Adattarsi all’evoluzione dei linguaggi

La digitalizzazione ha reso il nostro modo di comunicare più rapido e semplificato rendendo necessario adattarsi all'evoluzione dei linguaggi

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L’impatto della digitalizzazione sul modo di comunicare è stato tanto ampio da aver modificato i nostri modelli di interazione sociale.

Secondo Elisa Maria Entschew, esperta di etica economica e digitalizzazione, la diffusione dei canali digitali ha trasformato la natura stessa della comunicazione, portando a un “cambiamento strutturale della nostra vita sociale, in particolare sul posto di lavoro”.

Si tratta di un fenomeno che si accompagna spesso all’avvento di nuove tecnologie. Già nel diciannovesimo secolo, un articolo sullo Scientific American journal affermava che quelli fossero i “tempi più complessi e in più rapido cambiamento di sempre. Il ritmo dell’innovazione tecnologica sta sfidando il nostro modo di operare come mai prima d’ora». Il cambiamento più evidente riguarda la velocità della comunicazione.

Entschew spiega che l’accelerazione senza precedenti impressa dai sistemi digitali sta portando a un paradosso: l’applicazione della tecnologia per velocizzare lo scambio di informazioni avrebbe come obiettivo principale quello di liberare tempo alle persone ma in realtà produce il suo esatto opposto.

Effetto rimbalzo

Secondo un’indagine di Eurofund il rapporto che i lavoratori in EU28 hanno col tempo non è significativamente cambiato dal 2005 al 2015. Oltre il 40% dei manager sente di lavorare sotto pressione e un lavoratore su dieci – indipendentemente dal genere – afferma di non avere mai (o raramente) tempo per svolgere le sue mansioni.

Questo risultato deriva da un fenomeno chiamato “Rebound effect” (effetto rimbalzo): la semplificazione della comunicazione genera un aumento dello scambio di informazioni che consuma più tempo di quanto ne risparmi.

Un assunto piuttosto comune tra i leader aziendali sostiene che la rapidità raggiunta grazie alla tecnologia porti significativi guadagni in termini di produttività. «L’affermazione, tuttavia, trascura un problema intrinseco – avverte Entschew – cioè che queste stesse tecnologie innescano un ciclo che si autoalimenta e diventa difficile da fermare».

L’accelerazione tecnologica, ad esempio, ha introdotto nuove norme sociali che prevedono anche tempi più rapidi di risposta e più canali da gestire. Questo si traduce in un aumento dei messaggi e in un flusso quasi continuo di stimoli a cui si è costretti a rispondere. È stato calcolato che un impiegato controlla la sua casella e-mail 30 volta all’ora e che un utente medio prende in mano il suo smartphone 1.500 volte alla settimana.

Il problema del pesce rosso

La frenesia e la frammentazione della comunicazione pongono necessariamente un problema di concentrazione.

Secondo una ricerca realizzata da Microsoft, la durata media dell’attenzione umana è ora più breve di quella di un pesce rosso.

Grazie a un’intervista su 2.000 partecipanti e all’analisi dell’attività cerebrale di un altro centinaio, un team di scienziati canadesi ha scoperto che la durata media dell’attenzione umana è scesa da 12 secondi nel 2000 a 8 secondi oggi, un secondo in meno di un pesce rosso.

In quel lampo è necessario catturare l’attenzione del lettore, trasmettergli i concetti più importanti – che nel settore della Salute possono essere estremamente complessi – e coinvolgerlo in modo che continui a seguire il discorso, possibilmente fino alla fine.

In questo contesto, una delle difficoltà principali è quella di stabilire un contatto affinché le informazioni vengano trasmesse con successo. È la prima responsabilità di chi invia un messaggio: senza collegamento non esiste comunicazione e se non sussistono le condizioni adatte è inutile trasmettere alcunché. È un concetto ovvio quando si parla di reti telefoniche, è meno scontato – ma altrettanto valido – nel caso di strategie di comunicazione sui social.

Un quarto d’ora di celebrità

L’utilizzo di elementi visuali come immagini, infografiche, video è necessario ma non sufficiente: per ogni contesto – e per ogni messaggio – va individuata una soluzione specifica, che preveda il giusto mix di linguaggi e di canali, e una adeguata tempistica.

Bisogna anche tenere conto che i periodi di interesse per un determinato topic si stanno progressivamente riducendo. Secondo uno studio pubblicato su Nature Communications, l’espansione della produzione e del consumo di contenuti porta a cicli di attenzione sempre più brevi.

“Con l’aumento del flusso – spiegano i ricercatori – i singoli argomenti vengono diffusi molto più rapidamente portando a un aumento più ripido dell’attenzione collettiva e a una precoce saturazione [dell’interesse] che a loro volta portano a una caduta altrettanto ripida”.

Questo fenomeno si traduce in un tasso di ricambio più elevato tra gli argomenti popolari riducendo il tempo a disposizione dei comunicatori per affrontare i temi di proprio interesse.

Secondo Ágnes Veszelszki, professore associato di comunicazione e linguistica ungherese all’Università Corvinus di Budapest, questa situazione è destinata ad accentuarsi a causa dell’influenza della messaggistica istantanea. Questo canale è caratterizzato da salti bruschi nelle tematiche affrontate e “per mantenere l’attenzione, i partecipanti non premono ‘Enter’ solo quando hanno finito un pensiero o un discorso, ma anche dopo brani più piccoli”.

Digilect e i neologismi

La rapidità dello scambio di informazioni ha inevitabilmente portato a una estrema semplificazione del linguaggio utilizzato.

Veszelszki sostiene che i media digitali abbiano creato un nuovo tipo di linguaggio che sta contaminando anche il modo in cui ci esprimiamo quotidianamente. Secondo l’esperta, questo nuovo linguaggio, per il quale ha coniato il termine “digilect”, è fortemente influenzato dalla comunicazione orale: assomiglia al dialogo, è meno strutturato del tradizionale testo scritto e ha regole ortografiche e grammaticali meno rigide.

Questo conduce a una semplificazione generale del linguaggio e all’adozione – non solo tra i giovani – di varianti ortografiche come i “netologismi” (neologismi derivati direttamente dall’uso dei media digitali, come il verbo “googlare”) o le combinazioni di simboli che riproducono un emoticon (ad esempio 🙂 per lo smiley).

«La comunicazione pianificata non è più considerata ideale, nemmeno in letteratura» nota Veszelszki, come dimostra la nascita del romanzo per cellulare, un formato letterario particolarmente popolare in Giappone e in Cina, composto di brevi capitoli inviati agli abbonati via e-mail o Sms.

Il fenomeno di semplificazione non risparmia nemmeno il linguaggio per immagini. Intervenendo a una tavola rotonda sulla comunicazione nel settore della salute organizzata da Makinglife insieme a Deloitte Italia, Mario Addis, animatore e disegnatore (nonché autore delle copertine e delle graphic novel di questa rivista) ha sottolineato che il quotidiano utilizzo di elementi stereotipati, come le icone e le emoji, sta riducendo la capacità interpretativa degli utenti, ingabbiando la gamma di emozioni in un numero limitato di categorie elementari.

La sfida consiste dunque nel combinare questi elementi semplificati per esprimere situazioni emotive più complesse e veicolare messaggi tecnici ed elaborati. Una situazione paradossalmente complicata. Costruire discorsi articolati con elementi semplici è come lavorare col Lego: si possono ottenere risultati impressionanti ma servono programmazione, studio, preparazione. E un’elevata attitudine a sperimentare.

Le persone non comprano prodotti ma benefici e sensazioni, per questo la comunicazione standard deve essere rovesciata.

Gianluigi Bonanomi

Costruire relazioni

Come è possibile creare una connessione con utenti che hanno poco tempo, ancor meno attenzione e ricevono ininterrottamente stimoli e richieste? La risposta risiede nella capacità di chi comunica di creare un rapporto con l’interlocutore.

Secondo Gianluigi Bonanomi, formatore sui temi della comunicazione digitale, la comunicazione non può essere fine a sé stessa ma deve essere mirata a costruire relazioni. La chiave è la componente emotiva, che deve legare chi parla e chi ascolta e deve basarsi sulla condivisione di interessi e valori.

Il senso della comunicazione sui social, ad esempio, non è quello di produrre like o commenti ma di posizionarsi, rendersi interessanti per gli interlocutori e creare le basi per generare delle relazioni durature. Diventa fondamentale calibrare la comunicazione per coinvolgere in una discussione aperta il maggior numero di persone con un interesse in comune, in modo da creare un network e costruire un ambiente di scambio reciproco.

Come afferma Valeria Brambilla, Partner italian Life sciences and Healthcare leader di Deloitte Italia, il rapporto tra aziende e clienti non può basarsi più sul prodotto, per quanto valido possa essere, o su un momentaneo impulso emotivo. È fondamentale che chi compra riconosca nel venditore i propri valori, che ne condivida l’approccio e soprattutto che si fidi. La fiducia è l’aspetto che più di ogni altro lega cliente e azienda e in questo la comunicazione gioca un ruolo predominante.

Per raggiungere questi risultati, però, è necessario ascoltare bene gli interlocutori, capire quali sono le loro reali esigenze. «Da questo punto di vista è ancora diffuso un approccio inefficace da parte delle aziende – avverte Bonanomi – che spesso prediligono ancora un tipo di comunicazione autoreferenziale, ego-riferita, basata sulla promozione delle proprie caratteristiche e qualità anziché sulla creazione di un ambiente di discussione comune con i propri stakeholder, delle community in cui i partecipanti diventano spontaneamente dei brand ambassador».

In campo farmaceutico la libertà comunicativa è evidentemente ridotta dai limiti normativi ma ci sono comunque molte possibilità di trasmettere informazioni e messaggi ai propri stakeholder. In settori molto regolamentati come quello pharma, gli obiettivi della comunicazione si stanno spostando dalla generazione diretta di business all’accrescimento del valore del brand: il messaggio si focalizza sui valori aziendali, sulla qualità dell’ambiente di lavoro, sulla consapevolezza riguardo una malattia o un metodo terapeutico ecc.

Quando è realizzata in modo efficace, questa strategia genera “enterprise value”, un valore generalmente mantenuto anche a lungo termine.

La parola al Robot

Un aspetto vagamente inquietante, almeno per chi svolge il mio lavoro, riguarda la possibilità che in futuro l’intelligenza artificiale sostituisca i giornalisti nella produzione degli articoli.

Futuristico? Non troppo.

È stato stimato che nel 2025 la metà della comunicazione sui social (anche aziendale) sarà preparata da sistemi di intelligenza artificiale, peraltro già ampiamente utilizzati per creare rapidamente testi standard come schede prodotto, descrizioni aziendali, advertising, ma anche post per social media e proposte di copy. Non potevamo esimerci dal testare questa possibilità e abbiamo affidato la continuazione di questo testo a uno di questi algoritmi che ha subito cercato di rassicurarci. Ecco cos’ha prodotto:

“Gli AI writer non stanno sostituendo gli scrittori. Forniscono assistenza agli autori di contenuti eliminando il blocco dello scrittore e generando idee per i contenuti su larga scala. Ci sono molti casi d’uso per gli strumenti di scrittura AI nel futuro del copywriting, tra cui:

  • scrivere articoli per diversi argomenti o generi di nicchia,
  • scrivere blog e notizie su problemi di salute,
  • fornire assistenza per la produzione di pezzi di lunga durata come libri e documenti di ricerca.

L’intelligenza artificiale ci aiuterà in futuro con analisi approfondite per articoli e ricerche relativi alla salute attraverso l’elaborazione di big-data. Fornirà una migliore comprensione delle malattie con cui abbiamo a che fare, il che porterà a trattamenti e cure più efficaci in futuro. Gli articoli sulla salute generati dall’intelligenza artificiale sono un nuovo modo per aiutare i professionisti medici a farsi comprendere dai pazienti.

Gli articoli sulla salute generati dall’intelligenza artificiale possono essere utilizzati come riferimento per medici e infermieri in prima linea nell’assistenza.

Ci sono molti vantaggi per gli articoli sulla salute generati dall’intelligenza artificiale, ma ci sono anche alcuni inconvenienti. Uno dei vantaggi è che è un modo semplice per generare contenuti senza dover passare ore a cercare dati e fonti. Ci sono anche alcuni rischi associati, come la possibilità che l’articolo non venga preso sul serio dai professionisti medici perché è stato generato da un algoritmo invece che scritto da un professionista umano”.

Senz’altro il nostro robot non vincerà il Pulitzer né un premio letterario ma è certo l’autore più veloce in redazione: per preparare questo testo – che supera le verifiche anti-plagio col massimo punteggio – ha impiegato meno di mezzo minuto.

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