La fiducia dei consumatori nelle aziende continua a ridursi. Secondo un recente sondaggio, in Italia l’81% della popolazione ritiene che negli ultimi anni sia diventato più difficile potersi fidare delle imprese e dei loro prodotti.
Una sensazione condivisa con il resto del mondo: percentuali analoghe si registrano in Francia, Germania, Usa, Medio Oriente, India e Australia (unica eccezione la Cina con il 55%).
I consumatori diventano particolarmente sospettosi di fronte alle iniziative di responsabilità sociale, dato che in passato prodotti o campagne presentate come modelli di attenzione alla comunità o all’ambiente si sono rivelati clamorosi bluff.
Green washing
Basti pensare allo scandalo Volkswagen, la quale, mentre presentava il suo nuovo motore eco-compatibile (con tanto di sito dedicato e lancio promozionale in grande stile) forniva dati falsificati sulle emissioni. Già in precedenza la fiducia dei consumatori era stata messa alla prova da scelte aziendali quanto meno incoerenti.
Philip Morris, ad esempio, nel 1999 spese 100 milioni di dollari per promuovere una campagna sociale da 75 milioni sollevando profondi dubbi sui reali obiettivi dell’iniziativa. Anche la campagna per la Coca-Cola Life, presentata in una confezione verde e riciclabile che le conferiva un’aura naturale ed ecologica, venne aspramente criticata dato che in realtà la bevanda conteneva la bellezza di 17 grammi di zucchero a dose.
Non stupisce dunque che, secondo diverse ricerche scientifiche, i rapporti aziendali sulle attività di Csr vengano considerati poco credibili.
La sensazione dei consumatori è che le aziende non presentino un quadro completo e realistico delle loro attività ma selezionino solo alcuni elementi particolarmente convincenti (una pratica definita “cherry picking”). Come spiega una review scientifica sul tema, questa percezione ha messo in discussione la fiducia degli stakeholder creando un gap di credibilità tra loro e le aziende in tema di rendicontazione della Csr.
Un sistema di garanzia
Un aiuto ai consumatori per poter distinguere attività in buona fede da comportamenti scorretti arriva da B Corp, un sistema che certifica le performance sociali e ambientali delle imprese. Ottenere la certificazione è tutt’altro che semplice. Finora, più di 140.000 aziende di 74 Paesi si sono misurate con questo protocollo e solo 3.790 hanno ottenuto la certificazione.
Il concetto di B corp, comunque, si spinge oltre la mera verifica delle attività sociali di un’impresa e introduce l’idea che un’azienda possa porsi obiettivi diversi dal semplice profitto. In alcuni stati Usa, ad esempio, esiste una vera e propria forma societaria, la B corporation (B sta per benefit), attribuita alle imprese che, mentre cercano di creare utile, si pongono l’obiettivo di realizzare contemporaneamente un impatto positivo per la società e l’ambiente.
Si tratta di un principio tutt’altro che scontato. Nel 1919 Henry Ford fu condannato dalla suprema corte del Michigan a ritornare sui suoi passi dopo che aveva deciso di tagliare i prezzi delle auto e aumentare i salari dei lavoratori. Tale decisione, spiegò il giudice, non è accettabile perché “un’azienda deve operare principalmente nell’interesse della massimizzazione del profitto dei suoi azionisti”. Una soluzione contro gli interessi degli azionisti – spiegò il giudice – era da ritenersi illegale, anche se portatrice di benefici alla comunità.
Una società commerciale è organizzata e portata avanti principalmente per il profitto degli azionisti. I poteri degli amministratori devono essere impiegati per quel fine. La discrezione degli amministratori deve essere esercitata nella scelta dei mezzi per raggiungere quel fine, e non si estende a un cambiamento del fine stesso, alla riduzione dei profitti, o alla non distribuzione dei profitti tra gli azionisti per dedicarli ad altri scopi.
Corte suprema del Michigan, dichiarazione sul caso Dodge vs Ford, 1919
Un nuovo ruolo per le imprese
Ora le idee sul ruolo dell’azienda nella società stanno mutando e l’85% dei cittadini pensa che anche il mondo imprenditoriale abbia responsabilità nel migliorare la loro vita. Nella strategia aziendale, inoltre, il concetto di portatori di interesse (stakeholder) sta sostituendo quello di azionisti (shareholder).
Le Benefit Corporation sono aziende con doppio scopo e avranno risultati economici migliori di tutte le altre aziende.
Robert J. Shiller, premio Nobel per l’economia nel 2013
In Italia, con legge di stabilità del 2016, è stato introdotto uno status giuridico – le società benefit – analogo a quello delle B Corporation americane.
Si tratta della prima nazione al mondo a introdurre questa forma (negli Usa lo status è valido solo in 34 stati e non esiste una normativa federale). Anche le società che riescono a ottenere le certificazioni sono in aumento, segno che a mutare è anche l’approccio con cui le imprese vengono gestite. Tra queste vi sono nomi noti come Patagonia, Danone, Ben & Jerry’s (che fattura oltre un miliardo di dollari) ma anche moltissime piccole realtà.
Da 0 a 200
La certificazione si basa sul calcolo di un indice, denominato Benefit impact assessment (o B impact assesment), che non si limita ad analizzare un prodotto o un servizio, ma misura la performance sociale e ambientale complessiva dell’azienda. L’impatto viene misurato su una scala da 0 a 200 punti e per ottenere la certificazione è necessario superare la soglia degli 80 punti.
Sopra gli 80 punti un’azienda è rigenerativa, restituisce al mondo più valore di quanto ne prende, sotto gli 80 punti è estrattiva, sottrae valore alla comunità.
Eric Ezechieli, fondatore di Nativa, parte attiva nell’introduzione della legge sulle Società Benefit in Italia
Le aree prese in considerazione per la valutazione dell’indice sono cinque: governance, lavoratori, comunità, ambiente e clienti, ognuna delle quali contiene alcune voci specifiche, personalizzate in base alle dimensioni, al settore e all’area geografica in cui opera l’azienda.
I punteggi nelle singole voci sono pubblici, così come i risultati degli anni precedenti. In questo modo, ognuno può farsi un’idea dei punti di forza e delle criticità di una specifica impresa.
“La Certificazione B Corp – spiegano gli stessi ideatori – non si limita a dimostrare dove la vostra azienda eccelle ora, ma vi impegna a considerare l’impatto a lungo termine sugli stakeholder, integrandolo nella struttura legale della vostra azienda”.
Si ringrazia Eric Ezechieli, cofondatore di Nativa, per aver fornito i dati aggiornati sul numero di B Corp
[…] aziende che ottengono la certificazione B Corp si impegnano a rispettare determinati standard di trasparenza, qualità e responsabilità, […]
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