Il decreto salute animale a tutela dell’approccio OneHealth

Il Ministro Speranza ha firmato il decreto sulla salute animale, che consente la prescrizione di farmaci per uso umano per la cura degli animali da affezione: a fronte di risparmi significativi per le famiglie, le associazioni di categoria dei medici veterinari esprimono perplessità e propongono modalità alternative per ridurre i costi

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Il Ministro della Salute Roberto Speranza ha formato un decreto che consente al veterinario di prescrivere medicinali per uso umano per la cura degli animali domestici a condizione che tale medicinale contenga il medesimo principio attivo del medicinale veterinario.

Il decreto sulla salute animale, del quale non è ancora stato reso noto il testo, è stato richiesto dall’ultima Legge di Bilancio.

Riconoscendo la funzione relazionale e sociale che gli animali svolgono verso gli umani il provvedimento

tutela la salute seguendo l’ottica One Health, un approccio che tiene insieme il nostro benessere, quello degli animali e quello dell’ambiente

Decreto salute animale: i costi e l’abbandono

A beneficiare delle ricadute del decreto sulla salute animale si stima saranno il 40% circa delle famiglie italiane, alle quali sarà consentito un risparmio quantificabile fino al 90% per alcune patologie animali.

L’aspetto economico connesso al benessere animale si era fatto sentire con clamore nel recente passato.

Il costo economico di molte specialità veterinarie è stato ritenuto diffusamente responsabile della rinuncia alla cura degli animali da parte dei padroni, quando non addirittura del loro abbandono.

Del resto, da anni associazioni a protezione degli animali ed esponenti politici trasversali denunciano la sproporzione fra i prezzi dei farmaci per uso umano e quelli veterinari.

L’uso in deroga dei farmaci umani

Il comma 478 della Legge di Bilancio 2021 ha introdotto una modifica al Decreto Legislativo 193/2006, che ha recepito il Codice Comunitario dei Medicinali Veterinari attuando la Direttiva 2004/28/CE.

Con l’aggiunta dell’articolo 10-bis sull’uso in deroga di medicinali per uso umano per animali da affezione (non destinati alla produzione di alimenti)

il veterinario può prescrivere per la cura dell’animale, non destinato alla produzione di alimenti, un medicinale per uso umano, a condizione che lo stesso abbia il medesimo principio attivo rispetto al medicinale veterinario previsto per il trattamento dell’affezione

Il decreto salute animale è finalizzato all’elencazione dei casi in cui si potranno usare farmaci destinati all’uso umano per curare gli animali, fermo restando il principio dell’uso prioritario dei medicinali veterinari per il trattamento delle affezioni delle specie animali e nel rispetto delle disposizioni dell’ordinamento dell’Unione Europea in materia di medicinali veterinari. Condizioni stabilite dall’articolo 10 del D.Lgs. 193/2006 e dall’articolo 112 del Nuovo Regolamento europeo 2019/6 che sarà applicato dal 2022.

Carenze e rimborsabilità

Il decreto salute animale dovrà anche definire le modalità con cui AIFA potrà sospendere l’uso di un farmaco umano in veterinaria per prevenire situazioni di carenza.

Nella norma viene comunque ribadita l’esclusione da qualsiasi forma di rimborsabilità:

il costo dei medicinali prescritti resta in ogni caso a carico dell’acquirente a prescindere dal loro regime di classificazione

L’uso in deroga e il meccanismo a cascata

Il Ministro Speranza ha definito il decreto

un provvedimento di equità atteso da anni da milioni di cittadini, una scelta che consentirà di garantire con più facilità le cure agli animali da compagnia e un risparmio importante per tante famiglie italiane e per le strutture che si occupano di cani e gatti

La prescrizione di farmaci autorizzati per uso umano per la cura degli animali non è, tuttavia, una novità di oggi, ma un meccanismo già regolato dalla legge.

Il Ministero della Salute era già intervenuto con la Circolare n. 5727 del 29/03/2011, che elencava i 5 casi in cui il veterinario poteva ragionevolmente concludere l’indisponibilità del farmaco adatto alla terapia da attuare, potendo così accedere all’uso in deroga.

In caso di indisponibilità di un medicinale registrato per un animale, la normativa prevede, tramite un meccanismo a cascata, la possibilità di ricorrere ad una specialità contenente il medesimo principio attivo ma autorizzata per un altra specie.

Laddove anche questa sia indisponibile, è possibile prescrivere un farmaco umano in commercio in Italia.

E, se anche questo fosse indisponibile, si può prescrivere un medicinale veterinario registrato per la stessa patologia in un altro Paese UE.

L’extrema ratio è la prescrizione di una preparazione magistrale da parte del farmacista.

Decreto salute animale: la reazione di FNOVI

La risposta di FNOVI (Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Veterinari) al decreto salute animale è critica.

L’associazione di categoria interpreta il provvedimento come

un semplice escamotage sulla prescrizione da parte del medico veterinario, che resta l’unico responsabile della scelta e prescrizione del farmaco

E replica aggiungendo che il minor costo di un farmaco rispetto ad un altro potrebbe costituire un limite all’indipendenza di prescrizione del medico veterinario stesso. E che il medicinale approvato per uso animale non è una copia di quello umano.

Per risolvere il problema dei costi, suggerisce FNOVI, si potrebbe ridurre l’aliquota IVA che grava sui farmaci veterinari, attualmente al 22%.

La Federazione degli Ordini dei Medici Veterinari sottolinea anche che al momento si ignorano i criteri che il Ministero della Salute indicherà per poter accedere alla prescrizione in deroga per questioni legate al costo.

Le proposte per la riduzione dei costi

Le ragioni dello spread fra i costi del farmaco per uso umano e quello veterinario sono diverse.

La prima è che il secondo rappresenta un mercato di nicchia.

Inoltre, comporta un iter approvativo differente, più prolungato, connesso a costi superiori per le aziende.

Occorre anche considerare che l’onerosità di questi medicinali si ripercuote anche sullo Stato stesso, proprietario dei canili e dunque grande acquirente. Secondo il Rapporto LAV Dossier Randagismo 2016: Cosa è cambiato negli ultimi 10 anni la spesa statale sostenuta nel 2015 per questo punto ha sfiorato i 118 milioni di €. Una cifra che, moltiplicata per 7 anni, tempo medio della permanenza in canile di un cane in assenza di adozione, supera gli 825 milioni €.

ANMVI e le altre associazioni di categoria ricordano che negli ultimi anni sono state avanzate diverse proposte per il contenimento dei costi:

  • lo sviluppo dei farmaci generici veterinari sul modello della normativa applicata in ambito umano
  • l’introduzione di confezioni adeguate alla durata dei trattamenti terapeutici
  • la possibilità di sconfezionamento: la cessione di singole unità posologiche o parti di confezione (blister, sacchetto) estratte da confezioni multidose andrebbe anche a vantaggio della prevenzione degli sprechi e della tutela dell’ambiente.