Il settore farmaceutico impatta per quasi il 5% sulle emissioni globali. Date le caratteristiche di potenza e resilienza e, soprattutto, dato il contesto non entusiasmante, un intervento in termini di riduzione delle emissioni e di utilizzo più efficiente delle risorse è più che possibile: necessario. Lo dice la politica, lo chiede a gran voce la società e lo stabilisce la normativa, che a livello europeo si è occupata in più sedi dell’impatto ambientale delle cure.
Malgrado le comprensibili resistenze legate alla congiuntura inflattiva e ai postumi di una pandemia che ha avuto le ben note ripercussioni drammatiche sull’economia, il costo della sostenibilità deve essere considerato un investimento e le iniziative in questo ambito dovrebbero essere progettate in questa prospettiva.
Una sfida ardua in un’epoca storica abituata a credere solo nei feedback ottenibili interamente e subito. Ma così è: per diverse ragioni, tutte sotto i nostri occhi, gli interventi in sostenibilità (opportunamente declinati e programmati) costituiscono il driver dello sviluppo.
Vista in chiave più globale, la questione non riguarda solo le singole aziende, ma anche gli Stati, e non esclusivamente sotto il profilo dell’ottenimento di soluzioni in grado di migliorare la salute dei cittadini, ma anche in termini di crescita economica. Quale Paese può permettersi di destinare ingenti somme in innovazione tecnologica e infrastrutturale o può definirsi competitivo se appesantito da una spesa sanitaria e sociale insostenibile, legata alle devastazioni climatiche e ambientali e alle disuguaglianze sociali che ne derivano?
Pharma, primo settore per azioni di sostenibilità
Il cambiamento è già partito da tempo. Gli ultimi anni hanno visto una progressiva ma significativa riduzione delle emissioni e una comunicazione attenta alle tematiche green.
Nel corso della celebrazione della Giornata mondiale per l’ambiente, lo scorso 5 giugno, il presidente di Farmindustria Marcello Cattani ha ricordato come (secondo i dati Istat) l’industria farmaceutica rappresenti il primo settore per azioni di sostenibilità. Gli investimenti in protezione dell’ambiente per addetto sono pari al 150% della media nazionale e superiori al 200% per quanto riguarda gli interventi in tecnologie destinate alla prevenzione dell’inquinamento, che azzerano o riducono la contaminazione ambientale alla fonte del processo produttivo. L’88% delle aziende farmaceutiche prevede di ridurre significativamente i rifiuti prodotti nei prossimi 3-5 anni, mentre il 55% è già impegnato nell’eliminazione dell’uso della plastica in ogni fase del processo.
In occasione della COP28, che si è svolta lo scorso dicembre a Dubai, l’industria farmaceutica ha presentato un comunicato congiunto condiviso dalle maggiori associazioni di categoria (la britannica Abpi, Efpia, Farmindustria, Fpma, la canadese Imc, la giapponese Jpma, la francese Leem, la statunitense PhRMA e la tedesca Vfa).
Il documento impegna le aziende del comparto a effettuare investimenti in ricerca e sviluppo per fornire prodotti, servizi e catene di approvvigionamento più sostenibili con l’obiettivo di zero emissioni nette e carbon neutrality.
Negli ultimi 10 anni in Italia le aziende hanno ridotto i consumi energetici del 44%, ma se si considerano i consumi rilevanti per le emissioni atmosferiche, la riduzione è addirittura pari al 51%.
Marcello Cattani – Presidente Farmindustria
I margini di miglioramento
La strada è tracciata ma in alcuni punti il percorso va corretto. In particolare, gli aspetti su cui è necessario lavorare ancora sono quelli della comunicazione e della definizione di indicatori misurabili e riproducibili per definire gli obiettivi di sostenibilità. Due aspetti che sono più intrecciati di quanto non sembri.
In molti casi, la mancanza di criteri oggettivi impedisce di valutare il valore delle azioni intraprese: ne deriva un vulnus per la comunicazione aziendale sulle tematiche ESG, che potrebbe essere accusata di greenwashing e subire un danno in termini di immagine potenzialmente penalizzante di ulteriori e lodevoli iniziative. Ricordiamo, a questo proposito, che anche l’omissione di informazioni in sede di comunicazione aziendale può configurarsi come una pratica scorretta: lo è, ad esempio, affermare che un determinato processo sia a “zero emissioni” senza precisare se tale risultato sia stato raggiunto principalmente attraverso azioni di compensazione.
Novo Nordisk, “Circular for zero”
L’azienda danese ha abbracciato un processo di evoluzione che la pone in prima linea a contrasto dei cambiamenti climatici grazie a una sensibilità di base più comune e diffusa nei Paesi nordeuropei, ma anche alla consapevolezza di dover assumere un ruolo di riferimento in quanto produttrice di farmaci associati a dispositivi medici, che rappresentano una criticità specifica in termini di smaltimento.
Novo Nordisk ha progettato la strategia di impatto ambientale zero “Circular for zero”, mirata a identificare nuovi modi per progettare prodotti che possano essere riciclati o riutilizzati, rimodellare l’attività per limitare al minimo i consumi e i rifiuti e lavorare con fornitori che condividano il medesimo obiettivo. Nel 2020, la società ha raggiunto il target di utilizzo di energia elettrica rinnovabile al 100% ed entro il 2030 ambisce a generare zero emissioni di CO₂ dalle attività di produzione e logistica.
Boehringer Ingelheim: contenere il consumo di acqua
Già dal 2020 tutta l’energia necessaria al funzionamento delle sedi italiane di Boehringer Ingelheim proviene da fonti rinnovabili.
Attualmente, l’azienda sta implementando i principi dell’economia circolare per ridurre i rifiuti provenienti dalle attività produttive che andrebbero smaltiti in discarica.
Negli stessi anni in cui i volumi di produzione sono stati triplicati, negli stabilimenti il consumo di acqua è stato ridotto fino al 65%. Una iniziativa che parte da lontano, da periodi nei quali il problema della siccità e degli squilibri nella disponibilità delle risorse idriche non tenevano ancora banco nei dibattiti pubblici.
La società punta a raggiungere la carbon neutrality in tutto il gruppo, a livello globale, già nel 2030. La nuova sede inaugurata a Milano nel 2022 è certificata Leed Platinum (il livello più alto nella valutazione degli edifici sostenibili) e ha permesso di risparmiare nel 2022 il 100% di gas, il 95% di acqua e il 65% di energia elettrica. Gli interventi non hanno considerato solo i reparti produttivi, ma hanno coinvolto anche le sedi amministrative. L’obiettivo, come ribadito da una serie di interventi stampa delle figure chiave del management, è soprattutto un cambiamento radicale della mentalità delle persone e della maniera di pensare la produzione di medicinali, che immagina orientato alla creazione di valore per l’azienda e per il territorio in cui si inserisce.
AstraZeneca: eliminare i gas fluorurati
Ampio e dettagliato piano di riduzione delle emissioni di CO₂ (Ambition zero carbon) di AstraZeneca, il cui costo è stimato in circa un miliardo di dollari, messo in campo per raggiungere l’obiettivo di zero emissioni entro il 2045. Questo programma include un investimento di 400 milioni di dollari (AZ Forest Programme) finalizzato all’eliminazione dei gas fluorurati dai propellenti degli inalatori e contribuirà al raggiungimento di un obiettivo intermedio di riduzione del 95% delle emissioni entro il 2026 (rispetto alla baseline del 2015). AstraZeneca persegue l’obiettivo di dimezzare l’impronta dell’intera supply chain entro il 2030, con obiettivo a lungo termine di una riduzione del 90% entro il 2045 (sempre dalla baseline del 2015).
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