Gli invisibili della guerra e della salute globale

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Il Festival della Mente di Sarzana, giunto alla sua XXII edizione, ha scelto come filo conduttore l’“invisibile”: ciò che resta fuori dallo sguardo, dalle statistiche, dalla memoria ufficiale. In questo orizzonte, la conferenza di Francesca Mannocchi ha dato voce a chi la guerra cancella due volte: prima con la violenza, poi con l’oblio.

Afghanistan: le donne dietro il velo dell’invisibilità

Il recente viaggio di Mannocchi in Afghanistan è diventato una lente per comprendere che cosa significhi essere invisibili. Le donne sono private dell’istruzione, dell’assistenza sanitaria, del lavoro. Non compaiono negli spazi pubblici e spesso non hanno neppure accesso ai reparti ospedalieri senza la presenza di un uomo.

Dietro il velo, letteralmente e metaforicamente, c’è una generazione di donne cancellata dalle statistiche ufficiali: ragazze escluse dalla scuola, madri senza cure ginecologiche di base, famiglie intere senza accesso a servizi sanitari essenziali. Invisibili perché rese tali da un potere che cancella la loro esistenza sociale.

In Afghanistan l’invisibilità non è metafora: è condizione biologica, sanitaria, sociale.

Il genocidio di Gaza e i giornalisti uccisi

Mannocchi ha richiamato con forza la tragedia di Gaza, parlando di genocidio e ricordando più volte i giornalisti uccisi. Sono loro, dice, a incarnare l’invisibilità estrema: testimoni che diventano bersagli, voci che si vogliono spegnere proprio perché capaci di raccontare ciò che il potere preferirebbe occultare.

E, senza testimoni, la guerra diventa ancora più invisibile. L’assenza di cronache autonome produce il vuoto che consente di negare, ridimensionare, manipolare i fatti. Ciò che non viene visto, raccontato, registrato, rischia di non esistere.

Riportare i fatti, registrarli, sottrarli alla menzogna è l’unico modo per trasformare l’invisibile in realtà riconosciuta

Ferite che non finiscono con la guerra

Mannocchi ha insistito sulle ferite invisibili che restano dopo i conflitti. La guerra non finisce con un trattato di pace: continua nelle vite di chi sopravvive, nei corpi e nelle memorie.

Le cicatrici più profonde sono quelle che non hanno voce: il dolore che non trova linguaggio, la paura che diventa quotidiana, il trauma che passa dai genitori ai figli. È un’eredità silenziosa che segna intere generazioni, e che spesso resta ai margini perché manca il modo stesso per raccontarla.

E l’assenza di racconto è essa stessa una forma di invisibilità.

Fame e malattie senza immagini

Ci sono poi le emergenze che raramente fanno notizia. Nei campi profughi, la fame consuma lentamente i corpi, compromette lo sviluppo dei bambini, ma resta fuori dalle cronache perché non produce immagini immediate.

Anche le malattie che riemergono nei contesti di guerra — infezioni non curate, epidemie trascurate — appartengono a questo universo dell’invisibile. Sono tragedie quotidiane, senza riflettori, che incidono sul futuro delle comunità molto più di una singola battaglia.

Dare voce, dare cura

Mannocchi non ha affrontato direttamente le implicazioni sanitarie, ma il suo racconto illumina nodi che chi opera nelle scienze della vita conosce bene. Gli invisibili della guerra – donne escluse dall’assistenza, popolazioni senza accesso a cure, traumi che non trovano linguaggio – sono anche gli invisibili delle statistiche sanitarie.

Ciò che non viene visto, misurato, registrato oggi diventa la sfida di domani: malattie croniche mai curate, epidemie che tornano nei contesti fragili, salute mentale trascurata per mancanza di strumenti. Sono ferite che, se ignorate, si ripresentano con forza amplificata.

L’invisibilità è pericolosa perché alimenta l’indifferenza.

Dare voce e dare cura significa spezzare il silenzio, e trasformare ciò che sembra irrilevante in priorità collettiva.

Guardare agli invisibili per non restare ciechi

La lezione di Francesca Mannocchi è netta: gli invisibili sono la maggioranza silenziosa dei conflitti, renderli visibili non è un gesto retorico, ma un atto politico e civile. Significa raccontare ciò che altrimenti verrebbe cancellato, riconoscere ciò che altri vorrebbero nascondere.

Guardare agli invisibili è l’unico modo per non restare ciechi.