La Sanità è cambiata davvero tanto, negli ultimi mesi, come mai era successo prima d’ora. In questa rivoluzione, il ruolo capillare dell’innovazione digitale è stato fondamentale nell’ottica della creazione di valore per i pazienti. Emanuele Lettieri, docente presso il Dipartimento di Ingegneria Gestionale del Politecnico di Milano, ha messo a fuoco questo punto, sulla base dei dati raccolti e analizzati dall’Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità dello stesso ateneo nel corso dei Digital for Clinical Days.
Innovazione digitale: il bisogno di informazione
Fra i grandi cambiamenti delineati dall’innovazione digitale in Sanità nei tempi recenti, anche la rilevazione del grande bisogno di informazione da parte dei cittadini.
Complice la pandemia, le lunghe giornate trascorse in casa durante i lockdown e le preoccupazioni vissute in termini di rischi per la salute, è aumentato in maniera significativa il numero delle ricerche online.
Il 73% dei cittadini ha avvertito una maggiore necessità di rivolgersi alla rete per reperire informazioni di carattere generale relative alla salute o più precisamente riferite alle opzioni terapeutiche per il trattamento dei disturbi (COVID-19 in particolare), per la loro diagnosi e per la gestione della self-medication.
Ma attenzione: non si tratta della consultazione del caro vecchio Dr Google. Lettieri osserva come l’approccio del pubblico non sia più quello che molta parte del pensiero comune vuole immaginare, ma di ricerche serie, svolte da cittadini che vogliono essere più attivi nella gestione della loro salute.
Un aspetto che comporta assunzioni di responsabilità per tutti gli attori coinvolti nel sistema, come quella di mettere a disposizione informazioni di qualità in grado di rispondere agli interrogativi degli utenti.
Di fatto, le survey mettono in evidenza il fatto che i cittadini spesso riconoscano poco valore alle informazioni trovate online oppure non trovino risposta ai propri dubbi.
Il pubblico mostra di voler essere indirizzato verso fonti utili e autorevoli dal personale sanitario qualificato, che riscuote la sua fiducia, ma anche i medici hanno difficoltà a consigliare siti nei quali reperire questo tipo di informazione.
Si pone dunque il problema di come offrire una comunicazione corretta e di valore sui temi sanitari, un tema che intercetta l’interesse di tutte le parti coinvolte.
L’omnicanalità nei servizi digitali al cittadino
Negli ultimi mesi i pazienti hanno sfruttato come mai prima d’ora i servizi messi a disposizione dalle istituzioni sanitarie: il 66% di loro ha dichiarato di avere effettuato almeno una prenotazione online, il 44% un pagamento, ma il numero che più colpisce riguarda il download dei referti (62%).
Si tratta di dati importanti, che attendevamo da anni e che sono arrivati perché i cittadini si sono visti obbligati a utilizzare questi servizi. Da qui in avanti, è importante non perdere gli avanzamenti ottenuti.
Per quanto riguarda la prenotazione della vaccinazione, i canali digitali hanno fatto la parte del leone, con un livello di gradimento dell’usabilità delle piattaforme di poco inferiore al 10 (in una scala da 1 a 10): questo ci dice che, quando lo strumento è valido, il pubblico ne fa uso.
Dallo studio emerge chiaramente che coloro che non hanno utilizzato il servizio semplicemente non erano in grado di farlo. La motivazione non è il pregiudizio, la sfiducia nei confronti del digitale, che sono ostacoli superati.
Da questo punto di vista, occorre quindi mettere a disposizione del cittadino strumenti di innovazione digitale semplici, che non siano, per complessità di utilizzo, veicolo di segregazione nell’accesso.
Su questi aspetti sociali, Lettieri esprime l’auspicio alla creazione di una Sanità che non sia 100% digitale, ma omnicanale, che sappia unire momenti digitali e momenti analogici. Una sfida senza dubbio molto complessa.
Le app per la salute
Su questo tema esiste ancora molta confusione. Teniamo conto del fatto che il tasso di innovazione rispetto a queste soluzioni è molto elevato: ogni 9 minuti una nuova app finalizzata alla salute e al benessere è disponibile negli store.
Limitando l’analisi alle App as a Medical Device, i medici si sentono mediamente di raccomandarne l’uso, soprattutto se si tratta di strumenti per il miglioramento degli stili di vita. Un aspetto sicuramente di grande interesse, ma che ne presuppone la validazione clinica.
Il fine è quello di rendere le app disponibili nel portafoglio prescrittivo dei medici, perché quando sono i clinici stessi a raccomandarne l’impiego significa che sono diventate a tutti gli effetti parte del percorso di cura. Il loro ruolo può diventare strategico soprattutto nell’ottica del miglioramento dell’aderenza terapeutica, aspetto per il quale le soluzioni oggi esistenti non sono adeguate alle reali esigenze.
La casa come luogo di cura
A supporto delle App as a Medical Device, si sta lavorando sull’introduzione da un lato delle chatbot e dall’altro degli assistenti vocali.
La chatbot è stata usata come prefiltro per fornire informazioni sulle modalità di limitazione del rischio di contagio da SARS-CoV-2.
A Londra, l’NHS ha impiegato Babylon per filtrare l’accesso al medico di famiglia. Tuttavia, su questo punto i medici italiani sono piuttosto preoccupati, perché ritengono che non abbiamo attualmente a disposizione strumenti sufficientemente evoluti.
La soluzione a questo problema potrebbe essere quella di includere i clinici nello sviluppo di questi strumenti.
In generale, si è registrato un parere molto positivo sui device che permettono un monitoraggio degli stili di vita, il rispetto di alcune restrizioni alimentari, la pianificazione dell’attività fisica, la tutela dell’equilibrio del sonno e dell’umore. Esiste ancora una certa sfiducia, per contro, per quanto riguarda l’indicazione sull’uso del farmaco.
Sul fronte degli assistenti vocali, lo spazio di ottimizzazione di impiego in Sanità è vasto. La casa, nella Sanità del prossimo futuro, sarà anche un luogo di cura. Dall’altro lato, occorre anche tenere presente il fatto che una famiglia su 3 in Italia dispone di un assistente vocale.
L’inclusione di queste soluzioni nell’ambito della digital health rappresenta dunque un’opportunità incredibile.
Le criticità emerse in merito riguardano essenzialmente la compliance alla normativa GDPR.
Anche su questo punto, il parere positivo dei medici si concentra sugli strumenti che possono fornire indicazioni sulla prevenzione.
Telemedicina: perché non semplicemente medicina?
Negli ultimi 12-18 mesi abbiamo assistito ad un’impennata nell’uso degli strumenti di telemedicina da parte sia dei medici di famiglia che degli specialisti e all’apertura di un dibattito sulla rimborsabilità di questi servizi.
In particolare, lo strumento più usato è quello del teleconsulto (medico di famiglia vs specialista o specialista vs specialista). Ma è stato osservato anche un incremento significativo dell’utilizzo di strumenti di televisita.
Meno usata la teleriabilitazione, ma anche in questo settore c’è fermento.
Anche qui l’omnicanalità dell’innovazione digitale sarà la vera sfida dei prossimi anni: occorrerà riorganizzare percorsi, competenze e processi.
Il più grande errore che possiamo fare è introdurre tecnologie nuove su procedure vecchie
Maurizio Colombo – Sapio Group
Negli ultimi mesi, la percezione da parte dei medici della telemedicina è cambiata moltissimo, la fiducia aumentata. Il 92-95% medici dichiara di essere aperto all’uso di questa modalità assistenziale.
L’auspicio è che perda il prefisso (che deve diventare una reminiscenza del passato) e diventi medicina, semplicemente.
Per raggiungere questo obiettivo, però, non si può vivere di casi episodici, di progetti pilota. Le applicazioni della telemedicina devono diventare routine, pratica quotidiana, in modo da consentirci anche di ottenere dati che permettano la valutazione e la validazione di questi strumenti. E il percorso di cura deve essere completamente ripensato.
Individuare nuovi linguaggi di comunicazione
La tecnologia è importante, ma senza nuove competenze fatica a produrre valore. Da questo punto di vista, l’obiettivo è quello di riorganizzare la formazione continua dei medici, declinandola anche in funzione del digitale.
È necessario che i medici individuino nuovi modi di comunicazione, che apprendano un uso più proficuo dei social media, che sappiano andare al di là della rivista scientifica, che possano agire in favore dell’alfabetizzazione dei pazienti.
Nell’analisi condotta dall’Osservatorio Sanità Digitale, le competenze sono state suddivise in digital literacy (che coincide con la capacità di usare gli strumenti digitali nella vita quotidiana) e e-Health competencies (la capacità di utilizzare strumenti digitali per le attività professionali).
I medici mostrano una buona digital literacy di base, ma emergono alcune difficoltà nell’impiego dei social media, delle chatbot e degli assistenti vocali, legate al ridotto livello di conoscenza di queste risorse. Su questo punto lo spazio di lavoro è molto ampio.
Inoltre, malgrado i sistemi di supporto decisionale siano estremamente diffusi, i medici non li inquadrano fra gli strumenti digitali principali a loro disposizione.
In quali direzioni lavorare
In primis, è chiara la necessità di allocare risorse economiche ingenti, aspetto che rappresenta il limite principale alla digitalizzazione, secondo i direttori generali delle aziende ospedaliere. Si tratta di progetti di medio-lungo termine, interventi strutturali, che richiedono investimenti di una certa dimensione, ma anche una seria e attenta valutazione.
Occorre anche mettere mano alla governance, strutturare l’interoperabilità dei sistemi, allo scopo di rendere i dati disponibili su tutti i fronti.
Ma, punto forse più importante, bisogna lavorare sulla cultura digitale, sul favorire il cambio di paradigma, la coesistenza di percorsi analogici e percorsi digitali, e sullo sviluppo delle competenze.
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