Il biossido di titanio (E171) è un eccipiente molto utilizzato nell’industria farmaceutica, alimentare e cosmetica. Ma le scoperte relative alla sua sicurezza hanno portato la Commissione Europea a emanare un’ordinanza che ne vieta l’utilizzo negli alimenti, che diverrà operativa dopo un periodo di transizione di sei anni. Al momento il divieto non è stato applicato al settore farmaceutico, ma le aziende sono comunque alla ricerca di alternative.
Le caratteristiche e gli utilizzi del biossido di titanio
Il biossido di titanio è un composto chimico inerte di origine minerale. Esiste in diverse forme cristalline e possiede un indice di rifrazione molto elevato, che gli conferisce notevoli proprietà ottiche. Le sue caratteristiche lo hanno reso un ingrediente interessante sia per l’industria alimentare, che lo utilizza ad esempio in brodi, caramelle e creme spalmabili, sia per quella cosmetica. Il biossido di titanio si trova infatti in dentifrici, deodoranti, prodotti per il make-up e creme solari, poiché tra le sue caratteristiche vi è anche la capacità di schermare i raggi UV.
Anche l’industria farmaceutica non è rimasta indifferente ai pregi di questo ingrediente. Il biossido di titanio infatti è utilizzato come eccipiente principalmente in compresse e capsule, anche se è presente praticamente in tutti i tipi di formulazioni farmaceutiche e in alcuni materiali di confezionamento. Impiegato da più di cinquant’anni, le sue funzioni principali sono di colorante bianco e agente opacizzante che eviti la degradazione del farmaco causata da calore o radiazioni.
Tra le caratteristiche più importanti del biossido di titanio a livello farmaceutico vi è infatti la sua capacità di assorbire la luce visibile e UV. Questo permette di schermare il farmaco, proteggendolo dalla degradazione e aumentando la shelf life del prodotto. Inoltre la molecola è inerte e quindi non interferisce con l’attività del principio attivo, oltre ad essere ben tollerata dai pazienti. Infine questo ingrediente permette di donare al farmaco una colorazione riconoscibile, che agevola l’aderenza terapeutica.
Problemi di sicurezza
La più recente rivalutazione della sicurezza del biossido di titanio, condotta da un gruppo di esperti di EFSA e conclusasi a maggio 2021, ha però cambiato le carte in tavola. Gli esperti hanno applicato per la prima volta le linee guida del 2018 in merito alla valutazione del rischio per la salute umana e animale delle applicazioni delle nanoscienze e delle nanotecnologie nella catena alimentare, scoprendo che l’utilizzo dell’ingrediente potrebbe non essere tanto sicuro quanto si credeva finora.
Il problema principale è la possibile genotossicità del biossido di titanio, cioè la capacità di una sostanza di provocare danni al DNA. A causare l’effetto tossico sarebbe l’accumulo di questo ingrediente nell’organismo in seguito a un consumo costante di prodotti che ne contengono. Le evidenze della genotossicità del biossido di titanio non sono schiaccianti, ma vista la gravità delle conseguenze la sola possibilità è sufficiente a far scattare l’allarme.
Gli esperti hanno quindi decretato il biossido di titanio non sicuro per il consumo alimentare. Con i dati attuali è infatti impossibile stabilire una dose di consumo assolutamente sicura per la salute umana.
Ricerca di alternative
EMA ha quindi deciso di cominciare a tastare il polso delle aziende farmaceutiche sull’argomento. Nel documento emesso a luglio 2021 l’Agenzia ha raccolto il parere di una rappresentanza di 86 compagnie farmaceutiche. Se però circa la metà di loro dichiara di aver già iniziato a cercare delle alternative al biossido di titanio, solo 7 ammettono di aver trovato una soluzione valida.
Tra le possibili alternative che possono, almeno parzialmente, sopperire al suo utilizzo figurano i carbonati, come il carbonato di magnesio e il carbonato di calcio, da solo o in associazione con l’isomalto. Ma anche il fosfato dicalcico, l’amido di riso o il talco. Fino ad ora una sostanza che svolga tutte le funzioni del biossido di titanio non è comunque stata ancora trovata. Radicale ma percorribile, almeno in alcuni casi, potrebbe anche essere la rimozione del biossido di titanio senza alcun sostituto.
Sono molti però i fattori da tenere in considerazione. I sostituti potrebbero infatti dover essere aggiunti in quantità maggiori rispetto al biossido di titanio, che svolge le sue funzioni anche a piccolissime concentrazioni. Senza contare l’interazione tra il nuovo ingrediente e il principio attivo e le conseguenze che un cambio di formulazione potrebbe avere sulla stabilità del prodotto. Indispensabile è quindi valutare la fattibilità delle diverse soluzioni caso per caso, a seconda delle specificità del singolo farmaco e delle funzioni svolte dal biossido di titanio nella specifica formulazione.
Un problema articolato
Oltre agli aspetti tecnici, inoltre, ci sono altre questioni da prendere in considerazione. Secondo la maggior parte delle aziende coinvolte, ad esempio, la possibile riformulazione porterebbe con sé una serie di sfide a livello di supply chain. Ci sarebbero infatti probabili rallentamenti nella produzione, che potrebbero provocare ripercussioni sulla disponibilità di farmaco. Anche l’aspetto burocratico correlato a una riformulazione, compresa la ricerca e validazione di nuovi fornitori, contribuirebbe al rallentamento.
Un altro aspetto rilevante del processo sono i costi legati alla ricerca di alternative al biossido di titanio e alla successiva riformulazione del farmaco. Senza contare le tempistiche dell’intero processo che, per la maggior parte delle compagnie intervistate, oscillerebbero tra i 5 e i 10 anni. Un insieme di fattori che potrebbero rendere più conveniente per le aziende eliminare del tutto dal mercato il prodotto contenente biossido di titanio. Con gravi conseguenze per la disponibilità di prodotto e per i pazienti.
EMA nel suo documento precisa che la valutazione dell’utilizzo del biossido di titanio nei farmaci sarà condotta in modo pragmatico. Evitare le carenze è infatti certamente un importante obiettivo dell’Agenzia. Ma lo è anche garantire che i farmaci siano sicuri. In attesa di nuovi sviluppi la questione resta quindi aperta.