La dipendenza europea dagli hub asiatici

Il baricentro del farmaco si è spostato a est: l’Europa oggi dipende per oltre il 70% da India e Cina nella produzione di principi attivi. Una vulnerabilità strutturale che intreccia logistica, geopolitica e salute pubblica.

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In poco più di vent’anni, la mappa mondiale della produzione farmaceutica è stata completamente ridisegnata.
Nel 2000 l’Europa e gli Stati Uniti detenevano il 60% delle registrazioni ufficiali di principi attivi farmaceutici (API). Nel 2023, la loro quota è scesa al 14%. Nello stesso periodo, India e Cina hanno invertito i rapporti di forza: dal 24% al 82% delle registrazioni globali.

Questa transizione non è solo statistica. È il segno tangibile di una dipendenza industriale e strategica: oggi il 74% del fabbisogno europeo di principi attivi e intermedi deriva da produzioni asiatiche. Negli anni Settanta la quota era del 35%; tra il 1990 e il 2000 era salita al 60%. Nel 2024, con l’esplosione dei costi energetici e il rallentamento della produzione europea, la soglia del 70% è stata superata.

L’India, il nuovo cuore della chimica farmaceutica mondiale

Se la Cina ha imposto la propria centralità sulle materie prime chimiche e intermedie, l’India è oggi il vero hub produttivo globale degli API.
Il Paese concentra oltre il 50% degli ingredienti destinati ai mercati occidentali, con due cluster industriali dominanti: Hyderabad–Vizag (Telangana e Andhra Pradesh) e Maharashtra–Gujarat, che ospitano colossi come Divi’s Laboratories e Aurobindo, insieme ad altre 250 imprese esportatrici.

Il dato chiave è che quasi la metà della produzione mondiale di principi attivi per uso umano dipende dal funzionamento di queste aree. Se l’India dovesse subire un blocco logistico, energetico o politico, l’impatto sulla disponibilità di farmaci in Europa sarebbe immediato.

I rischi di una filiera sbilanciata

La concentrazione produttiva in Asia non è solo il risultato di un vantaggio competitivo di costo, ma anche di scelte strategiche di delocalizzazione operate dall’industria europea negli ultimi trent’anni.
Le imprese farmaceutiche, spinte dalla logica del lean manufacturing e dall’esigenza di ridurre il prezzo unitario del principio attivo, hanno trasferito la parte più chimica e a minor valore aggiunto della filiera verso paesi con regolamentazioni ambientali e costi energetici più bassi.

Oggi questa scelta presenta un conto salato:

  • fragilità logistica, con catene di fornitura lunghe e vulnerabili;
  • rischi geopolitici, legati a tensioni tra India, Cina e Occidente;
  • dipendenza normativa, poiché la tracciabilità e la qualità delle produzioni esterne non sempre rispondono agli standard europei;
  • perdita di competenze chimiche di base nel continente, che riduce la capacità di reagire in tempi brevi a interruzioni.

L’industria farmaceutica europea è sempre più dipendente dalle materie prime asiatiche, e la tendenza non mostra segni di inversione, nonostante le crisi degli ultimi anni abbiano spinto Bruxelles a invocare il ritorno a una autonomia strategica europea.

Le rotte del farmaco e il peso della geopolitica

Le rotte globali del farmaco coincidono oggi con quelle delle merci low-cost.
I container che solcano le vie commerciali dall’Asia all’Europa — dal Mar Cinese Meridionale al Canale di Suez — trasportano non solo beni di consumo, ma principi attivi farmaceutici, intermedi e reagenti chimici.

Una crisi su una di queste rotte può mettere in difficoltà interi segmenti dell’industria farmaceutica europea. Il caso recente del blocco parziale nel Canale di Suez, o i rallentamenti sulle rotte indo-pacifiche, dimostrano quanto la sicurezza sanitaria europea sia oggi intrecciata con le dinamiche marittime e diplomatiche globali.

Non è un caso che la Cina, attraverso la sua Belt and Road Initiative, stia rafforzando il controllo logistico sui principali hub portuali che collegano l’Asia all’Europa. Un potere che si traduce in influenza strategica: controllare i flussi significa condizionare l’accesso alle risorse.

Cosa succede se si ferma l’India?

L’impatto potenziale di un’interruzione nei cluster di Hyderabad o Gujarat non riguarda solo i produttori di API, ma anche i laboratori europei che dipendono da quelle forniture per i processi formulativi.

Un fermo prolungato avrebbe conseguenze a cascata su:

  • disponibilità di farmaci generici e salvavita;
  • aumento dei costi delle materie prime;
  • rischio di carenze su larga scala, soprattutto nei segmenti antibiotici e cardiovascolari;
  • instabilità dei prezzi a valle, con impatti sulle gare pubbliche e sui margini delle aziende farmaceutiche.

In altre parole, la continuità del sistema sanitario europeo è oggi appesa alla tenuta industriale di pochi distretti indiani.

L’Europa e il paradosso dell’autonomia strategica

Negli ultimi tre anni Bruxelles ha rilanciato il concetto di autonomia strategica in diversi ambiti: energia, semiconduttori, materie prime critiche. Ma il settore farmaceutico resta quello più indietro.
Gli incentivi per il reshoring di principi attivi in Europa sono ancora frammentari, e spesso insufficienti a compensare il differenziale di costo con Asia e India.

Le iniziative avviate — come il Critical Medicines Alliance e i programmi di HERA (Health Emergency Preparedness and Response Authority) — cercano di mappare e proteggere le catene di approvvigionamento critiche, ma la realtà è che le produzioni europee di API continuano a ridursi.

Alcuni paesi, come Francia e Germania, hanno avviato piani nazionali di rilocalizzazione, ma senza un coordinamento industriale europeo il rischio è di costruire risposte locali a un problema sistemico.

Verso una nuova geoeconomia del farmaco

Il farmaco, come l’energia o i microchip, è diventato una leva geopolitica.
Chi controlla la produzione dei principi attivi esercita un’influenza diretta sui sistemi sanitari dei paesi importatori. India e Cina ne sono pienamente consapevoli: entrambe stanno consolidando la propria leadership con investimenti infrastrutturali, alleanze commerciali e politiche industriali orientate all’export.

L’Europa, al contrario, appare ancora divisa tra l’urgenza di garantire la continuità di fornitura e la difficoltà di ripensare la propria capacità produttiva interna.
Se non verranno adottate strategie comuni e strumenti finanziari adeguati, la dipendenza dagli hub asiatici rischia di trasformarsi da vantaggio economico a vulnerabilità strategica.

Nel 2000 l’Europa produceva i propri principi attivi; nel 2025 li importa da Asia e India.
Ciò che era una scelta di efficienza è diventata una questione di sicurezza sanitaria e sovranità industriale.

Ribaltare questa tendenza non sarà semplice né rapido. Servirà una politica industriale comune, incentivi mirati e un impegno stabile nella ricerca e nella produzione chimico-farmaceutica europea.
Solo così il continente potrà ridurre la propria esposizione e ritrovare un equilibrio sostenibile tra globalizzazione e indipendenza strategica.