Un approccio strategico delle aziende nei confronti del tema della responsabilità sociale d’impresa (CSR) è sempre più importante per la loro competitività. Può infatti portare benefici in termini di gestione del rischio, riduzione dei costi, accesso al capitale, relazioni con i clienti, gestione delle risorse umane e capacità di innovazione. Dotarsi di una strategia per la CSR nel settore farmaceutico e biomedicale non è semplicemente una buona idea, ma può rivelarsi fondamentale in un contesto competitivo come quello attuale. Gli stakeholder, inclusi gli investitori, tendono sempre più ad analizzare il comportamento delle aziende a livello ambientale e sociale. E il settore farmaceutico non fa eccezione, come ci spiega Valeria Brambilla, Partner Italian Life sciences and Health care leader.
Cosa distingue le attività di CSR nel settore farmaceutico e biomedicale?
La CSR nel settore delle scienze della vita è diversa da quella di altri settori in quanto la popolazione ha aspettative molto elevate sul ruolo sociale di tale settore.
L’idea che la medicina debba superare il concetto di semplice “bene” ha guadagnato popolarità negli ambienti economici e pubblici. La medicina salva la vita delle persone ed è una necessità, non un semplice bisogno.
La definizione delle strategie in termini di CSR nel settore farmaceutico, comunque, dovrebbe avvenire a livello di singola azienda e non seguire un percorso generalizzato. Ogni impresa deve individuare con precisione non solo i propri specifici stakeholder – attraverso un processo definito appunto “identificazione degli stakeholder” – ma soprattutto le loro principali esigenze anche attraverso un loro percorso di coinvolgimento (“stakeholder engagement”). Ogni azienda, infatti, svolge attività e ruoli sociali differenti. Una farmaceutica italiana, ad esempio, includerà probabilmente tra i suoi stakeholder l’università o le comunità locali. Invece, per una multinazionale “big pharma” il coinvolgimento di stakeholder locali potrebbe non essere così rilevante, anche se opera in Italia. In altri casi, vi sono aziende del settore che producono prodotti potenzialmente impattanti sull’ambiente, quindi si dovranno occupare maggiormente di questo aspetto. Ci sono poi elementi peculiari come la privacy ecc.
In definitiva, si tratta di allargare l’approccio seguito finora, che privilegiava il punto di vista degli azionisti. Scelta del tutto legittima e in qualche modo doverosa dato che lo scopo di ogni società è comunque quello di esercitare un’attività economica e produrre utili.
Ora però la sensibilità dei cittadini sta cambiando e le aziende farmaceutiche sono disponibili ad adeguarsi: diventa così fondamentale aderire a framework legali e sociali del business e utilizzare i programmi CSR per distribuire vantaggi a tutti gli stakeholder.
Come devono adeguarsi le aziende farmaceutiche?
Il mondo farmaceutico per sua natura ha sempre investito principalmente nella leadership di prodotto. Questo perché lì risiede il suo core business: realizzare prodotti eccellenti, in termini di efficacia e sicurezza. Questo ha attratto gran parte delle risorse e delle attenzioni aziendali, compresa la comunicazione. Coerentemente con la leadership di prodotto, la strategia è stata quella di rivolgersi ai medici (e non ai pazienti), maggiormente in grado di apprezzare il valore del prodotto. La CSR impone ora una definizione più ampia del valore, e le strategie devono cambiare di conseguenza, compresa la comunicazione.
Da qualche anno la leadership si sta spostando dal prodotto al valore. Si tratta di un concetto ben più esteso, che per essere definito richiede la capacità di individuare e coinvolgere i propri stakeholder e loro esigenze.
A che punto sono le aziende riguardo alla CSR nel settore farmaceutico e biomedicale?
È un tema estremamente attuale, a tutti i livelli e in tutti i settori e le aziende si stanno progressivamente adattando. Un’analisi del NASDAQ Center for Corporate Governance ha evidenziato che le aziende pongono maggiore enfasi sulla divulgazione di informazioni e metriche “che esulano dall’ambito finanziario” e il 91% di esse ha pubblicato un rapporto di sostenibilità.
“L’Osservatorio nazionale sulla rendicontazione non finanziaria” – una collaborazione tra Deloitte e lo Sda Bocconi – ha analizzato 197 società italiane soggette all’applicazione del D.Lgs. 254/2016 mettendo in luce una emergente sensibilità aziendale verso obiettivi non finanziari e un maggior livello di stakeholder engagement.
Al momento le società di maggiori dimensioni mostrano un impegno più intenso sui temi di responsabilità sociale. Ma questo è anche dovuto al fatto che queste attività richiedono ingenti investimenti, non solo in termini monetari ma anche di risorse, di formazione ecc.
Si tratta peraltro di aree di studio non ancora consolidate, con una metodologia standard sottoposta a continua trasformazione. Gli analisti stanno lavorando, anche in collaborazione con le istituzioni europee, per definire regole condivise, indici, algoritmi decisionali. Al momento, però, sono stati fissati soprattutto dei principi, come quelli indicati nelle linee guida per la rendicontazione di sostenibilità definiti dal Global Reporting Initiative (GRI), che forniscono un framework fondamentale ma ancora generico. Servono ora indicatori specifici e affidabili come avviene per le valutazioni finanziarie.
Un impulso importante è stato fornito dalle istituzioni…
Certamente le Direttive 2013/34/UE e 2014/95/UE, introducendo nuovi obblighi sulla comunicazione di informazioni di carattere non finanziario per le aziende di grandi dimensioni, hanno accelerato il processo.
In Italia un salto di qualità si è avuto con il D.Lgs. 254/2016, che ha introdotto nell’ordinamento Italiano l’obbligo per gli enti di interesse pubblico di grandi dimensioni di redigere e pubblicare una “Dichiarazione di carattere non finanziario”.
Un ulteriore importante passo è stato compiuto dalle istituzioni finanziarie, a iniziare dalla Banca Centrale Europea. Stanno progressivamente introducendo parametri non finanziari, legati alle performance sociali e ambientali nei loro processi di attribuzione dei rating per la concessione del credito. Questo ha indotto anche i fondi di investimento a prendere in considerazione questi aspetti per selezionare le società su cui investire. Per questo sono nati molti servizi che forniscono dati e analisi sulle attività di CSR delle aziende, esattamente come avviene per le informazioni finanziarie. È evidente che se tutto il mercato dà valore anche economico a questi fattori non finanziari, le società saranno ancor più indotte ad affrontarli.
Resta comunque da vedere se (e quando) queste informazioni diventeranno accessibili anche ai consumatori come già avviene per i bilanci. Siamo solo all’inizio di un percorso ancora in gran parte da percorrere.
In questo contesto, qual è il valore delle certificazioni?
Le certificazioni sicuramente aiutano, se non altro perché il giudizio di un ente indipendente fornisce garanzie agli osservatori e agli investitori. Vale il principio che si applica per il bilancio: non certificarlo equivale a dichiarare una non disponibilità a sottoporsi ad un controllo esterno. Non a caso il decreto sulle società quotate non si è limitato a introdurre una rendicontazione non finanziaria ma ha imposto alle aziende di certificarla.
Il processo di certificazione può essere utile anche per individuare e sistemare eventuali lacune o, viceversa, rilevare punti di eccellenza che possono essere valorizzati nella comunicazione verso i terzi.