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La rivoluzione verde dell’industria farmaceutica (che ancora non c’è)

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La rivoluzione verde dell’industria farmaceutica (che ancora non c’è)

L’industria farmaceutica è attualmente responsabile del 4,4% delle emissioni di gas serra al mondo, una percentuale destinata ad aumentare, visto che le previsioni danno il settore in crescita del 15,9% entro il 2030.

Negli ultimi anni, l’attenzione alla riduzione dell’impatto del cambiamento climatico è aumentata in tutto il settore. Lo dimostrano l’aumento delle adesioni alle agenzie di rating, l’assunzione di funzionari ESG, le dichiarazioni informative e la definizione degli obiettivi nelle principali società pubbliche

Aurelio Arias, direttore di Thought Leadership a IQVA

 

Ma ancora molto resta da fare.

Il report di sostenibilità 2023 del CPhI mostra che, nonostante le crescenti pressioni per ridurre l’impatto ambientale, la supply chain contribuisce ancora significativamente all’impronta di carbonio del settore farmaceutico.

Il problema principale è che si tratta di un settore ancora altamente inefficiente, che nel tempo si è evoluto molto poco. I metodi di lavorazione impiegati oggi sono spesso estremamente datati, quasi storici, ma rimangono radicati nelle abitudini aziendali (“scolpiti nella pietra” afferma il report). Il documento calcola che questi processi pesano per il 90% sui consumi complessivi di un’impresa.

Per affrontare in modo serio ed efficace la questione della sostenibilità ambientale sarà dunque necessario un cambiamento strutturale dell’intera filiera: “l’industria dovrà rivedere questi metodi di lunga data per aggiornare l’infrastruttura e supportare pratiche più ecocompatibili”.

Essendo uno dei maggiori settori che contribuiscono al cambiamento climatico e agli effetti del riscaldamento globale, il settore farmaceutico si trova in una posizione unica per guidare un cambiamento culturale verso la sostenibilità e le pratiche ESG, qualcosa che potrebbe ispirare altri settori a seguire l’esempio.

The CPhI Sustainability Report 2023 Towards a Greener Future

Le emissioni degli altri

Quando si analizzano le fonti di emissione di un’azienda, si usa una classificazione internazionale che distingue tre diverse categorie, denominate Scope: gli Scope 1 e 2 quantificano le emissioni direttamente imputabili all’azienda e riguardano sia i consumi diretti di combustibili (ad esempio per il riscaldamento o i trasporti) sia le emissioni prodotte per generare l’energia acquistata e consumata dall’azienda (ad esempio l’energia elettrica acquistata dalla rete).

Nella filiera del pharma le emissioni Scope 1, seppur evidenti, contribuiscono in misura minoritaria alle emissioni totali, a differenza delle Scope 2 che hanno un’incidenza significativa, specialmente nei processi produttivi.

Secondo il rapporto, però, le più critiche per l’industria farmaceutica sono proprio le emissioni di Scope 3, quelle che riguardano le terze parti (come clienti e fornitori) legate all’azienda: le emissioni di Scope 3 rappresentano la maggior parte dell’impronta di carbonio di un’azienda ma sono particolarmente difficili da quantificare.

Per limitare il riscaldamento globale entro i limiti previsto dall’Accordo di Parigi (abbondantemente sotto i 2°C e possibile sotto 1,5°C) l’industria dovrà migliorare il monitoraggio delle emissioni in quest’ambito e indurre i suoi partner a ridurle drasticamente.

Il problema dei piccoli

Sebbene molte grandi aziende abbiano già iniziato ad attuare i cambiamenti necessari sviluppando nuovi stabilimenti e siti di produzione, queste rappresentano ancora una minoranza, perché i costi economici richiesti per portare a termine questi sforzi sono significativi.

Il che solleva un ulteriore problema: la sostenibilità deve diventare l’obiettivo di tutti per massimizzare l’impatto delle diverse iniziative ma, data la portata degli investimenti richiesti, le aziende più piccole potrebbero faticare a introdurre le modifiche necessarie nei propri sistemi esistenti e potrebbero avere bisogno del sostegno economico delle istituzioni.

Per superare questo ostacolo il report suggerisce anche di fare leva su accordi più ampi di cooperazione, grazie ai quali le aziende più avanzate e le start-up più innovative possono condividere le proprie conoscenze, accelerando così i progressi verso gli obiettivi anche di quelle organizzazioni che faticano a tenere il passo.

Il nodo normativo

Un ultimo ostacolo, secondo il documento del CPhI è costituito dal framework legale: le normative ambientali a livello globale – spiega il documento – sono eccessivamente eterogenee, il che complica il lavoro delle aziende che devono soddisfare i requisiti in aree geografiche diverse. Inoltre i ricercatori denunciano “una netta mancanza di regolamentazione e legislatura sulla sostenibilità nel settore farmaceutico, che porta a una riduzione della rendicontazione e della responsabilità”.

Per questo auspicano che le aziende continuino le attività di lobbying nei confronti delle istituzioni per ottenere una regolamentazione più armonica nel settore allargando così la platea di aziende che possono assumere impegni sulla sostenibilità.