“L’economia digitale, spesso elogiata per la sua natura virtuale e intangibile, ha creato l’illusione di un mondo libero da sprechi materiali. Tuttavia, questo Rapporto rivela in modo lampante la fallacia di questa percezione”.
Così, Rebeca Grynspan, Segretario generale di Unctad (United nations conference on trade and development), introduce il Digital economy report 2024 – Shaping an environmentally sustainable and inclusive digital future, redatto da questo dipartimento delle Nazioni Unite. Il documento esamina l’impronta ambientale e sociale della digitalizzazione lungo tutto il suo ciclo di vita.
Il tema è quanto mai attuale, se non addirittura in ritardo, sottolinea il Rapporto. La trasformazione digitale sta avvenendo parallelamente al crescere della crisi ambientale e climatica con ritmi altrettanto preoccupanti. Il modo in cui verrà gestita influenzerà il futuro dell’umanità e la salute del pianeta, è la linea di Unctad, che non manca di evidenziare l’importanza di governare la transizione digitale nella direzione di una riduzione dei suoi impatti ambientali e disuguaglianze sociali.
Espansione e incertezze
Reti di trasmissione dati, numero di dispositivi per utente, data center, applicazioni, e-commerce, criptovalute: la digitalizzazione dilaga in modo pervasivo e ancora non sono a regime le applicazioni più intensive come l’intelligenza artificiale.
Tra i costi ambientali della digital economy, guidata dalla gestione dei dati, quelli correlati alla fase di utilizzo dei nuovi servizi digitali sono rilevanti e ancora non del tutto stimati. Blockchain, intelligenza artificiale, reti mobili 5G e IoT incrementano significativamente la domanda di elaborazione e archiviazione dati, peggiorando l’impronta ambientale del settore Ict.
L’economia digitale, in più, è ancora largamente lineare ( e non circolare) e questo aggiunge impatti ambientali dovuti alla domanda in crescita di materie prime, acqua, energia legati alle fasi produttive dei dispositivi oltre a quelli dei rifiuti a fine vita.
Misurare l’impatto della digitalizzazione è complesso. Le tecnologie hanno uno sviluppo e diffusione rapidissimi in assenza di studi preventivi di impronta ambientale. Inoltre, i dati sono oggi frammentari e difficilmente paragonabili fra loro per la mancanza di metodologie armonizzate, con conseguente variabilità delle stime.
Su tutti questi aspetti, inclusi impatti indiretti e ripercussioni sociali, si sofferma la disamina del Report di Unctad, che analizza oltre 800 pubblicazioni a rendere un panorama di tutte le applicazioni digitali.
IL PESO DEI DATA CENTER
Una contropartita tutt’altro che virtuale dell’intelligenza artificiale è rappresentata dai data center. Ecco alcuni dati che emergono dal Report Unctad.
Il consumo di elettricità stimato da 13 dei maggiori operatori di data center è più che raddoppiato tra il 2018 e il 2022, in testa Amazon, Alphabet, Microsoft e Meta. L’elettricità per alimentare queste infrastrutture enormi, secondo l’International energy agency, a livello mondiale, ammontava a circa 460 TWh nel 2022 (pari ai consumi della Francia nello stesso anno) e potrebbe raggiungere i 1.000 TWh entro il 2026. Già oggi, l’espansione dei data center crea criticità sulle reti elettriche localmente. In Irlanda, queste attività vedono consumi più che quadruplicati tra il 2015 e il 2022, rappresentando il 18% del consumo totale di elettricità nel 2022, con prospettiva di raggiungere il 28% entro il 2031.
Ma anche l’impiego di acqua indispensabile al raffreddamento dei server è una criticità per queste cattedrali dello stoccaggio di dati, da valutare con grande attenzione alla disponibilità locale e in concomitanza con i consumi energetici, laddove alcune tecnologie per il risparmio della risorsa idrica sono associate a maggiore impiego di energia.
IA e costi ambientali
Le implicazioni ambientali e climatiche dello sviluppo dell’intelligenza artificiale non sono ancora completamente misurate ma le prime stime le prospettano come significative.
Considerando i sistemi di machine-learning, il loro funzionamento e implementazione richiede hardware e risorse di elaborazione, concentrati principalmente in grandi data center che consumano suolo, energia, acqua e materiali e a cui si deve un carico considerevole di emissioni di gas serra, dovute sia al consumo energetico operativo durante l’elaborazione, sia alle altre fasi del ciclo di vita dell’hardware.
Dati recenti di Google e Meta suggeriscono che la fase di training rappresenta il 20-40% del consumo energetico totale correlato all’apprendimento automatico, mentre il 60-70% è legato all’inferenza, quindi all’applicazione/utilizzo, e fino al 10% alla fase di sperimentazione.
Comprendere il consumo energetico correlato all’inferenza è cruciale nella prospettiva di una diffusione delle applicazioni di intelligenza artificiale tradizionale. Il Report Unctad cita per esempio il calcolo di Ludvigsen, che ha stimato per il solo uso di ChatGPT consumi di circa 4 GWh a gennaio 2023 (in un intervallo compreso tra 1,1 e 23 GWh), circa tre volte superiori ai 1,3 GWh utilizzati per addestrare GPT-3, il modello linguistico base per ChatGPT. Significativo il termine di confronto: 4 GWh equivalgono al consumo mensile di elettricità di 400 famiglie negli Stati Uniti.
La domanda di energia di questa parte del comparto Ict è peraltro destinata ad aumentare. In Meta, per esempio, i consumi per il machine-learning hanno registrato negli ultimi anni un incremento del 100% annuo.
Anche l’acqua rappresenta un aspetto critico, soprattutto in relazione all’utilizzo di risorse hardware sempre più potenti, dispendiose sotto l’aspetto del raffreddamento. Nel caso di Microsoft, si stima che l’addestramento di GPT-3 nei suoi data center in USA abbia consumato direttamente 700.000 litri di acqua potabile per il raffreddamento, ma quel volume sarebbe triplicato se il training fosse avvenuto nei loro data center asiatici.
Misurare l’impronta energetica e idrica dell’intelligenza artificiale è il primo passo per attuare strategie di riduzione, che comprendono l’impiego di energia a basse emissioni di carbonio, l’efficientamento energetico e dei consumi idrici dei data center, il contenimento degli sprechi generati dalle frequenti sostituzioni delle apparecchiature. L’adozione di adeguate misure di riduzione degli impatti è cruciale. Infatti, in base agli studi esaminati, il Rapporto di Unctad evidenzia che modelli di machine-learning sempre più grandi in combinazione con costi energetici di elaborazione crescenti porteranno nei prossimi anni i consumi di energia a superare i risparmi dovuti all’efficientamento: il rischio di un significativo incremento netto del consumo energetico totale correlato all’IA è concreto.
I dispositivi: impatti di produzione e fine vita
Nessuna digitalizzazione sarebbe possibile senza dispositivi, i cui costi ambientali preponderanti riguardano la filiera di produzione nonché i rifiuti elettronici.
La fase produttiva è gravata dalla combinazione di notevoli impatti, a partire da quelli estrattivi dei molti diversi metalli e terre rare necessari alle tecnologie digitali, attività energivore e inquinanti che comportano anche un ingente consumo e degrado di suolo, con elevate richieste di acqua a cui si aggiunge, nei Paesi più poveri, il peso sociale di condizioni lavorative malsane e disumane, con ampio ricorso al lavoro minorile.
Alluminio, cobalto, rame, oro, litio, manganese, grafite, nichel, silicio metallico e terre rare sono elementi necessari all’economia digitale. Gli stessi elementi sono richiesti per il passaggio alle rinnovabili, nota il Report Unctad, rilevando un rischio di conflitto fra la transizione energetica e quella digitale.
Un ulteriore fattore è lo sfruttamento delle materie prime. Secondo una valutazione della Banca Mondiale, la produzione di grafite, litio e cobalto potrebbe aumentare del 500% entro il 2050 per soddisfare la crescente domanda; per lo stesso periodo, le proiezioni dell’International energy agency calcolano un consumo di metalli del gruppo del platino 120 volte superiore. Se questi trend venissero confermati, potrebbe verificarsi il rischio di raggiungere i limiti della disponibilità planetaria di tali elementi.
A questo quadro, si aggiunge il tema geopolitico, dovuto a una distribuzione dei giacimenti in Paesi fragili, che ottengono scarsi benefici dallo sfruttamento di tali risorse a fronte di costi ambientali e sociali sproporzionati.
Problemi aggravati dalla scarsa propensione al riciclo da cui è affetto tutto il comparto Ict, in cui peraltro si riscontra una spinta continua a dismettere i dispositivi a favore di modelli più avanzati. Questo comporta anche un incremento della produzione di rifiuti elettronici, che rappresenta l’ulteriore preoccupante faccia della medaglia della transizione digitale. Da qui, il forte richiamo di Unctad all’avvio di politiche che favoriscano la circolarità in ambito digitale.
Responsabilità
“Dobbiamo sfruttare il potere della digitalizzazione per promuovere uno sviluppo inclusivo e sostenibile, mitigandone al contempo gli impatti ambientali negativi. Ciò richiede una transizione verso un’economia digitale circolare, caratterizzata da consumo e produzione responsabili, utilizzo di energie rinnovabili e gestione completa dei rifiuti elettronici” auspica il Segretario generale Unctad, Rebeca Grynspan, nella sua introduzione al Rapporto, richiamando istituzioni, attori economici, organizzazioni internazionali e cittadini ad agire per promuovere la sostenibilità e l’equità di una digitalizzazione per ora molto lontana dai valori proclamati di inclusività e protezione dell’ambiente.