L’industria farmaceutica sta vivendo una trasformazione senza precedenti, spinta dall’Intelligenza Artificiale (AI), dall’Internet of Things (IoT) e da modelli di produzione radicalmente nuovi. Ma in questa impetuosa corsa al progresso, emerge un interrogativo cruciale che attraversa l’intero settore come una corrente elettrica: quanto siamo davvero pronti a far convivere AI, uomo e industria?“. Dal convegno “Pharma ex Machina – Il mondo della salute tra umano e artificiale”, organizzato da NCF – Notiziario Chimico Farmaceutico il 3 dicembre 2025 a Milano, è emerso un messaggio chiaro: il futuro del farmaco sarà tanto più innovativo quanto più saprà restare umano.
Il cambio di paradigma e la nuova divinità in scena
La rivoluzione che sta investendo il mondo farmaceutico non si limita all’introduzione di sensori e algoritmi predittivi, rappresenta un profondo cambio di paradigma che influenza la cultura, il metodo e l’etica stessa della scienza. L’introduzione di tecnologie avanzate come AI, IoT e robotica, sta ridisegnando ogni fase del ciclo di vita del farmaco: dalla sua scoperta fino alla logistica e alla relazione con il paziente.
Il titolo stesso del convegno, “Pharma ex Machina“, gioca con l’antico concetto del “deus ex machina” teatrale, ovvero quella divinità che interveniva dall’alto per sciogliere gli intrecci più complessi della trama e riportare l’ordine. Oggi, come spiegato dai relatori dell’evento, sta accadendo qualcosa di molto simile, “solo che la divinità è una macchina”.
Questa Intelligenza Artificiale arriva come una forza nuova e potente, per affrontare sfide che sembrano insormontabili.
L’industria italiana, infatti, è schiacciata da pressioni fortissime: deve accelerare la Ricerca e Sviluppo (R&D), investire in terapie innovative e personalizzate nel settore biotech, ma deve anche destreggiarsi tra regolamentazioni sempre più stringenti, lottando al contempo per preservare i margini di profitto. Sono sfide che richiedono una velocità e un’efficienza che vanno oltre le capacità umane tradizionali.
L’AI come nuovo linguaggio dell’innovazione
A inaugurare la conferenza, delineando con chiarezza la portata storica della trasformazione in atto, è stata Cristina Ingrassia, VP & Senior Partner, Commercial Cluster & Lifesciences Industry Leader di IBM Consulting Italy. Secondo Ingrassia, l’avvento dell’AI generativa non è una semplice innovazione, ma un cambio di paradigma paragonabile a momenti di rottura epocali come l’invenzione della lampadina o di Internet: l’inizio di una nuova rivoluzione industriale.
L’Intelligenza Artificiale sta permeando ogni fase della filiera delle Life Sciences, dalle funzioni di business alla ricerca e alla produzione. Questa rivoluzione non si manifesta solo nella velocità dei calcoli, ma nella capacità dell’AI di elaborare grandi moli di dati, generare nuova conoscenza, e creare workflow autonomi e intelligenti, ridefinendo i modelli di lavoro. La relatrice ha fornito alcuni esempi significativi del suo impatto:
- ricerca (R&D): l’AI supporta il molecular design e la selezione predittiva delle molecole più promettenti;
- sviluppo clinico: facilita l’automazione nella redazione dei dossier regolatori e dei clinical study reports, attività definite “task intensive” e “text intensive”;
- funzioni di business: permette l’elaborazione di financial forecasting e la pianificazione predittiva delle risorse umane.
Ma il cuore del suo intervento non è stato tanto la potenza della tecnologia, quanto la necessità di governarla con intelligenza e responsabilità. Ha ricordato che l’AI non è destinata a sostituire l’uomo, bensì a potenziarne le capacità cognitive e creative.
La formula vincente è una cooperazione dinamica:
- le macchine eccellono nell’analisi massiva dei dati, nella percezione di pattern, nell’oggettività e nella coerenza operativa;
- gli esseri umani, invece, conservano il primato in ciò che le macchine non possono simulare: intuizione, senso comune, intelligenza emotiva, creatività e giudizio contestuale.
È da questa collaborazione che nasce la vera innovazione. Cristina Ingrassia ha concluso sottolineando che l’adozione dell’AI richiede linee guida etiche chiare, formazione continua e percorsi di consapevolezza e competenza.
I fantasmi dell’AI: allucinazioni, bias e pensiero critico
Come in ogni epopea tecnologica, non mancano le ombre. Sheila Leone, Prof.ssa di Farmacologia presso l’Università di Chieti-Pescara e referente SINUT Abruzzo, ha portato la platea su un terreno pratico, presentando un case study sull’uso dell’IA nel complesso contesto della nutraceutica e delle interazioni farmacologiche.
Sebbene l’uso di tecnologie digitali sia fondamentale per supportare la gestione di tali interazioni, la Prof.ssa ha avvertito che, interrogando sistemi di AI generativa, le risposte ottenute, pur essendo veloci e articolate, risultano spesso errate o “inventate a causa di allucinazioni o bias del sistema“:
- allucinazioni: informazioni che, sebbene formalmente corrette, sono di fatto errate o inventate;
- bias: deriva da distorsioni presenti nei dati di addestramento e porta a decisioni o risposte sistematicamente non neutre, preferendo un risultato rispetto a un altro.
È stata evidenziata in particolare la criticità per cui l’AI può associare informazioni, citando voci bibliografiche che, una volta consultate, non supportano l’interazione proposta.
Pertanto, la relatrice ha sottolineato: “la verifica da parte dell’uomo resta quindi imprescindibile nel controllo di quanto produce l’intelligenza artificiale. l’AI deve essere impiegata in modo consapevole, intelligente, ponderato e responsabile”.
Il fact-checking umano rimane dunque fondamentale. Come ha osservato Sheila Leone: “Occorre formare menti che sappiano co-operare con le tecnologie, ma anche dubitare di esse”.
La Prof.ssa Leone ha infine condiviso il risultato di un questionario somministrato ai suoi studenti per valutare come percepiscono l’IA e se controllano le informazioni. Il dato specifico che ha evidenziato è che “il 30% dei giovani – studenti universitari, dottorandi e specializzandi – non verifica le informazioni generate dall’AI.
È un dato che ci lascia con un interrogativo: stiamo creando strumenti sempre più potenti, ma stiamo educando a usarli con consapevolezza?
Oltre la potenza: l’ibridazione come paradigma
Di fronte a questa potenziale mancanza di affidabilità, l’interrogativo sulla qualità e la responsabilità è stato il fulcro dell’intervento congiunto di Fabio Di Bello (Artificial Intelligence Architect & Strategist), Eliana Russo (Regulatory Affairs Expert), e Matteo Sartori, PhD (Assessor Clinico Qualificato). I tre relatori hanno posto l’accento sulla gestione etica e professionale, partendo dalla premessa che un’AI utilizzata senza supervisione umana produce inevitabilmente errori.
Per ridurre drasticamente il problema delle allucinazioni e garantire trasparenza, è stata presentata l’architettura RAG (Retrieval Augmented Generation). L’approccio RAG si basa sull’idea di far lavorare il Large Language Model (LLM) su una knowledge base validata, perimetrata e controllata dal professionista, attingendo unicamente a fonti certe.
Questo sistema garantisce trasparenza scientifica: l’utente formula la query, il sistema recupera i documenti pertinenti da database validati (come PubMed, Medline o AIFA) e il modello genera la risposta citando esplicitamente le fonti.
Fabio Di Bello ha inoltre sostenuto una visione di “co-evoluzione delle due specie” o “ibridazione dell’intelligenza biologica con l’intelligenza sintetica“, in cui l’uomo non viene sostituito, ma affiancato, purché l’AI sia programmata per svolgere solo le attività che ha senso delegare alla tecnologia.
A rafforzare questa prospettiva, Matteo Sartori ha richiamato l’urgenza di un approccio di “neo-umanesimo tecnologico”, che metta l’uomo al centro del processo decisionale, poiché l’AI, pur potendo analizzare e correlare dati, non è in grado di comprenderne “il significato etico, clinico o umano.
Dal punto di vista regolatorio, Eliana Russo ha evidenziato l’importanza di integrare meccanismi di efficientamento come il Lean Six Sigma. Il ciclo DMAIC, ha spiegato, permette non solo di ridurre in modo strutturato gli sprechi e la difettosità, ma soprattutto di “ingegnerizzare la qualità in ogni fase, assicurando la piena aderenza agli standard di Good Manufacturing Practice (GMP)”. L’integrazione tra governance, validazione dei dati e controllo di processo è l’unica via per rendere l’AI un alleato sostenibile, e non un fattore di rischio.
Le dimostrazioni pratiche presentate hanno ribadito la complementarità tra le due intelligenze. Ad esempio, nell’analisi delle terapie disponibili per l’Alzheimer, la macchina accelera la ricerca, ma solo l’uomo può validare la plausibilità clinica dei risultati. Questo ha reso evidente un principio chiave: la correttezza delle conclusioni finali non si può delegare alla macchina. L’uomo, con il suo intuito, la sua esperienza e il suo senso critico, deve rimanere garante dell’intero processo epistemologico.
La fabbrica 5.0 e la sfida della filiera intelligente
L’impatto dell’AI e dell’IoT non si ferma ai laboratori, ma investe la logistica e la produzione. La Fabbrica 5.0 è stata definita come “il punto d’incontro tra Intelligenza Artificiale (AI), Internet of Things (IoT) e sostenibilità”.
Giulio Salvadori, Direttore dell’Osservatorio Internet of Things del Politecnico di Milano, ha fornito una fotografia chiara dello stato dell’arte. Nonostante il mercato IoT nazionale valga 10 miliardi di euro con 155 milioni di oggetti connessi, la smart factory rappresenta solo il 10% del totale. Salvadori ha sottolineato che, sebbene a livello globale il 74% delle aziende stia implementando una strategia IIoT, in Italia la trasformazione stenta a decollare, con un’integrazione limitata tra AI e IoT.
Concentrandosi sulla filiera intelligente, Alberto Bartolini, Direttore scientifico di NCF e coordinatore del GdS Innovazione e Supply Chain AFI, ha enfatizzato: “al centro di ogni discussione deve esserci sempre il paziente”. Una filiera intelligente deve garantire che il farmaco arrivi a destinazione in perfetto stato, preservando le sue qualità e caratteristiche, ed è per questo che Alberto Bartolini la identifica come un sistema di tracciabilità e garanzia.
Il relatore ha evidenziato le criticità strutturali che ostacolano il percorso:
- governance frammentata: R&D e produzione sotto AIFA, mentre il resto della filiera ricade sotto il Ministero della Salute;
- non-conformità normativa: le linee guida europee GDP (Good Distribution Practice) del 2013, fondamentali per la cold chain e la Quality Chain, non risultano ancora pienamente recepite a livello nazionale;
- farmaci biotech: la gestione impone condizioni di conservazione rigorose, come la cold chain, che richiede un controllo continuo e integrato dei dati;
- bassa digitalizzazione: l’adozione dell’AI è spesso ostacolata da dati ancora gestiti su supporti cartacei;
- Trasporto: manca un albo nazionale dei trasportatori autorizzati e il trasporto, spesso affidato in subappalto, non riceve ancora il riconoscimento normativo e le certificazioni necessarie.
L’integrazione necessaria: l’umanesimo digitale nella filiera
Quanto siamo davvero pronti a far convivere AI, uomo e industria? L’ultima sessione, l’Innovation Panel, ha portato questo interrogativo nel cuore delle imprese, confermando come l’AI sia ormai un vincolo operativo e strategico.
Fulvia Lo Duca, Owner and Marketing Director – ABAR e psicoterapeuta, ha affrontato la dimensione emotiva della trasformazione, riconoscendo la paura del cambiamento. La relatrice ha spiegato che l’AI deve affiancare, non sostituire, le capacità adattive umane, e funziona in modo ottimale solo laddove c’è un contesto stabile e prevedibile”.
Le testimonianze aziendali hanno mostrato come questa alleanza tra uomo e tecnologia generi valore concreto:
- Gianni Piroddi di DHL ha descritto l’uso della pianificazione intelligente del magazzino, che integra dati storici con fattori esterni (stagionalità, condizioni ambientali) per anticipare la domanda. Piroddi ha sottolineato: “l’efficacia va misurata non solo sull’azienda, ma sull’intera filiera, per capire l’impatto finale sul paziente e sulla salute pubblica”.
- Alessio Trussardi di Cegeka ha illustrato l’uso di agenti virtuali per supportare processi complessi come il procurement, ma ha ribadito che “l’umano resta sempre a capo delle operazioni”.
- Giovanni Nocita di Omag e Simone Marzi di Universal Pack (produttori di macchinari) hanno mostrato come l’AI sia integrata nella progettazione e nella manutenzione preventiva attraverso algoritmi di machine learning per ridurre quanto più possibile i fermi macchina. Marzi ha specificato che l’ingegno umano resta l’elemento cruciale per personalizzare le soluzioni e rispondere ai bisogni unici del cliente.
- Martina Stefanon di IMA ha concluso ribadendo che la chiave del successo è sviluppare soluzioni che rispondano agli effettivi bisogni dei clienti, trasformando i servizi digitali in un “generatore continuo di valore”.
Le testimonianze hanno definito il profilo del nuovo professionista 5.0: è capace di co-operare con la macchina, non di subirla; è formato al pensiero adattivo; ed è dotato di intelligenza emotiva per comprendere l’impatto umano delle decisioni automatizzate.
Regole, limiti e il vero Pharma ex Machina
Nel settore farmaceutico, la prudenza è obbligatoria, poiché la tecnologia corre più veloce delle norme. Il futuro Annex 22 europeo è destinato a regolamentare l’AI in ambito GMP. I relatori hanno chiarito che, ad oggi, i Large Language Models e i modelli di AI generativa non possono essere usati per applicazioni GMP critiche a causa del rischio di allucinazioni e della loro imprevedibilità. Ciò obbliga le aziende a un approccio graduale, una strategia “a cerchi concentrici,” partendo da funzioni meno sensibili per poi scalare verso il complesso.
Serve tempo per costruire fiducia, competenze e soprattutto governance etica.
Nel teatro antico, il deus ex machina scioglieva i nodi. Oggi, l’AI, un motore potente, capace di accelerare processi, ottimizzare risorse e generare conoscenza in modi fino a ieri impensabili, ne ha assunto la forma. Ma questa nuova divinità non è neutra, né autonoma, è lo specchio dei dati e dei valori che le affidiamo.
“Pharma ex Machina” è, quindi, anche un monito: la macchina non deve diventare un surrogato acritico della responsabilità umana. L’AI, come “la lampadina o internet, è uno strumento di luce”. Ma perché questa luce non accechi, ha bisogno di una direzione. L’etica, la creatività e la responsabilità umana sono i tre pilastri che guidano la potenza della macchina.
L’innovazione autentica non nasce dalla sostituzione, ma dall’ibridazione tra intelligenza sintetica e biologica. L’uomo deve restare il garante dell’incertezza, il custode della complessità, il correttore di rotta.
La tecnologia può calcolare e accelerare, ma non può comprendere. Può calcolare, ma non può scegliere. Solo l’intelligenza umana, alimentata da senso etico ed empatia, può trasformare il progresso in cura.
E così, il vero deus ex machina non è la macchina che interviene a risolvere la trama, ma l’uomo che ne riscrive il finale, guidando l’innovazione verso ciò che davvero conta: la salute, la vita e la dignità di chi ne sarà il destinatario.


