Geopolitica dell’intelligenza artificiale

L’AI è una filiera globale intrecciata e iperpoliticizzata, dove scienza, industria e geopolitica si fondono in una competizione per il controllo dei nodi strategici, dal silicio ai talenti, dai modelli agli algoritmi

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L’intelligenza artificiale ha smesso da tempo di essere solo un campo di ricerca tecnologica. È ormai un asse strategico della competizione globale, con implicazioni che coinvolgono scienza, economia e politica. Secondo il quadro disegnato dal 2025 AI Index Report, l’AI pensa cinese ma agisce americano. Nel panorama globale, infatti, da un lato il baricentro della produzione scientifica si sta spostando a est, con l’area dell’Asia-Pacifico che nel 2023 ha generato oltre un terzo delle pubblicazioni mondiali sull’AI (34,5%), Cina in testa con oltre il 23%, ben oltre Stati Uniti (9,2%) ed Europa (15,2%). 

Sul lato produttivo, però, la bilancia si sposta. Nel 2024, gli Stati Uniti hanno generato 40 dei cosiddetti notable AI model, contro i 15 della Cina. Nessun altro Paese, dal 2003, ha creato più innovazioni di punta. A questo primato tecnico si somma un predominio finanziario: con oltre 109 miliardi di dollari investiti nel solo 2024 (+50,7% rispetto all’anno precedente), gli Usa si confermano l’epicentro economico, rispetto ai 9,3 miliardi del mercato cinese (-1,9%). L’Europa fa un po’ meglio, con oltre 19 miliardi di investimenti (+60%).

Lo scenario geopolitico dell’AI è però reso molto più complesso da una filiera che attraversa più volte vari continenti coinvolgendo – oltre alle due superpotenze – numerose altre nazioni come India, Taiwan, Messico, Malesia, Corea del Sud, Giappone, Regno Unito, Unione europea.

Ne parliamo con Alessandro Aresu,  scrittore, consulente ed esperto di politiche pubbliche, strategie e geopolitica, nonché autore del saggio di recente pubblicazione “Geopolitica dell’intelligenza artificiale”. 

Come si inserisce la corsa all’AI nel contesto geopolitico attuale? 

Da tempo viviamo in un processo che definisco di “capitalismo politico”, in cui la competizione tra Stati Uniti e Cina, almeno a partire dalla presentazione del piano cinese Made in China 2025 nel 2015, ha comportato un crescente intreccio tra obiettivi di mercato e obiettivi politici, attraverso l’allargamento della sicurezza nazionale a vari settori tecnologici. Così, se seguiamo il percorso delle grandi aziende tecnologiche globali nell’ultimo decennio, se studiamo per esempio realtà come ASML, BYD, DeepMind, NVIDIA, Palantir, TSMC, vediamo in modo crescente che devono considerare questioni politiche e rischi politici, dai dazi, alle sanzioni, ai controlli sulle esportazioni. L’intelligenza artificiale si inserisce esattamente in questo percorso e non può essere compresa se non in questo contesto.

Qual è la posta in gioco a livello geopolitico?

Anzitutto, l’intelligenza artificiale non è un ambito separato ma è parte di un’evoluzione della digitalizzazione e dell’industria dei semiconduttori. Per “fare” l’intelligenza artificiale, servono le cosiddette “fabbriche dell’intelligenza artificiale”, cioè i data center, secondo la tesi che NVIDIA ha sviluppato nel corso di molti anni e che ha portato alla realizzazione dei suoi sistemi; allo stesso tempo, i data center dipendono da “fabbriche delle fabbriche dell’intelligenza artificiale”, cioè i luoghi della produzione dei semiconduttori di Taiwan Semiconductor Manufacturing Company, le memorie coreane e statunitensi, gli assemblatori taiwanesi, la chimica, i gas industriali, l’acciaio, il rame, l’energia e molto altro. Il controllo e l’organizzazione di questa supply chain, molto più complessa della struttura di aziende di software, è l’aspetto centrale e più importante. 
I driver principali che guidano le dinamiche geopolitiche sono la geografia dei talenti, cioè dove studiano i talenti STEM e in quali università o centri di ricerca lavorano, e in quali imprese, e la struttura delle infrastrutture di calcolo, pertanto le varie capacità legate all’industria dei semiconduttori, al suo ecosistema, e alla costruzione dei data center.

I principali competitor al momento sono USA e Cina: quali sono i loro obiettivi?

Il primato tecnologico, in tecnologie cosiddette fondative o emergenti, ha sempre accompagnato il primato politico e nel sistema internazionale. Pertanto ognuno dei contendenti persegue la corsa all’intelligenza artificiale per mantenere o migliorare la propria posizione internazionale e per la diffusione delle tecnologie in ambito militare e industriale. Questo vale per Stati Uniti e Cina, ovviamente con i loro diversi sistemi politici, ma vale anche per altri attori, come l’India e le monarchie del Golfo, per esempio.

Quali sono i punti di forza e criticità delle due superpotenze?

Come ricordo anche nel mio libro, al quale rimando per i dettagli, gli Usa hanno capacità di attrazione di talenti e capitali superiori. La Cina è il più grande produttore di talenti al mondo ed è una potenza industriale molto superiore agli Usa, e la capacità industriale conta in ogni caso anche in quest’ambito. Oltre ad essi, ovviamente anche l’India è un attore di grande rilievo nella geografia dei talenti, basti vedere gli studenti universitari, i manager e gli imprenditori negli Stati Uniti di origine indiana. In questo scenario, dove ci sono punti di forza e debolezza differenti, è difficile pensare che uno possa acquisire una leadership in qualche modo definitiva, in un mondo sempre più complesso e diviso.

In tutto questo l’Unione europea resta significativamente indietro, più intenta a impostare le regole che a seguire lo sviluppo tecnologico. È una buona strategia?

In sostanza, è una strategia inutile. Non necessariamente dannosa ma inutile, perché l’idea che la capacità regolatoria europea abbia un’influenza reale è in sostanza falsa e senz’altro sopravvalutata. Sono cose che ho già scritto più volte: ho spiegato tutto quello che c’è da sapere sulla posizione europea in merito alla competizione tecnologica. La competizione si gioca su talenti, capitali e imprese, quindi contano gli aspetti normativi che riguardano questi tre fattori, il resto sono chiacchiere. L’Europa è già una regione in declino in questo secolo, quindi o si migliora su questi tre fattori o il declino sarà più forte, punto.

È realmente possibile uno scontro frontale in un mondo così intrecciato a livello globale? 

È molto difficile ma viene lo stesso perseguito e il risultato è un insieme di fughe in avanti poi corrette o adattate, per cercare di modificare la geografia delle catene del valore, perché questa stessa geografia ha un valore politico! L’abbiamo già visto nel corso della prima amministrazione Trump, con la riduzione di alcuni ambiti di interscambio diretto tra Pechino e Washington e la crescente importanza di altre geografie della produzione e del commercio, anzitutto i Paesi del Sud-est asiatico come Vietnam e Malesia, nonché il Messico, che ha sempre più un ruolo centrale, e poi naturalmente l’India. Un aspetto essenziale da comprendere è che la guerra commerciale degli Stati Uniti verso tutto il mondo sostanzialmente è impossibile, così come la reindustrializzazione degli Stati Uniti in modo consistente: ciò che può invece accadere è la spinta verso catene del valore che escludano, anche se è difficile, la Cina, oltre alla ricollocazione negli Stati Uniti di alcuni aspetti di produzione.

Quali sono gli scenari globali futuri più probabili?

La gente della Silicon Valley continuerà a sparare “date decisive” – come il 2027 – con l’unico obiettivo di fare soldi, con discreto successo. Nel mentre, l’intelligenza artificiale continuerà a essere una filiera complessa e articolata, e a contare sarà il controllo dei suoi nodi e la diffusione in vari ambiti industriali. L’economia dei data center non potrà crescere sempre con gli stessi tassi, pertanto le aziende si muoveranno soprattutto sulla robotica e le sue varie applicazioni, come già stiamo vedendo, ma anche sulle biotecnologie. In ogni caso, i fattori che guideranno questo processo sono sempre quelli che ho detto: talenti, imprese, capitali.

In questo contesto cosa dovrebbero aspettarsi le aziende delle life science?

Anzitutto, come mostrato per esempio dal Premio Nobel per la Chimica ottenuto per AlphaFold da Demis Hassabis e altri nel 2024, è evidente che l’ambito della biologia e delle biotecnologie è già un tema di grande interesse per le società che operano nell’intelligenza artificiale. Per le aziende dell’ambito life science, l’aspetto essenziale da monitorare è quanto le prospettive in ambito scientifico potranno tradursi in ritorni commerciali, perciò bisogna considerare quello che sapranno fare i progetti come Isomorphic Labs (una filiale di Alphabet, la casa madre di Google, nata nel 2021 per tradurre le innovazioni di DeepMind – in particolare AlphaFold️ nel campo della scoperta di farmaci, NdR) oltre che le promesse che hanno caratterizzato il Progetto Stargate (una joint venture lanciata quest’anno da OpenAI, SoftBank, Oracle e il fondo MGX, con l’obiettivo di investire fino a 500 miliardi di dollari in infrastrutture AI nel corso dei prossimi quattro anni NdR). Il leader dell’ecosistema dell’intelligenza artificiale, NVIDIA, investe già in modo molto consistente sulle life science, e ciò da solo basta a mostrare quanto sia importante quest’ambito.