Non è più solo una questione di giustizia sociale: l’uguaglianza di genere è un imperativo economico.
Il nuovo report di UN Women Italy e Deloitte “Empowerment femminile come leva strategica per la crescita aziendale e l’innovazione” (puoi richiederlo gratuitamente a communication@unwomenitaly.org), presentato a Milano il 30 giugno 2025, lo dimostra con dati e analisi che parlano chiaro.
Secondo Fondo Monetario Internazionale, nei mercati emergenti ridurre le disuguaglianze tra uomini e donne nel mondo del lavoro potrebbe far crescere il PIL dell’8%. In caso di piena parità, l’incremento arriverebbe al 23%.
In Italia la fotografia resta critica: dati Eurostat e Istat mostrano che il tasso di occupazione femminile si ferma al 52,5%, contro una media UE del 70%, e solo il 27,9% dei ruoli manageriali è occupato da donne.
Ma non è solo una questione di numeri. L’aumento della partecipazione femminile al mercato del lavoro e ai vertici aziendali è associato a performance migliori, anche in chiave ESG. La presenza di almeno tre donne nei consigli di amministrazione, ad esempio, migliora la governance e rafforza gli indicatori ambientali e sociali. Eppure, il potenziale resta largamente inespresso: basti pensare che alla fine del 2024 solo il 14,2% delle startup innovative in Italia è guidato da una leadership femminile — un segnale eloquente delle barriere che ancora limitano l’accesso delle donne all’imprenditorialità e all’innovazione.
Le barriere invisibili che frenano le donne
Le cause della disparità di genere sono molteplici, spesso intrecciate. I dati Istat mostrano come quasi il 34% delle donne inattive indichi nelle responsabilità familiari la principale ragione dell’esclusione dal lavoro, a fronte di un modesto 2,8% tra gli uomini. Anche la paura di fallire e la mancanza di fiducia nelle proprie competenze sono ostacoli diffusi all’imprenditorialità femminile.
Queste barriere, di natura strutturale e culturale, si rafforzano vicendevolmente: dall’accesso limitato al credito alla debolezza delle reti professionali, fino ai pregiudizi radicati nei modelli sociali e nei processi aziendali. E il divario non si arresta nemmeno nei settori tecnologici: le donne rappresentano il 55% degli iscritti all’università in Europa, ma sono solo il 32% nei corsi STEM. In ambito ICT, la percentuale scende al 20%.
Se la metà delle donne in Italia non lavora, è l’intero Paese a perdere. Serve un cambio di rotta già a scuola: tecnologie e intelligenza artificiale stanno ridisegnando le competenze e i mestieri del futuro. Se ben guidate e orientate, le ragazze hanno tutto il potenziale per guidare da protagoniste il cambiamento e conquistare la propria autonomia economica. È il momento di coltivare una mentalità digitale nelle giovani donne. Le imprese, dal canto loro, devono attivare politiche inclusive per valorizzare il merito e le competenze distintive delle donne e i WEPs vanno esattamente in questa direzione.
Darya Majidi, presidente di UN Women Italy
Due strumenti chiave: WEPs e certificazione UNI/PdR 125
Per invertire la rotta, servono politiche pubbliche ma anche strumenti volontari capaci di innescare cambiamenti concreti all’interno delle organizzazioni. Due esempi virtuosi emergono con forza: i Women’s Empowerment Principles (WEPs) delle Nazioni Unite e la certificazione italiana UNI/PdR 125:2022 per la parità di genere.
I WEPs offrono un framework valoriale e operativo che le aziende possono adottare per promuovere ambienti di lavoro inclusivi, retribuzioni eque, carriera paritaria e tolleranza zero verso le molestie. Sono oltre 112mila le imprese che li hanno sottoscritti, 155 solo in Italia.
La certificazione UNI/PdR 125, invece, è un caso di successo tutto italiano. A tre anni dalla sua introduzione, oltre 8.100 imprese hanno ottenuto il riconoscimento, molte delle quali piccole e medie. Il successo è stato favorito anche da incentivi pubblici come sgravi contributivi e punteggi premianti negli appalti. Un vero cambio di passo, che ha coinvolto settori tradizionalmente maschili come l’edilizia.
Politiche attive e alleanze strategiche
Oltre agli strumenti volontari, il report sottolinea l’importanza di un quadro normativo favorevole. L’Italia ha recepito la Direttiva europea sulla conciliazione vita-lavoro, introducendo nove mesi di congedo parentale (di cui tre al 100% dello stipendio) e dieci giorni obbligatori per i padri. Un passo avanti anche verso una distribuzione più equa del caregiving.
Sul piano europeo, la Direttiva 2022/2381 impone alle società quotate di garantire almeno il 40% di rappresentanza femminile nei board entro il 2026. E programmi come l’InvestEU Gender Finance Lab e l’EIC Women Leadership Program puntano a colmare i divari anche nell’accesso ai capitali e alla leadership nella ricerca.
La leva più promettente? Le alleanze pubblico-private. Iniziative come “Girls Go Circular” (formazione digitale per oltre 80.000 studentesse) e “Women TechEU” (supporto alle startup deep-tech fondate da donne), progetti come GOL (Garanzia di Occupabilità dei Lavoratori) in Italia o le carte volontarie nei Paesi Bassi dimostrano che la collaborazione tra istituzioni, imprese e società civile è il motore più potente del cambiamento.
Colmare il gap conviene (a tutti)
La chiusura del report è un invito all’azione rivolto al mondo produttivo.
«La parità di genere – afferma Silvana Perfetti, Chair di Deloitte Central Mediterranean – è un’infrastruttura strategica per lo sviluppo del Paese». Investire sulle donne non è solo etico, ma produttivo, innovativo, lungimirante.
Come ha sottolineato Fabio Pompei, CEO di Deloitte Italy: «Solo garantendo la piena partecipazione femminile nei luoghi dove si definiscono le traiettorie dello sviluppo, si può parlare davvero di crescita inclusiva, sostenibile e rappresentativa».
Non è più tempo di esitazioni. Le imprese che sapranno valorizzare il talento femminile, misurare il proprio impegno con strumenti rigorosi e costruire ecosistemi inclusivi saranno anche quelle più pronte ad affrontare le transizioni — digitali, demografiche e tecnologiche — che ci attendono. Perché un Paese in cui lavora solo metà delle donne è un Paese che ha deciso di sprecare metà del suo futuro.