Henlius e la nuova geografia del biotech

Shanghai Henlius Biotech ha ottenuto il via libera della Food and Drug Administration statunitense per avviare la Fase 1 clinica del biosimilare di pembrolizumab, uno degli anticorpi monoclonali più redditizi della storia. Non si tratta solo di una mossa industriale: è il riflesso di un ecosistema biotech asiatico in rapida maturazione, che cambia gli equilibri globali e spinge l’Europa a interrogarsi sulla propria capacità competitiva.

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Quando la statunitense Food and Drug Administration concede a una biotech cinese l’autorizzazione a condurre uno studio clinico su suolo americano, non è una notizia come le altre. È quanto accaduto a Shanghai Henlius Biotech, che ha ricevuto l’ok per avviare la sperimentazione di HLX17, biosimilare di pembrolizumab (Keytruda, Merck & Co.). Un segnale dirompente: non siamo più di fronte a player locali che cercano di conquistare la propria fetta di mercato domestico, ma a realtà pronte a giocare la partita sui tavoli più competitivi, nel cuore del sistema regolatorio occidentale.

Keytruda è, a oggi, uno dei farmaci più venduti al mondo, con fatturati annuali che sfiorano i 25 miliardi di dollari. La sua scadenza brevettuale, prevista nel 2028 negli Stati Uniti e poco dopo in Europa, apre un mercato potenziale enorme per i biosimilari. Henlius, arrivando per prima con un candidato biosimilare in Fase 1 approvato dalla FDA, si posiziona non come semplice follower ma come protagonista di una sfida globale.

Il biotech cinese esce dai confini

Per comprendere il valore di questa approvazione, occorre guardare al contesto. La Cina ha fatto della biotecnologia uno dei pilastri della propria strategia industriale nazionale. Negli ultimi quindici anni Pechino ha investito massicciamente in infrastrutture di ricerca, parchi tecnologici, centri di produzione GMP e sistemi di formazione avanzata. Parallelamente, la riforma dell’autorità regolatoria (NMPA) ha ridotto tempi e rigidità burocratiche, allineandosi progressivamente agli standard ICH e FDA.

Il risultato è un ecosistema che non solo produce generici o copie, ma genera pipeline innovative, con candidati in oncologia, immunologia e terapie avanzate. Henlius ne è un esempio: nata nel 2010, la società ha costruito un portafoglio di oltre 50 molecole in sviluppo, spaziando dai biosimilari agli anticorpi innovativi.

Questa crescita è sostenuta da una combinazione di venture capital domestico e politiche di sostegno pubblico, che offrono incentivi fiscali e accesso facilitato ai mercati finanziari. Non sorprende che molte Big Pharma occidentali stiano già stringendo partnership in Cina, attratte da costi competitivi, velocità di sviluppo e capacità di accesso a grandi coorti di pazienti per i trial clinici.

L’Europa in affanno tra ricerca e mercato

Se la Cina accelera, l’Europa sembra arrancare. Non mancano le competenze scientifiche: università, centri clinici, network di ricerca biomedica sono tra i migliori al mondo. Ciò che frena la competitività europea è piuttosto la lentezza dei processi autorizzativi, la frammentazione normativa tra Stati membri e la difficoltà di reperire capitali consistenti nelle fasi precoci di sviluppo.

Negli ultimi dieci anni la quota europea dei trial clinici globali si è ridotta drasticamente, mentre quella cinese è cresciuta. Le startup biotech del Vecchio Continente faticano ad attrarre investitori pronti a correre i rischi delle fasi precliniche, e spesso devono rivolgersi agli Stati Uniti per crescere.

A questo si aggiunge la questione dei biosimilari. L’EMA ha fatto passi avanti, aprendo a una possibile riduzione degli studi clinici di efficacia laddove i dati di comparabilità preclinica siano robusti. Ma la percezione culturale e politica resta più lenta: i biosimilari sono accolti con prudenza, e la loro intercambiabilità non è ancora universalmente accettata.

Stati Uniti, ancora centro del biotech ma con nuovi concorrenti

Gli Stati Uniti restano leader nell’innovazione biotech, grazie a un ecosistema unico di università, venture capital e grandi aziende. Ma anche qui emergono sfide: l’aumento dei costi di sviluppo, le pressioni sul prezzo dei farmaci e l’imminente scadenza di brevetti multimiliardari aprono la porta a una concorrenza che non arriva più solo dall’Europa, ma soprattutto dall’Asia.

L’autorizzazione FDA a Henlius non significa che il cammino verso l’approvazione di un biosimilare di Keytruda sia spianato. Ma sancisce un punto di svolta: la Cina non è più un osservatore esterno. È un attore che gioca dentro il campo regolatorio americano, con le stesse regole degli altri.

Implicazioni per Big Pharma e sistemi sanitari

L’ingresso di player asiatici nel mercato globale dei biosimilari può avere effetti profondi.

  • Per le Big Pharma, significa dover difendere fatturati miliardari con strategie più complesse: innovare pipeline, stringere alleanze, diversificare i portafogli.

  • Per i sistemi sanitari, significa la prospettiva di un accesso più ampio a terapie biologiche di alto costo, con un impatto diretto sulla sostenibilità della spesa pubblica.

  • Per le biotech europee, rappresenta un campanello d’allarme: il rischio è restare schiacciate tra giganti americani e concorrenti cinesi, se non si riesce a costruire un ecosistema competitivo.

La nuova geografia del biotech

Henlius non è un caso isolato ma l’emblema di un trend più ampio. La geografia del biotech sta cambiando: l’asse si sposta progressivamente verso l’Asia, mentre Europa e Stati Uniti devono ridefinire il proprio posizionamento.

Per l’Europa, la sfida è duplice: rimuovere i colli di bottiglia regolatori e finanziari che frenano le proprie biotech, e valorizzare l’enorme capitale scientifico che già possiede. Per gli Stati Uniti, si tratta di mantenere la leadership, aprendo al contempo a una competizione che non potrà più essere evitata.

In questo scenario, l’approvazione FDA di HLX17 è molto più di un passaggio tecnico: è il simbolo di una corsa che ridisegnerà l’industria farmaceutica globale.