte (produzione di materie prime, trasporti dei fornitori ecc) e a valle (uso dei prodotti da parte dei clienti, smaltimento). Gestire queste emissioni è una sfida complessa, ma non impossibile.

Secondo McKinsey, nella categoria dei beni e servizi acquistati, che incide per circa il 50% sulle emissioni totali del settore, le materie prime – inclusi API, eccipienti e sostanze chimiche di processo – rappresentano il 70% delle emissioni, equivalenti a circa il 35% del totale. Il restante 30% è attribuibile principalmente ai materiali di imballaggio.

Ingredienti sostenibili

GSK e AstraZeneca (le cui emissioni Scope 3 rappresentano oltre il 90% del totale) hanno avviato programmi per sostituire il gas ad elevato impatto climatico normalmente utilizzato negli inalatori con alternative più sostenibili (come il propellente HFO-1234ze) in grado di di ridurre le emissioni del 99,9%.

Coinvolgere i fornitori

Eli Lilly, invece, ha introdotto un sistema di rating ESG per i fornitori, vincolando il 30% degli acquisti a criteri di sostenibilità entro il 2025. Un sistema analogo viene da applicato da Chiesi: la big pharma italiana valuta i suoi fornitori anche su criteri ambientali e sociali (ad esempio attraverso la piattaforma EcoVadis), garantendo che il 95% degli acquisti avvenga da partner sottoposti a questa valutazione. Nel 2023 ha ottenuto il Premio Platino EcoVadis, posizionandosi nell’1% delle aziende più virtuose a livello globale.

Efficienza energetica nelle camere bianche

Le camere bianche rappresentano una delle principali fonti di consumo energetico negli impianti farmaceutici, contribuendo fino al 67% del consumo totale di energia di uno stabilimento. La causa principale sono i sistemi HVAC (Heating, Ventilation, and Air Conditioning) necessari per mantenere le condizioni ambientali controllate richieste dalle normative GMP.

Per affrontare questa sfida, molte aziende stanno adottando soluzioni innovative, come l’implementazione di sistemi di controllo intelligente del flusso d’aria che consente di dimezzare il consumo energetico delle ventole adattando dinamicamente il tasso di ricambio dell’aria. Roche, ad esempio, ha intrapreso un progetto di questo tipo fin dal 2004 riducendo del 59% le emissioni di gas serra (mentre i ricavi si sono più che raddoppiati nello stesso periodo).

Si può ancora migliorare

Secondo Accenture, comunque, ci sono ancora margini di miglioramento: solo il 9% delle maggiori aziende a livello globale utilizza strumenti avanzati (come l’intelligenza artificiale) per tracciare l’impronta carbonica dei fornitori di secondo e terzo livello. Non a caso la percentuale delle imprese attive nelle life science in linea con l’obiettivo net zero operativo entro il 2050 si ferma al 23%.