La Direttiva (UE) 2024/3019 sul trattamento delle acque reflue urbane (Urban Wastewater Treatment Directive, UWWTD) è entrata in vigore il 1° gennaio 2025 [ne avevamo parlato dettagliatamente nell’articolo Direttiva europea sulle acque reflue: rischio per la disponibilità di medicinali].
Il nuovo testo, che sostituisce la storica direttiva 91/271/CEE, mira a ridurre l’impatto dei microinquinanti — tra cui residui farmaceutici e cosmetici — sulle acque superficiali, estendendo l’obbligo di trattamento anche ad agglomerati più piccoli e introducendo un quarto stadio di depurazione (“trattamento quaternario”).
La norma introduce inoltre un meccanismo di Responsabilità Estesa del Produttore (EPR) che impone ai produttori di medicinali e cosmetici di finanziare almeno l’80 % dei costi di investimento e gestione dei nuovi impianti destinati alla rimozione dei microinquinanti.
Gli Stati membri dovranno recepire la direttiva entro il 31 luglio 2027, mentre il sistema EPR dovrà essere operativo dal 31 dicembre 2028.
Un obiettivo ambientale condiviso, ma che secondo l’industria farmaceutica rischia di trasformarsi in un serio problema di sostenibilità economica e di accesso alle cure.
Le preoccupazioni del comparto farmaceutico
Nel corso dell’audizione dell’8 ottobre 2025 presso la Commissione Politiche UE della Camera, l’associazione delle aziende di equivalenti, biosimilari e value added medicines ha chiesto di sospendere l’attuazione della direttiva e del relativo schema EPR, in attesa di una nuova valutazione d’impatto comunitaria.
Il comunicato integrale è disponibile sul sito Egualia.it.
Secondo il direttore generale Michele Uda, «la priorità assoluta di un medicinale è l’efficacia e la sicurezza per il paziente. Non è possibile “ecologizzare” una molecola senza modificarne il profilo terapeutico e avviare un nuovo iter autorizzativo. Per questo il sistema EPR, pensato per altri settori, non può essere applicato automaticamente ai farmaci».
L’associazione avverte che l’onere economico potrebbe mettere in crisi il comparto degli equivalenti — responsabile di milioni di trattamenti quotidiani a basso costo — con il rischio concreto di carenze di medicinali essenziali in tutta Europa.
Le proposte di revisione
In alternativa alla sospensione, il settore propone una serie di correttivi da applicare già in fase di recepimento nazionale:
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Ampliare la platea dei soggetti responsabili, includendo anche altre fonti di microinquinanti (industria chimica, detergenti, agricoltura).
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Limitare all’80 % la quota a carico dei produttori, escludendo gli investimenti già realizzati e le spese non direttamente legate alla direttiva.
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Stabilire un metodo di calcolo condiviso fra autorità e industria per evitare discrezionalità e contenziosi.
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Istituire un Tavolo tecnico permanente per coordinare implementazione e monitoraggio tra istituzioni, gestori idrici e aziende.
Egualia chiede inoltre che la Commissione europea conduca una nuova valutazione d’impatto prima del 2033, la data prevista per la revisione ordinaria della norma.
Il fronte europeo e i ricorsi pendenti
La protesta italiana si inserisce in un quadro europeo sempre più teso.
Nel marzo 2025 il gruppo Zentiva ha annunciato un ricorso alla Corte di Giustizia UE contro la direttiva, denunciando il meccanismo EPR come discriminatorio e sproporzionato. Altri dieci produttori off patent hanno presentato analoghi ricorsi collettivi, sostenuti da Medicines for Europe.
Una dichiarazione congiunta EFPIA-AESGP del novembre 2024 aveva già espresso “forti riserve” sulla sostenibilità economica della direttiva, ritenendo che il principio “chi inquina paga” sia stato applicato in modo eccessivamente settoriale e non basato su prove scientifiche di impatto.
Parallelamente, un’interrogazione parlamentare europea (E-002988/2025) chiede alla Commissione di chiarire tempi e modalità della nuova analisi costi-benefici e di valutare una moratoria sull’attuazione in attesa dei risultati.
Costi e criticità emerse
Un’analisi di Medicines for Europe (febbraio 2025) evidenzia che il sistema EPR richiederà la creazione di almeno 27 Organizzazioni di Responsabilità del Produttore (PRO) nazionali, con alti costi amministrativi e incertezza sui criteri di ripartizione.
Secondo il report, le stime ufficiali della Commissione — circa 2,2 miliardi €/anno per l’intera UE — sarebbero fortemente sottostimate: in Germania i costi reali del trattamento quaternario potrebbero raggiungere 5-11 miliardi €/anno.
La direttiva prevede alcune esenzioni (ad esempio per sostanze rapidamente biodegradabili o per volumi inferiori a una tonnellata annua), ma tali clausole risultano difficili da applicare nella pratica clinica e regolatoria.
Che cosa può fare l’Italia
Nel recepire la direttiva, l’Italia dispone di margini di manovra significativi:
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Applicare una sospensione cautelare fino alla conclusione della valutazione d’impatto UE.
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Prevedere un tetto nazionale ai contributi EPR e criteri di ripartizione proporzionati al rischio ambientale reale.
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Creare un tavolo tecnico interministeriale (Ambiente-Salute-Imprese) con il coinvolgimento delle associazioni industriali e dei gestori idrici.
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Elaborare scenari di impatto economico per valutare gli effetti sui prezzi e sull’approvvigionamento dei farmaci equivalenti.
Come evidenziato anche nel nostro precedente approfondimento “Direttiva europea sulle acque reflue: rischio per la disponibilità di medicinali”, la sostenibilità della norma dipenderà dalla capacità di armonizzare obiettivi ambientali e tutela della salute pubblica.
Un equilibrio ancora da trovare
La UWWTD rappresenta una pietra miliare per la qualità delle acque europee, ma rischia di tradursi in un conflitto fra transizione ecologica e sicurezza terapeutica.
Senza un adeguato riequilibrio dei costi, la direttiva potrebbe penalizzare i produttori di farmaci più accessibili, generando conseguenze contrarie allo spirito originario della politica sanitaria europea.
I prossimi mesi saranno decisivi: tra audizioni parlamentari, possibili emendamenti nazionali e cause pendenti a Lussemburgo, il futuro del sistema EPR farmaceutico resta apertissimo.
Un “time-out” tecnico, come proposto dal settore, potrebbe essere l’unico modo per evitare che la corsa alla sostenibilità si trasformi in una nuova emergenza sanitaria.