La falsificazione dei farmaci è una grave minaccia alla salute pubblica, con un giro di affari che coinvolge il 10% del commercio farmaceutico mondiale. Il problema è accentuato dalla diffusione delle farmacie online ed è particolarmente sentito in Africa, Asia e Medio Oriente, dove si stima che il 20-30% dei farmaci in circolazione siano contraffatti. Non sono esclusi nemmeno i vaccini contro SARS-CoV-2, già diventati oggetto di un pericoloso commercio illegale. Una proposta innovativa per perseguire la lotta alla contraffazione farmaceutica delle specialità solide orali viene da un team internazionale di ricercatori. Pubblicata su Nature Communications, l’idea alla base dello studio cerca di superare i punti deboli delle tecniche attualmente in uso.
I limiti della serializzazione
La metodologia più recente proposta per arginare il problema della contraffazione di farmaci è la serializzazione, che prevede di attribuire un codice univoco ad ogni singola confezione prodotta. Questi codici generalmente sono dei barcode o utilizzano la tecnologia RFID (Radio Frequency Identification). Queste tecniche però, pur aumentando considerevolmente il livello di sicurezza, aprono il fianco al rischio di clonazione. Produttori non autorizzati particolarmente abili possono infatti impossessarsi delle medesime tecniche e riprodurre i codici.
Inoltre, anche se il livello di dettaglio della serializzazione può variare, generalmente i codici vengono applicati al confezionamento secondario o, più raramente, a quello primario. Resta quindi un vuoto relativo alle specialità solide orali, cioè a tutti quei farmaci che una volta estratti dal contenitore risultano privi di qualunque dispositivo anti-contraffazione. La questione è ancor più rilevante se si pensa che in alcuni Paesi è autorizzata la vendita di questi farmaci sfusi.
Nella corsa agli armamenti tra autorità e case farmaceutiche da una parte e produttori non autorizzati dall’altra, trovare una strategia per risolvere questi problemi potrebbe allora essere determinante.
Novità nella lotta alla contraffazione farmaceutica
L’approccio proposto dai ricercatori si basa sull’unione della logica dell’autenticazione a livello della singola unità con la tecnica delle PUF (Funzioni fisiche non clonabili).
L’inserimento di sostanze inerti in un farmaco che permettano di verificarne l’autenticità è una vecchia conoscenza del settore farmaceutico. FDA ha infatti regolamentato questa prassi nella Guidance for Industry – Incorporation of PhysicalChemical Identifiers into Solid Oral Dosage Form Drug Products for Anticounterfeiting del 2011. Si tratta di mescolare alla formulazione del farmaco una sostanza o una combinazione di sostanze dalle proprietà chimico-fisiche uniche, che rappresentino una sorta di firma. Rilevare la presenza di queste sostanze in fase di analisi del prodotto garantisce l’autenticità della formulazione, agendo quindi da marchio anti-contraffazione. L’utilizzo di questa tecnica non manca però di sollevare dubbi etici relativi ai possibili effetti dannosi sull’organismo delle sostanze utilizzate. Inoltre la sua efficacia non è molto elevata poiché risulta facilmente imitabile.
La tecnologia PUF invece è presa in prestito dal mondo della sicurezza informatica. Solitamente viene infatti utilizzata per identificare i chip attraverso la generazione completamente casuale di codici univoci. Proprio la casualità rende questa tecnologia efficace in un’ottica anti-contraffazione, poiché difficilmente falsificabile.
Quando il codice diventa commestibile
L’idea del gruppo di ricerca è quindi quella di produrre delle PUF costituite da sostanze innocue e commestibili, con cui marchiare le singole compresse o capsule. In particolare, i ricercatori propongono di utilizzare proteine fluorescenti in combinazione con le proteine della seta. Queste molecole sono infatti biocompatibili, idrosolubili, commestibili e pressoché anallergiche, minimizzando i problemi etici dovuti ai possibili effetti dannosi per l’organismo. Sono anche altamente versatili in termini di strutture che possono assumere. La produzione della seta fluorescente potrebbe inoltre essere ottenuta direttamente, grazie a bachi da seta geneticamente modificati.
Le proteine fluorescenti utilizzate possono essere di colore ciano, verde, giallo e rosso. La seta fluorescente si mescola poi a proteine di normale seta bianca per costituire un sottile film. Questo materiale può essere attaccato alla superficie delle specialità solide orali, permettendo così l’adesione del codice univoco generato attraverso opportuni programmi. A questo punto per il consumatore sarà facile verificare l’autenticità del farmaco, leggendo il codice semplicemente con il flash della fotocamera del proprio smartphone e confrontandolo con un database.
La produzione di codici commestibili con cui marchiare compresse e capsule è l’ultimo ritrovato della lotta alla contraffazione farmaceutica. Questa tecnica sembra garantire l’autenticità in modo efficace, oltre che essere sicura per il paziente. Non resta che aspettare di assistere alle sue applicazioni sul campo.