L’industria farmaceutica è caratterizzata da processi che richiedono un grande apporto energetico distribuiti lungo tutto il ciclo di vita del prodotto. Conciliare questa esigenza di energia con la necessità globale di una riduzione dell’impatto ambientale è stata una sfida a cui il settore ha risposto con iniziative concrete, come la Eco-Pharmaco Stewardship (EPS), programma europeo di gestione sostenibile dell’impatto ambientale del farmaco, che ha visto la luce nel 2015. Ma qual è la situazione oggi che la transizione ecologica sta diventando un imperativo sempre più urgente? E come sta reagendo l’industria farmaceutica alle difficoltà energetiche dovute al periodo storico che stiamo vivendo?
Aziende energivore
Il tema dell’energia e del suo consumo è diventato sempre più caldo nel corso degli anni, mano a mano che gli effetti del riscaldamento globale si concretizzavano e che la presa di coscienza della necessità di una maggiore sostenibilità ambientale diventava collettiva. Quella farmaceutica è certamente un’industria molto varia nelle tipologie di lavorazione, ma in generale prevede diversi processi che richiedono un sostanzioso apporto energetico.
Questa fame di energia viene periodicamente censita da ENEA (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile), incaricata dal governo di gestire il meccanismo di diagnosi energetiche obbligatorie dal 2015 per le grandi imprese e le aziende energivore appartenenti ai diversi settori dell’industria. ENEA si è quindi avvalsa della collaborazione di Farmindustria, di esperti del settore e di gruppi di ricerca universitari per redigere un documento che potesse fungere da guida per le aziende farmaceutiche impegnate nell’esecuzione della diagnosi energetica, raccogliendo i dati pervenuti nel periodo 2019-2020.
Nel settore farmaceutico l’energia è innanzitutto alla base del funzionamento dei macchinari di produzione. Prendendo in considerazione le “attività principali”, il documento di ENEA individua infatti proprio nelle linee produttive la maggior parte dei consumi energetici, precisamente l’83% di quelli elettrici e il 97% di quelli termici. Ma l’energia è indispensabile anche ad alcuni processi collaterali, individuati come “servizi ausiliari”: pensiamo alla produzione di acqua purificata o di aria compressa oppure alla generazione di freddo e calore di processo. La loro incidenza sui consumi totali è tutt’altro che marginale: proprio i servizi ausiliari sono infatti i principali responsabili dei consumi energetici nel settore farmaceutico, pesando per il 69% sui consumi elettrici e per il 76% su quelli termici. Come non considerare infine i “servizi generali”? Pur incidendo solo per il 10% sui consumi totali, quelli legati ad esempio alla climatizzazione sono significativi per questo tipo di aziende, non solo per il benessere del personale, ma anche per la buona riuscita dei processi industriali in tutti quei reparti dove una temperatura controllata è fondamentale.
Aziende virtuose
Oltre alle specificità dei processi, ci sono altre ragioni per cui il comparto farmaceutico ha fame di energia. Le aziende tendono infatti a essere più grandi rispetto alla media dell’industria: gli occupati in imprese con più di 250 dipendenti in questo settore sono il 71,4% del totale, mentre la media manifatturiera è del 24,1%. Inoltre nel decennio 2010-2020 si è assistito a un sostanziale aumento della produzione, con un incremento del 20% del volume di farmaci prodotti. A questo va poi aggiunto che a volte le aziende farmaceutiche lavorano su tre turni, producendo 24 ore al giorno, sette giorni su sette. Ciononostante, nel decennio 2008-2018 il settore ha abbattuto del 32% le emissioni di gas climalteranti e del 59% i consumi energetici, un dato superiore alla media manifatturiera, che vede una diminuzione rispettivamente del 28% e del 17%.
Per ottenere simili risultati l’impegno del comparto farmaceutico è stato concreto. L’impiego di tecnologie che prevengono l’inquinamento, azzerando o almeno riducendo quello determinato dai processi produttivi, è maggiore rispetto alla media, attestandosi al 44% contro il 37% dell’industria manifatturiera in generale. Anche l’attenzione alla generazione di rifiuti è un target importante per il comparto, con il 55% delle aziende impegnato nell’eliminazione della plastica nei vari passaggi produttivi e l’88% deciso a diminuire la generazione di rifiuti nell’arco dei prossimi 3-5 anni.
Molte aziende, inoltre, impiegano tecnologie verdi per ottenere una parte dell’energia necessaria al funzionamento dei loro processi. Analizzando i vettori energetici acquistati, si osserva che circa il 60% è costituito dalla fornitura di gas naturale, mentre il 35% da quella di energia elettrica. Considerando invece i vettori energetici utilizzati, la situazione è ribaltata. L’energia più usata è infatti quella elettrica, protagonista del 60% dei consumi, mentre il gas pesa per il 25%. Questa inversione si spiega proprio con la presenza importante di tecnologie per il recupero dell’energia, come gli impianti di cogenerazione, attivi nel 28% circa delle aziende farmaceutiche analizzate da ENEA.
Aziende nei guai
Nonostante l’impegno delle imprese per ridurre i consumi e i costi energetici, deve essere acquistata ancora molta energia necessaria al loro funzionamento. In un contesto globale come quello che stiamo vivendo, però, questa dipendenza comporta necessariamente delle ripercussioni. Gli equilibri economici sono stati infatti destabilizzati da due anni di pandemia e il recente conflitto in Ucraina ha ulteriormente complicato una situazione già intricata.
L’energia ha visto un aumento netto dei costi, oltre che delle possibili difficoltà di reperimento soprattutto per il gas naturale. Questo pesa necessariamente sui bilanci delle aziende, non solo a causa dei consumi diretti degli stabilimenti. I rincari del comparto energia impattano infatti anche sui carburanti e di conseguenza sui trasporti, con inevitabili ripercussioni sulla distribuzione dei farmaci e sull’approvvigionamento di materie prime e materiali di confezionamento.
Secondo le stime di Confindustria, l’incidenza dei costi energetici sul totale dei costi di produzione per il settore manifatturiero italiano potrebbe raggiungere l’8%, il doppio rispetto al periodo pre-crisi. È stato anche calcolato che, per il farmaceutico, il prezzo dell’energia si è più che triplicato, così come i costi legati al trasporto (un fattore non trascurabile per un settore che esporta l’85% della produzione). Questo amplia il divario di competitività di costo dell’Italia dai principali partner europei (in Francia l’incidenza dei costi energetici è del 4,8%). Per il settore manifatturiero è stato stimato un impatto complessivo tra 2,3 e 2,6 miliardi di euro. La causa principale di un impatto così elevato risiede nel fatto che il nostro Paese aveva una dipendenza dal gas naturale molto maggiore rispetto a Francia e Germania, non solo come fonte di produzione dell’energia elettrica ma anche come input diretto all’interno dei processi produttivi. Sebbene, ad esempio, in Germania la dipendenza dal gas russo fosse maggiore che nel nostro Paese (il 66% dell’approvvigionamento contro il 43%), l’Italia impiegava il gas come fonte primaria per il 43% mentre la Germania solo per il 27%. Sebbene dall’inizio del conflitto la dipendenza italiana dal gas russo sia scesa al 25%, le proiezioni per il 2022 prevedono un ulteriore peggioramento del gap con le due big europee. “Già nel 2021 – spiega la nota di Confindustria – la distanza nell’incidenza dei costi energetici dell’Italia aveva superato di un punto percentuale la Germania e di ben 2,6 punti la Francia. Nel 2022, con le ulteriori fiammate dei prezzi acuite dal conflitto Russia-Ucraina, il divario è stimato raggiungere +2,1% rispetto alla Germania e +4,9% rispetto alla Francia. Il maggior onere, inoltre, è generalizzato a tutti i comparti dell’economia”. Un’ulteriore aggravante risiede nella strategia seguita dal nostro Paese negli ultimi anni, con una riduzione del ricorso a contratti a lungo termine per l’approvvigionamento del gas naturale a favore di maggiori acquisti sul mercato a pronti (consegna immediata). Ciò ha aumentato l’esposizione degli operatori alle variazioni anche temporanee delle quotazioni.
La riduzione dei consumi e l’indipendenza energetica in questo momento storico stanno acquisendo quindi una sempre maggiore importanza non solo ecologica, ma anche economica. Il comparto farmaceutico ha già dimostrato di essere sensibile all’argomento, ma ci sono ancora ampi margini di miglioramento. Nel suo documento ENEA indica infatti una lunga serie di possibili interventi di efficientamento energetico, applicabili soprattutto ai “servizi ausiliari” (come climatizzazione e ventilazione degli ambienti produttivi), che porterebbero complessivamente a un risparmio di oltre 11 ktep (migliaia di tonnellate equivalenti di petrolio) all’anno, all’incirca il corrispettivo del consumo elettrico medio annuo di 22.000 famiglie. Un dato importante che dovrebbe essere considerato con la giusta attenzione.