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L’evoluzione della pubblicità durante la pandemia

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L’evoluzione della pubblicità durante la pandemia

Le normative comunitaria e nazionale in vigore sulla pubblicità riconoscono da tempo all’autodisciplina un ruolo e un valore di sistema di giustizia alternativo, che snellisce il carico per lo Stato, rendendolo più sostenibile in termini sia di tempo dedicato che di costi. L’Istituto dell’autodisciplina pubblicitaria (Iap) supporta le aziende nella realizzazione di campagne di comunicazione corrette.

Attraverso il Codice di autodisciplina, che viene costantemente aggiornato e a cui aderiscono i principali operatori del settore, fissa i parametri per una comunicazione commerciale onesta, veritiera e corretta a tutela dei consumatori e della leale concorrenza tra le imprese. Durante tutto il periodo dell’emergenza Covid, lo Iap non ha interrotto la propria attività, ma l’ha proseguita da remoto monitorando l’evoluzione della comunicazione commerciale e continuando a fornire i suoi pareri preventivi.

Ho approfondito gli aspetti significativi rilevati in questa fase nel corso di un’intervista a Vincenzo Guggino, segretario generale Iap: ne è emersa un’analisi puntuale dell’evoluzione del contesto, con particolare riguardo agli aspetti legati alla comunicazione sanitaria.

Quali effetti ha prodotto lo scenario pandemico sulla comunicazione pubblicitaria?

La pubblicità è correlata al momento storico, ai comportamenti di consumo e al ruolo dei media: pertanto, lo scenario pandemico cui abbiamo assistito negli ultimi due anni ha prodotto inevitabili effetti sia sui messaggi che sui consumi, anche quelli dei media. Ad esempio, l’imposto confinamento nelle abitazioni, giustificato dalla necessità del “distanziamento sociale”, ha avuto come prima conseguenza il proliferare dei portali di e-commerce che hanno ampliato la vendita dei loro prodotti online. Una tendenza già in atto ma che in epoca di Covid-19 ha assunto più ampie dimensioni.

Sul versante pubblicitario si è assistito a un calo di investimenti in alcuni settori merceologici rispetto ad altri, che ha rispecchiato sostanzialmente il blocco produttivo e distributivo conseguente al lockdown: la pubblicità è cresciuta nel settore alimentare, in quello farmaceutico/ parafarmaceutico e in quello dell’igiene.

Per quanto riguarda i media, il primo dato, in gran parte anch’esso derivante dall’eccezionale permanenza a casa, è stato l’incremento del “consumo” alla ricerca di informazione e intrattenimento, con la parte del leone fatta da TV e Web, social e piattaforme on demand.

In questo scenario molte aziende hanno azzerato i loro investimenti pubblicitari, mentre chi ha continuato a investire ha sostanzialmente adottato due registri. Il primo basato su una comunicazione istituzionale fortemente giocata sul versante emotivo, sul sentimento di solidarietà (spesso con un esplicito ringraziamento agli operatori della sanità) o sull’orgoglio nazionale. Un secondo, più legato alle azioni dell’azienda, ad esempio la riconversione di alcune linee di produzione per la realizzazione di disinfettanti.

Qual è stata la reazione del pubblico?

Un vistoso fenomeno connesso al periodo ha riguardato il determinarsi di una certa saturazione informativa, che ha prodotto un’enorme quantità di input, che non di rado ha generato confusione, se non smarrimento nell’opinione pubblica.

La consueta autorevolezza riconosciuta alle fonti di informazione istituzionale, sia scientifica che politica, a tratti è venuta meno proprio per l’accavallarsi delle articolate posizioni emerse sulla scena mediatica, talvolta in contraddizione tra loro.

Quali conclusioni possiamo trarre?

Questo fenomeno ha fornito indicazioni su una possibile evoluzione del linguaggio e dei contenuti anche in merito alla pubblicità.

La ricerca di punti stabili e autorevoli può, infatti, suggerire alle aziende che hanno storia e credibilità di puntare la loro comunicazione con più coerenza sui valori di cui sono portatrici, dando spazio ad aspetti tangibili delle loro marche.

Altresì è richiesto un linguaggio più responsabile e credibile, potremmo dire anche più in armonia con le norme del Codice di autodisciplina della comunicazione commerciale.

Avete registrato episodi di scorrettezza paradigmatici nella produzione di messaggi pubblicitari?

Inevitabilmente, alcuni inserzionisti pubblicitari hanno cercato di “cavalcare” il tema pandemia e taluni messaggi sono risultati insidiosi proprio in relazione alla maggiore vulnerabilità del pubblico.

Un principio del Codice Iap, fissato nell’art. 8, è il divieto per la pubblicità di sfruttare la superstizione, la credulità e, salvo ragioni giustificate, la paura. La ratio della norma è vietare quei messaggi volti a sfruttare strumenti di pressione psicologica e suggestioni al fine di attenuare il controllo razionale dei destinatari del messaggio, abbassandone la soglia critica.

Nei giorni dell’emergenza sanitaria alcune pubblicità vi hanno tuttavia fatto riferimento e quando ciò è avvenuto in modo scorretto ha determinato criticità non solo riguardo possibili profili di ingannevolezza ma anche sul versante di un’impropria suggestione, soprattutto in considerazione di un consumatore più esposto.

Sul fronte dell’ingannevolezza alcuni messaggi hanno attribuito ai prodotti pubblicizzati caratteristiche ed effetti suscettibili di generare erronee aspettative nel consumatore. Messaggi idonei ad accreditare – ingiustificatamente – i prodotti come strumenti di prevenzione per la situazione sanitaria di emergenza, potendo altresì abbassare, o orientare non correttamente, il dovuto senso di vigilanza da parte del pubblico.

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