Ebola: fra ambiente e spillover

I recenti casi di Ebola riportano alla mente la tragica epidemia africana del 2014: come gestire il rischio ambientale nella generazione e diffusione delle zoonosi?

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Nei giorni scorsi la Guinea ha dichiarato 3 morti e 7 casi confermati per Ebola. Le autorità sanitarie locali hanno ammesso che si tratta di un’epidemia.

La dichiarazione ha suscitato l’immediata reazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, che ha assicurato una pronta assistenza al Paese.

Il continente africano è stato teatro della più vasta epidemia di Ebola della storia, che ha causato 11.300 morti e che ha trovato il proprio paziente zero proprio in Guinea, dove si ritiene abbia avuto luogo lo spillover.

La diffusione della malattia nell’Africa occidentale aggiunse ai risvolti tragici dell’immediato conseguenze a lungo termine, portando gli standard di vita indietro di decenni.

Lo stesso Direttore dell’OMS, all’epoca Margaret Chan, sottolineò che l’epidemia minacciava:

la sopravvivenza stessa di società e governi già in condizioni di povertà estrema

Cos’è Ebola

Ebola è una zoonosi, una malattia causata da un virus che ha compiuto il salto di specie dall’animale all’uomo.

Dopo una fase iniziale nella quale provoca una sintomatologia simile a quella del raffreddore, la malattia manifesta i suoi aspetti di maggiore gravità. Un progressivo e rapido deterioramento delle condizioni cliniche generali è associato a sanguinamenti da cute e mucose, accompagnati da uno stato di forte disidratazione.

Le teorie più accreditate individuano nei pipistrelli il reservoir naturale di questa patologia. Come di molte altre, per la verità.

In particolare, ad essere chiamati in causa per Ebola sono i pipistrelli della frutta, che gli esperti di veterinaria descrivono come animali dai comportamenti spiccatamente sociali e che vivono in gruppi numerosi.

Lo studio più approfondito dei pipistrelli, delle loro abitudini e comportamenti ha permesso di comprendere molti aspetti del loro ruolo nella trasmissione e, più in generale, della malattia e delle sue possibili forme di prevenzione.

Da questi animali sembra avere avuto origine anche l’epidemia di Nipah virus in Malaysia e quella di Hendra virus in Australia.

Le cause ambientali dell’epidemia

Uno studio pubblicato dal Lancet nel 2015 ha proposto come alcune delle possibili cause della diffusione di Ebola sia da cercare nella deforestazione incontrollata, nella progressiva urbanizzazione e nei cambiamenti climatici.

Il disboscamento ha infatti ristretto gli habitat a disposizione degli animali per mangiare e accoppiarsi. Questi fattori hanno complessivamente favorito l’interazione fra l’uomo e gli animali ed esposto il primo al contagio da parte di una serie di patogeni veterinari.

Il paziente zero dell’epidemia africana del 2014 fu un bambino di due anni che aveva avuto contatti con un gruppo di pipistrelli che si erano spinti a ridosso dei villaggi umani in cerca di cibo a seguito della deforestazione delle aree circostanti.

Nel 2017 un focolaio ebbe origine dalla sosta di uno stormo di pipistrelli in migrazione all’interno di una piantagione abbandonata frequentata da un gruppo di cacciatori locali.

Un futuro a rischio

Il primo caso documentato di Ebola è stato registrato nel 1976. Dal 1990 al 2010 la deforestazione ha bruciato il 10% del patrimonio forestale del continente africano, contestualmente all’esplosione demografica.

I fattori di perturbazione ambientale possono potranno, in futuro, produrre un simile impatto anche sulla propagazione di altre zoonosi.

Come è accaduto, e sta accadendo, per l’Africa, questi eventi di salute pubblica hanno spesso inizio in Paesi molto poveri, dove gli standard di cura sono relativamente limitati. Inefficaci nell’identificare e isolare tempestivamente i primi casi di contagio di una potenziale epidemia.

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