Medicina&digitale

Intelligenza artificiale, digital therapeutics, telemedicina: le tecnologie stanno rivoluzionando il campo della medicina in ogni fase, dallo sviluppo dei farmaci alla diagnosi, prognosi e aderenza terapeutica

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L’intelligenza artificiale (AI) è una tecnologia che, tramite algoritmi precisi, consente alle macchine di apprendere dai dati, di adattarsi a nuove situazioni,  ragionare ed eseguire compiti che normalmente richiederebbero l’intervento umano. L’AI è utilizzata per automatizzare processi, migliorare le prestazioni, fornire soluzioni intelligenti e supportare le decisioni umane.
Oggi l’AI è impiegata in una vasta gamma di settori e applicazioni, tra cui la ricerca biomedica e l’assistenza sanitaria.
Per capire quanto l’intelligenza artificiale sia diffusa oggi in medicina, abbiamo intervistato il Eugenio Santoro, responsabile dell’Unità di Ricerca in sanità digitale e terapie digitali dell’Istituto Mario Negri di Milano. 

Che ruolo può avere l’intelligenza artificiale in medicina?

Di intelligenza artificiale si parla almeno dal secondo dopoguerra, poi a più riprese negli anni ’90, ma ci si riferiva a un tipo di AI più statica, dove era fondamentale la programmazione, qui stiamo parlando di una cosa diversa.  Mi riferisco in particolare a un sottogruppo di AI che si chiama machine learning, perché impara da esempi e non ha bisogno di essere programmata, ed è questa la grande novità rispetto all’intelligenza artificiale del passato.
Oggi abbiamo computer molto performanti e una incredibile quantità di dati, sia in forma testuale che di immagini, soprattutto in medicina. I software di AI si sono evoluti, dai semplici sistemi basati su input forniti dall’operatore, grazie al machine learning. Si tratta di tecniche che istruiscono i computer ad apprendere dai dati, i nuovi algoritmi sono capaci di imparare da esempi.
Stanno emergendo quindi le potenzialità dell’AI soprattutto in ambito medico e la disponibilità di dati è molto cresciuta, così come le fonti da cui provengono. Si pensi alle cartelle cliniche, ai principali database come Medline o a quelli molecolari e genetici, ma anche ai digital biomarker, i braccialetti/orologi o altri dispositivi che si possono indossare e raccolgono un grande numero di informazioni. Gli algoritmi di AI sono in grado di interpretare tutti questi dati in riferimento alla salute del paziente.
L’intelligenza artificiale basata sul machine learning non è quella di ChatGPT: questi sistemi capiscono cos’è una TAC per esempio e cosa devono andare a cercare, sanno a quali aree prestare particolare attenzione e confrontando gli esempi utilizzati per istruirli riescono con un certo grado di affidabilità a identificare un tumore. ChatGPT non ragiona da un punto di vista semantico, ma sintattico.
Mentre i sistemi di deep learning possono interpretare linee guida, storie cliniche dei pazienti e dati raccolti, ChatGPT utilizza modelli linguistici e aiuta l’utente a scrivere testi semplici e comprensibili. È un sistema capace di scrivere testi molto chiari ma non necessariamente affidabili: ChatGPT, infatti, attinge da tutto ciò che è su internet, comprese molte fake news”.

In quali ambiti della medicina può essere utilizzata l’intelligenza artificiale?

Ci sono in letteratura diverse prove di efficacia e sicurezza in almeno tre aree. La prima è quella della diagnostica: questi sistemi sono in grado di formulare diagnosi basandosi su radiografie, TAC o altri esami, perché sono stati istruiti con la gran mole di dati a disposizione. ll campo diagnostico è quello che ha visto i maggiori progressi in termini di utilizzo dell’AI come supporto per i medici. In questo settore esistono diverse evidenze scientifiche dell’efficacia di questi sistemi, in particolare in oncologia, pneumologia e cardiologia. Dopo aver istruito una macchina nell’interpretare immagini di radiografie, ecografie, TAC, elettrocardiogrammi e analisi di campioni di tessuti biologici, è possibile identificare, con un buon grado di affidabilità, patologie tumorali, cardiovascolari e respiratorie.
Il secondo ambito è quello della predizione/prognosi: i sistemi di AI sono in grado, sulla base di esami di laboratorio di routine o di esami diagnostici, di predire la probabilità che un determinato evento avvenga nel medio periodo.
I sistemi prognostici erano basati finora sulla statistica abituale, le regressioni logistiche, modelli di analisi sofisticate in grado di identificare la prognosi di un paziente sulla base di certi elementi. Ora c’è una nuova modalità, che sfruttando il deep learning è in grado di aggiungere ulteriori informazioni rispetto a quelle prese in esame attraverso i modelli di regressione logistica. I nuovi sistemi riescono a predire un determinato evento a distanza di anni e questo è un dato molto interessante. Esistono molte esperienze in ambito cardiovascolare che, sulla base di elettrocardiogrammi, sono in grado per esempio di identificare la probabilità che un paziente vada incontro a uno scompenso cardiaco a distanza di qualche anno. L’AI consente anche di predire con accuratezza e ampio anticipo lo sviluppo di un tumore, quindi si sta rivelando utile per l’identificazione di patologie ancora prima che si manifestino.
I medici sono supportati dai sistemi di AI anche dal punto di vista della scelta terapeutica e del trattamento farmacologico di un paziente. L’AI fornisce suggerimenti preziosi basandosi sulle linee guida più attuali, sui risultati dei principali lavori scientifici che si riferiscono alla specifica patologia, sulla storia di pazienti con patologie simili e del singolo paziente in esame. In questi tre ambiti: diagnostico, prognostico e decisionale i risultati in varie aree scientifiche sono molto promettenti”.

L’AI viene utilizzata anche nella ricerca clinica?

Nell’ambito della ricerca clinica si fa uso dell’AI da diversi anni con risultati interessanti. In una delle numerose fasi della ricerca si identificano le molecole più promettenti che poi arrivano alla sperimentazione clinica: è un processo importante per individuare le molecole più promettenti, un percorso che richiede tempo e risorse. Con l’AI si riesce a ridurre il numero di molecole su cui focalizzare l’attenzione; alcuni nuovi antibiotici sono stati identificati in questo modo, per esempio. I sistemi di AI sono anche oggetto di ricerca, nel senso che vengono valutati con i modelli della ricerca clinica per misurarne sicurezza ed efficacia. Si fanno sperimentazioni sull’impiego di questi strumenti per decidere aspetti organizzativi o di gestione delle risorse e del personale all’interno di un ospedale, ambiti che non mettono a rischio la salute del paziente. Non c’è nulla di diverso tra uno strumento che fa una diagnosi basata su AI e un ecografo, perché forniscono lo stesso tipo di supporto al medico, basato su sistemi diversi. I sistemi di AI che gravitano nelle tre aree menzionate rientrano a pieno nella regolamentazione dei dispositivi medici, che a livello europeo è cambiata due anni fa ed è molto più severa rispetto a prima, Per i sistemi di AI si richiedono prove di sicurezza più importanti e solide rispetto al passato. Anche per i farmaci già esistenti sono state trovate, tramite sistemi di AI, associazioni così forti rispetto ad altre applicazioni che è cambiata l’indicazione di quel tipo di farmaco.
Un altro esempio di utilizzo dell’AI nell’ambito della ricerca clinica riguarda il reclutamento dei pazienti. Quando si scrive il protocollo si arruolano i centri che vedono il maggior numero di pazienti per la specifica patologia: reclutare i pazienti con sistemi di AI consente di individuare i candidati più adatti e questo riduce i tempi di arruolamento.
I sistemi di AI vengono utilizzati anche per sviluppare le prime idee di una ricerca clinica. Le ipotesi che i ricercatori formulano sono il frutto di una sintesi della letteratura e l’AI viene utilizzata per identificare le aree in cui fare ricerca, perché riesce a scremare gli argomenti. Uno strumento di questo genere consente ai ricercatori di risparmiare tutto il lavoro di iniziale per capire in quale contesto concentrare nuovi studi.

Qual è in prospettiva l’utilizzo dell’AI in medicina?

La prospettiva è che i sistemi di AI siano inquadrati a livello normativo e soprattutto che siano interpretati e percepiti dai medici come qualunque altro strumento o dispositivo medico. Il professionista sanitario oggi utilizza un ecografo o un elettrocardiogramma per arrivare a una diagnosi, domani lo farà con un sistema basato sull’intelligenza artificiale. Alla fine sarà sempre il medico, ovviamente, il responsabile delle scelte cliniche, gli strumenti di AI gli daranno un aiuto in più. In prospettiva, una volta verificata la sicurezza e l’efficacia, questi sistemi entreranno in uso a pieno titolo come qualunque altro strumento, dalla TAC alla risonanza magnetica.

Qual è l’utilizzo della telemedicina e delle terapie digitali?

Farei un discorso più generale sull’uso della tecnologia in ambito sanitario, indipendentemente dalla tipologia di strumento. La telemedicina e il fascicolo sanitario elettronico sono le due componenti importanti su cui si basa la trasformazione digitale in ambito medico e su cui è stato investito tanto.
Sono stati utilizzati i fondi del Pnrr in seguito alla pandemia di Covid, definendo una struttura apposita identificata in Agenas, che si è sempre occupata di sanità a livello regionale e che ha il compito di organizzare i servizi di telemedicina in Italia. Questo viene fatto attraverso una piattaforma nazionale, sostanzialmente un software che dà ai medici la possibilità di fare prestazioni di telemedicina nelle varie regioni.
Poi c’è il fascicolo sanitario elettronico nella nuova concezione: si è capito infatti che così com’era non poteva funzionare, perché basato su dati amministrativi che poco hanno di clinico. È stato quindi ripensato, dando molta più enfasi al dato clinico, affinché si possa fare ricerca clinica ma anche monitorare le patologie.
Questi strumenti possono monitorare cosa succede in tempo reale e sono in grado di identificare nuove epidemie o situazioni di emergenza che abbiamo mancato di rilevare durante il Covid. Telemedicina e fascicolo sanitario elettronico procedono speditamente, entro il 2026 dovremmo avere sia l’una che l’altro.
Parallelamente si sta cercando a livello istituzionale di spingere l’uso dei sistemi di sanità digitale più avanzata, come le tante app che rientrano tra le terapie digitali, strumenti in grado di monitorare e gestire da casa una patologia o di fornire un supporto all’aderenza al trattamento. Si è capito che c’è bisogno non solo di regolamentare il settore ma anche di prevedere in determinati ambiti un rimborso da parte del Servizio sanitario nazionale. Per certe app a supporto di varie patologie esistono prove di efficacia ed evidenze scientifiche in letteratura, sono state studiate con le stesse metodologie utilizzate per i farmaci. In Germania, che è il faro per la sanità digitale in Europa, queste app non solo si possono prescrivere, ma sono anche rimborsabili dalle assicurazioni. 

Cosa si intende esattamente per terapie digitali?

Parliamo in generale di strumenti di medicina digitale, di cui le terapie digitali sono una sottocategoria. Questi strumenti aiutano a gestire una patologia da remoto: un esempio sono i sistemi di monitoraggio, cioè quelle applicazioni che consentono di raccogliere dati direttamente da casa e trasferirli al medico. Un altro esempio di medicina digitale sono i sistemi che permettono di gestire reazioni avverse a farmaci e consentono di segnalare eventuali problemi o ancora sistemi che permettono di essere più aderenti alle terapie farmacologiche. Sono dei reminder, alcuni anche basati sulla teoria dei giochi, che hanno come obiettivo quello di indurre il paziente a seguire in modo ottimale la terapia farmacologica.
Poi ci sono le “pillole” intelligenti, che contengono il principio attivo, ma anche un sensore basato su materiali biocompatibili. Una volta ingerite, consentono di inviare dei segnali, sfruttando alcune potenzialità come quelle dei tuberi che, entrando a contatto con i succhi gastrici, riescono a generare un segnale debole e non rischioso per la salute. Questo segnale può essere captato da un sensore esterno e viene rimbalzato a una app che consente di capire se il paziente ha assunto la pillola correttamente. Queste pillole intelligenti in sostanza dispensano farmaci e monitorano la salute del corpo e da anni sono anche utilizzate a scopo diagnostico, per “fotografare” l’interno del nostro corpo.
Altri esempi di terapie digitali sono quelle a carattere cognitivo-comportamentale, come i videogiochi rivolti ai bambini che soffrono di ADHD, il disturbo da deficit di attenzione. Sono stati studiati dal punto di vista scientifico in studi randomizzati e si sono dimostrati efficaci per aumentare i livelli di attenzione.

Quanto sono diffuse queste tecnologie in Italia oggi?

Le terapie digitali sono prescrivibili e rimborsabili in Germania e negli Stati Uniti, però in Italia manca ancora un tessuto regolatorio che possa favorirne l’inserimento nel contesto assistenziale.
Comunque l’aria è un po’ cambiata e le istituzioni ora si stanno muovendo. L’anno scorso è stato istituito un intergruppo parlamentare che si occupa proprio di sanità digitale e terapie digitali. Anche io faccio parte del comitato tecnico-scientifico di questo gruppo, che ha l’obiettivo di scrivere una legge che consenta di prescrivere strumenti basati su caratteristiche scientifiche e rimborsarli tramite il Ssn. La sanità privata, per ora, è l’area in cui questo genere di strumenti vengono maggiormente utilizzati.

Qual è l’utilizzo dei digital biomarker?

I digital biomarker vengono utilizzati in due contesti diversi: la gestione delle patologie dei pazienti e l’ambito della ricerca clinica. A tutti gli effetti dal punto di vista normativo sono inquadrati come dispositivi medici e devono quindi rispettare il Regolamento (UE) 2017/745. Solo quelli approvati come dispositivi medici possono essere suggeriti dai medici per il monitoraggio da remoto delle patologie.
Il loro uso è però ancora limitato perché mancano regole certe sulla loro prescrivibilità. Il loro impiego è poi piuttosto frammentato a causa della regionalizzazione della sanità.
Mentre è ancora piuttosto limitato l’uso di questi strumenti a domicilio del paziente, vengono comunque utilizzati nella ricerca. Il modello di ricerca clinica verso cui si sta andando, infatti, è quello della decentralizzazione, sperimentazioni cliniche che evitano il più possibile lo spostamento dei pazienti presso i centri reclutatori, favorendo la raccolta dei dati direttamente da casa.

L’uso dell’intelligenza artificiale in medicina comporta dei rischi?

Uno dei rischi più importanti riguarda il fatto che i sistemi utilizzati non siano stati sufficientemente testati e supportati da prove scientifiche. Andrebbero condotti studi clinici metodologicamente più solidi che coinvolgano molti centri e valutino gli effetti su un campione adeguato di popolazione.
I sistemi di AI, poi, andrebbero istruiti correttamente, per evitare errori di valutazione.
Bisogna ricordare comunque che l’AI non sostituirà la figura del medico: le decisioni finali rimangono allo specialista, per motivi etici, deontologici e di responsabilità.