Verso un’Europa leader nelle life science

La strategia UE e il futuro Biotech Act puntano a ridisegnare il ruolo competitivo del continente. Per l’Italia si apre una finestra di opportunità industriale e regolatoria, ma la velocità d’esecuzione sarà decisiva.

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Negli ultimi anni l’Europa ha scoperto la propria fragilità industriale nel settore delle scienze della vita. Dopo decenni di progressivo spostamento della leadership biotecnologica verso Stati Uniti e Cina, la Commissione Europea ha scelto di reagire con una strategia strutturale.
La European Life Sciences Strategy, pubblicata nel luglio 2025, è il quadro di riferimento di questa ambizione. Al suo interno prende forma il nuovo EU Biotech Act, una proposta legislativa attesa entro fine anno che punta a creare un contesto regolatorio più agile e competitivo per le imprese pharma e biotech europee.

Un potenziale ancora inespresso

Il punto di partenza è chiaro: l’Europa eccelle nella ricerca ma fatica a trasformarla in innovazione di mercato. Le biotecnologie europee rappresentano circa il 20% del valore globale del settore, ma la quota di investimenti privati e di scale-up resta molto inferiore rispetto ai principali competitor internazionali.
La frammentazione dei mercati regolatori, la lentezza dei processi autorizzativi e la scarsità di capitali di rischio hanno frenato la crescita di molte PMI innovative, costringendole a cercare risorse oltreoceano. È questa la criticità che il Biotech Act intende risolvere.

Il Biotech Act come cambio di paradigma

Nei piani della Commissione, la nuova cornice normativa dovrà semplificare i percorsi di sviluppo e autorizzazione per i prodotti biotecnologici, favorire la gestione dei trial clinici multi-paese e sostenere la nascita di poli di biomanufacturing industriale.
Al tempo stesso, Bruxelles punta a creare infrastrutture e competenze condivise, promuovendo partenariati pubblico-privati e piattaforme di trasferimento tecnologico.
Per le aziende farmaceutiche, questo significa un passaggio da un modello basato sull’eccellenza scientifica isolata a un ecosistema integrato, dove ricerca, industria e finanza convergono sotto una regia comune. Non deregolazione, ma sostenibilità regolatoria e industriale.

Produzione e reshoring come leva strategica

Sul piano industriale, il Biotech Act potrebbe favorire il reshoring produttivo di segmenti ad alto valore. I costi energetici in calo e la crescente attenzione alla sicurezza delle catene di fornitura rendono più realistico il ritorno di produzioni critiche in Europa.
Tuttavia, senza coordinamento tra Stati membri e incentivi mirati per le PMI, il rischio è che il vantaggio resti sulla carta. Le grandi multinazionali potranno adattarsi rapidamente; le imprese più piccole avranno bisogno di strumenti finanziari e partnership stabili per sostenere la transizione.

Una nuova governance della regolazione

Il Biotech Act si propone anche di ridurre la frammentazione tra normative nazionali su biosicurezza, dati e valutazioni etiche.
L’introduzione di “regulatory sandboxes”, spazi di sperimentazione regolatoria, permetterà di testare nuovi modelli di valutazione in dialogo con le autorità competenti. È un approccio inedito per l’UE, che riconosce come la rigidità dei processi possa rallentare la competitività in un contesto globale dove la velocità è parte integrante dell’innovazione.

L’Italia tra opportunità e rischio di fuga

Per l’Italia, oggi tra i principali poli produttivi farmaceutici europei ma ancora marginale nel biotech, la sfida è duplice.
Occorre rafforzare il legame tra ricerca pubblica e industria, valorizzare i centri di eccellenza e creare condizioni fiscali e infrastrutturali capaci di trattenere sul territorio i progetti innovativi.
Senza una strategia nazionale coerente, il rischio è una nuova “fuga dell’innovazione”, con start-up nate in Italia che trasferiscono sedi e brevetti all’estero per accedere a capitali e percorsi regolatori più rapidi.

Il ruolo delle PMI e delle tecnologie abilitanti

Le PMI italiane possono essere protagoniste del nuovo scenario se investiranno in digitalizzazione e tecnologie abilitanti come intelligenza artificiale, dati clinici integrati e produzione avanzata.
Per competere nei nuovi bandi europei sarà necessario rafforzare le competenze manageriali e costruire reti di collaborazione internazionale. Le grandi aziende, dal canto loro, dovranno evolvere verso modelli di open innovation più dinamici, capaci di integrare know-how locale e partner biotech emergenti.

Velocità e concretezza: le due condizioni del successo

Il successo del Biotech Act dipenderà dalla rapidità con cui verranno attivati incentivi fiscali, fondi dedicati e semplificazioni amministrative. La finestra temporale è stretta: entro il 2030 il mercato globale delle life sciences potrebbe raddoppiare di valore, ma solo i sistemi regolatori più efficienti potranno intercettarne i benefici.
L’Europa non può permettersi un’altra occasione mancata. Per l’Italia si tratta di decidere se essere parte della spinta propulsiva o restare spettatrice di un cambiamento già in atto.

Una prova di maturità industriale

Il Biotech Act non è solo una riforma normativa: è un test di maturità per il sistema europeo.
Misurerà la capacità delle istituzioni e delle imprese di collaborare in un ecosistema che unisca innovazione, sostenibilità e competitività.
Per l’Italia, è il momento di passare dall’eccellenza produttiva alla leadership nell’innovazione. La partita è già iniziata — e si gioca sulla velocità con cui saremo capaci di interpretare il futuro.