Comunicare la scienza: cosa NON fare per migliorare la Reputation

Le numerose apparizioni mediatiche dei virologi italiani nell’ultimo anno non hanno giovato alla reputation della comunità scientifica

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Comunicare la scienza: cosa NON fare per migliorare la Reputation

Comunicare la scienza non è mai stata un’impresa semplice, ma negli ultimi due anni la pandemia ha complicato ulteriormente il compito. A dicembre scorso Reputation Science, società italiana che analizza dati usando modelli matematici per fornire e implementare strategie di comunicazione, ha valutato l’impatto comunicativo delle dichiarazioni rilasciate dai virologi italiani che negli ultimi dieci mesi si sono espressi sulle misure anti-Covid adottate dal governo e, in generale, sulla pandemia. Questa notizia ha avuto forte eco, con numerose fonti a riprenderla: agenzie stampa, giornali, siti di news, radio e tv. La società ha da subito commentato che l’intento dello studio è stato quello di indagare l’effetto della comunicazione scientifica sulla popolazione in un momento storico così particolare, e non di creare “classifiche” di esperti o giudicarne l’operato.

Sebbene non sempre la notizia sia stata presentata evidenziando questo come obiettivo primario, il valore dei dati presentati è invece di grande importanza per comprendere l’effetto della comunicazione sulla Reputation del mondo scientifico. Lo studio si è basato su due indicatori:

  • l’indice di allerta, e cioè l’orientamento prevalente di ciascun esperto rispetto al grado di rigidità delle misure di contenimento da adottare;
  • il grado di coerenza tra le varie opinioni espresse nel tempo da ciascuno.

Troppe informazioni possono confondere?

La società ha esaminato centinaia di dichiarazioni pubbliche di scienziati e medici dal 1 febbraio al 20 novembre. Ne ha selezionate oltre 120 con un impatto mediatico significativo, che hanno generato oltre 70mila contenuti online tra web e social network. Ebbene, i principali risultati dell’analisi hanno fatto emergere un volume di contenuti estremamente rilevante. Basti riportare qualche numero. Lo studio ha infatti preso in esame dieci mesi. In questo periodo, ogni giorno le esternazioni degli esperti hanno generato circa 234 contenuti sul web. Allo stesso tempo, ogni dichiarazione ha prodotto in media 586 contenuti online in totale. «Questo eccesso di voci continue, sovrapposte e contrapposte ha sortito l’effetto di disorientare ulteriormente. È chiaro che si tratta di una situazione inedita, però chiunque parli deve tenere conto degli effetti che le sue parole possono sortire», ha dichiarato in merito Auro Palomba, presidente della società di analisi.

Comunicare la scienza: l’importanza di messaggi coerenti

Oltre ad aver registrato una mole elevata di informazioni, Reputation Science ha anche rilevato un doppio livello di incoerenza nelle dichiarazioni rilasciate. Molti esperti hanno infatti cambiato approccio nei vari mesi. In generale, si è assistito a una forte divergenza tra le opinioni riguardo alla gravità della pandemia e alla severità delle misure di contenimento. Questo potrebbe aver confuso ulteriormente i cittadini.

«Quando si decide di parlare in pubblico bisogna occuparsi del messaggio che viene trasmesso, non solo di quello che si vorrebbe dire. La nostra ricerca dimostra su base scientifica che alcuni esperti hanno avuto un’enorme esposizione ma hanno portato messaggi incoerenti. Questo ha generato un senso di smarrimento nell’opinione pubblica che può aver condotto buona parte della popolazione a una generalizzata sfiducia verso la scienza».

Stiamo vivendo un momento di forte incertezza. Ora più che mai è necessario comprendere in modo chiaro i meccanismi della comunicazione, il peso che singole parole e messaggi più articolati possono avere sulla percezione e sui livelli di ansia delle persone, già sottoposte a forti pressioni dal contesto attuale. «Purtroppo – denuncia Palomba – un effetto negativo di questo trend riguarda il fatto che rischia di ledere l’importanza delle misure e dei comportamenti fondamentali per limitare la pandemia».