Influenza aviaria: a volte ritornano…

I recenti casi di influenza aviaria nell'uomo registrati in Russia rievocano un tema che sembrava archiviato: malgrado l'assenza di un rischio specifico, è comunque necessario mantenere alta l'attenzione

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influenza aviaria

Fra le zoonosi più discusse in passato, l’influenza aviaria sta tornando a far parlare di sé. Nei giorni scorsi la Russia ha denunciato i primi 7 casi umani di infezione da virus H5N8.

Si tratta di dipendenti di uno stabilimento avicolo che, riportano le fonti russe, hanno riportato solo sintomi lievi.

Anna Popova, direttrice dell’Agenzia Federale Russa per i controlli sanitari, ha annunciato che l’Organizzazione Mondiale della Sanità è stata messa al corrente di quanto accaduto, come previsto dalla procedura.

Cos’è l’influenza aviaria?

L’influenza aviaria è un’infezione che colpisce i volatili ed è causata da un virus influenzale (orthomyxovirus) di tipo A che si trasmette attraverso le feci, la saliva e le secrezioni respiratorie.

Generalmente il passaggio all’uomo avviene in ambienti professionali che implicano uno stretto contatto con l’animale.

I sintomi dell’influenza aviaria descrivono un quadro simil influenzale, con congiuntivite, raffreddore, tosse (che può essere associata a dispnea), febbre e manifestazioni gastroenteriche (vomito e diarrea).

Per questo virus non è disponibile un vaccino. Ai soggetti che necessitano di un intervento farmacologico viene somministrato l’oseltamivir, un antivirale usato anche nel trattamento dell’influenza stagionale nei soggetti a rischio.

La sicurezza della filiera agroalimentare

Per tutelare la sicurezza di tutta la filiera, le carni degli animali infetti devono essere distrutte.

Il congelamento non elimina il virus dalle carni contaminate, ma può, al massimo, ridurre la carica virale. Non sono stati documentati casi di acquisizione dell’infezione dopo cottura a temperatura superiore a 70°C.

Il virus non è presente nelle piume dei volatili infetti, a meno che non siano venuti a contatto con le secrezioni dell’animale. In ogni caso, la legge vieta l’esportazione di tutti i prodotti derivanti da uccelli dai Paesi nei quali è stata segnalata l’infezione.

Nel nostro Paese la legge impone l’apposizione di un’etichetta sulla carcassa o sul materiale di confezionamento o di imballaggio con le indicazioni sulla provenienza dell’animale. Se il prodotto viene venduto sfuso, le informazioni devono essere presenti su un cartello esposto in maniera visibile nei luoghi di presentazione e vendita dei prodotti al consumatore.

Dal 2004 anche le uova devono riportare sulla confezione le informazioni sulla loro provenienza.

I casi russi da H5N8 non costituiscono un problema per noi, almeno per il momento, perché il nostro Paese non importa pollame né prodotti avicoli dalla Russia.

Un virus animale che può passare all’uomo

Si tratta del primo caso umano di infezione da H5N8. Il ceppo zoonotico più noto di questo virus è l’H5N1, che può essere trasmesso dall’animale all’uomo ma non da un essere umano all’altro.

Nel 2013 la presenza del virus appartenente al ceppo H7N7 fu rilevata in un operatore di un allevamento di polli in Italia affetto da congiuntivite.

In letteratura sono riportati casi di contagio umano anche dal ceppo H9N2.

Niente allarmismi, ma attenzione alta

Se, da un lato, gli esperti invitano a non creare panico ingiustificato, dall’altro occorre mantenere sotto controllo la situazione. L’evoluzione dei ceppi virali che potrebbero rendersi protagonisti di uno spillover deve essere scrupolosamente monitorata.

Malgrado l’assenza di un rischio specifico, è sempre consigliabile seguire alcune norme igieniche per proteggersi anche dal rischio di contagio da parte di altri microorganismi potenzialmente patogeni.

Nel caso, per esempio, di un ritrovamento di un volatile morto, il Ministero della Salute ricorda di non toccarlo a mani nude, ma piuttosto di richiedere l’intervento del servizio veterinario della ASL competente o della Polizia Provinciale o Municipale.

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