Perché l’industria farmaceutica non può essere più trasparente?

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Essere trasparenti in tema di produzione farmaceutica non è così scontato come potrebbe sembrare. L’industria del settore – pur perfettamente conscia delle crescenti aspettative sociali amplificate dall’emergenza Covid-19 – non sempre è in grado di applicarla al livello che meriterebbe.

Lo afferma, in un’intervista per il podcast di EFPIA (European federation of pharmaceutical Industries and associations), Andy Powrie-Smith, executive director of communications & partnerships dell’associazione, che ha provato a rispondere a una domanda che sta ormai diventando un tormentone per il settore: “L’industria farmaceutica non potrebbe essere più trasparente?”

Una questione tutt’altro che banale perché una gestione carente su questo aspetto potrebbe avere serie conseguenze sulla reputazione dell’intero settore.

In tema di trasparenza, uno degli aspetti più delicati riguarda senz’altro la negoziazione dei prezzi.

Cominciamo con i costi di ricerca e sviluppo: perché non spiegare semplicemente quali sono i costi di ricerca e sviluppo di un farmaco e quindi il prezzo che ne deriva? È una semplice correlazione: perché non è così ovvio per l’industria?

I costi di ricerca e sviluppo

L’industria farmaceutica – spiega Powrie-Smith – investe in Europa 35 miliardi per ricerca e sviluppo. Qualsiasi azienda che fa questo tipo di investimenti sarebbe felice di renderli pubblici e, naturalmente, gli importi dettagliati di questi stanziamenti vengono pubblicati in tutti i report finanziari – e non – prodotti dalle società. Le imprese del settore raccontano costantemente come investono in ricerca e sviluppo e dal punto di vista della trasparenza sono stati mossi molti passi avanti anche in termini di condivisione responsabile dei dati sugli studi clinici.

Ma «quando si tratta di attribuire gli investimenti a una particolare terapia la questione diventa più problematica» spiega Powrie-Smith.

È molto difficile distinguere con precisione le spese e le risorse impiegate in decenni di ricerca in un’ampia area terapeutica e attribuirle a una particolare molecola o a un particolare candidato in arrivo.

Ad esempio, un’azienda impegnata nella ricerca sulla demenza spenderà decenni – e miliardi di euro – per costruire conoscenze sulle diverse forme della malattia, sui meccanismi della patologia, sui biomarcatori, e come risultato potrebbe ottenere uno, due, tre candidati. Diventa così incredibilmente difficile ripartire i costi specifici che sono stati necessari per comprendere il meccanismo della malattia.

Comunicare la complessità

Un secondo punto è rappresentato dal fatto che i costi di ricerca e sviluppo non possono da soli stabilire il prezzo di un medicinale. Un calcolo di questo tipo porterebbe facilmente a distorsioni. Potrebbero esserci farmaci, ad esempio in oncologia, che hanno richiesto incredibili risorse economiche per essere sviluppati ma che si rivelano meno efficaci di altri la cui individuazione ha comportato costi minori. Se ci basassimo solo sull’equazione costi di ricerca- prezzo, i cittadini finirebbero per pagare di più per medicinali meno efficaci.

«Quello di cui abbiamo bisogno è incentivare i prodotti che fanno davvero la differenza per i pazienti; incentivare il valore, non ricerche lunghe e costose».

Certo, l’industria deve diventare abile a spiegare tutto questo. Si tratta di una sfida complessa: il processo di ricerca e sviluppo è incredibilmente articolato, reso più ostico dal gergo tecnico, da meccanismi complicati. Inoltre, gli investimenti complessivi devono essere attentamente dettagliati, specificando dove ci sono stati finanziamenti pubblici e chiarire perché i diversi settori della comunità di ricerca hanno ruoli diversi.

Tutto questo è importante per costruire la trasparenza, che è diversa dal solo prezzo.

La negoziazione dei prezzi

C’è una domanda ricorrente – e particolarmente delicata – sul tema dei prezzi: perché le aziende farmaceutiche non rivelano ciò che viene negoziato in ogni Stato? Perché i cittadini non possono sapere qual è il prezzo netto pagato in Germania o in Francia o in Belgio?

«Ovviamente – risponde Powrie-Smith – noi condividiamo con pazienti, medici, sistemi sanitari e governi l’obiettivo di ottenere un accesso più rapido ed equo per i pazienti in tutta Europa. Sappiamo che ci sono enormi differenze a livello globale, ma anche tra gli stessi Paesi dell’Unione Europea. La riservatezza sul prezzo netto permette di differenziare tra queste situazioni, consente di sostenere i Paesi con un PIL più basso, in modo che possano avere un accesso alle cure facilitato per i loro cittadini. Se tutte le diverse negoziazioni fossero di dominio pubblico sarebbe più difficile, da un punto di vista commerciale, poter differenziare il prezzo tra un Paese e l’altro. C’è il rischio che si elimini la possibilità per i sistemi sanitari di chiudere un accordo con un’azienda sulla base delle condizioni economiche, sociali e sanitarie di quel particolare Paese».

Riferimenti

https://www.efpia.eu/news-events/the-efpia-view/blog-articles/can-the-pharmaceutical-industry-be-more-transparent/