A volte si dà per scontato che un gruppo di adulti che lavorano insieme collaborerà senza problemi. E se anche dovessero sorgere incomprensioni o aprirsi degli screzi, la loro maturità saprà certamente suggerire come risolvere la situazione e trovare un modo per andare d’accordo.
E se così non fosse? Pazienza, dovranno farlo per forza perché sono obbligati a lavorare gomito a gomito per diverse ore al giorno.
In ambiente professionale questa visione, che attribuisce tutta la responsabilità del clima lavorativo ai dipendenti e lascia l’azienda libera di occuparsi di obiettivi e fatturato, sta però lasciando spazio a una maggiore consapevolezza del fatto che l’azienda è fatta proprio dai dipendenti e che la loro percezione e la loro motivazione, oltre che importanti da un punto di vista umano, sono anche strettamente connesse ai risultati aziendali.
Converrà allora investire sui propri dipendenti e sulla comunicazione interna?
Il classico modello di priorità aziendali sembrerebbe suggerire di no: al primo posto si trovano generalmente gli azionisti e il fatturato, seguiti dai clienti e infine dai dipendenti. Ma le nuove tendenze prevedono un vero ribaltamento della classifica. Mettendo al primo posto i dipendenti, infatti, l’azienda funzionerà meglio, con ricadute positive su clienti, azionisti e fatturato.
Dipendente ingaggiato, dipendente valorizzato
Ecco perché sempre più spesso le aziende si preoccupano dell’employee experience, di rendere i propri dipendenti partecipi di valori e obiettivi aziendali e di coinvolgerli nelle dinamiche che vanno oltre a quelle della funzione in cui lavorano. Una sorta di fidelizzazione che cerca di rendere il dipendente parte integrante dell’impresa e più consapevole dell’importanza del proprio ruolo.
Spazio allora a eventi di team building, newsletter e blog aziendali. Ma anche ad attività volte a conoscere le persone che abbiamo intorno. Conoscere gli altri dipendenti – non solo per come si mostrano sul lavoro ma anche per alcuni dei loro tratti privati – aiuta infatti a creare un ambiente più umano, in cui i colleghi non sono più solo volti ma vere persone.
Le aziende più innovative fanno ancora di più, pianificando incontri in cui i dipendenti possono portare le proprie idee per migliorare l’azienda o organizzando hackathon tra i lavoratori per trovare nuovi approcci e soluzioni: un modo radicale ma efficace di mettere il dipendente al centro e farlo sentire ascoltato.
Proprio l’ascolto è infatti uno strumento importante per misurare la temperatura del clima aziendale e della soddisfazione dei dipendenti. Valorizzando le loro idee, ma anche accettando i messaggi negativi. Sentire la necessità di trattenere il malcontento non genera infatti altro che frustrazione e si sposa male con l’obiettivo di aumentare la soddisfazione dei dipendenti.
Approccio olistico a portata di app
La crescente tendenza a porre la persona al centro dell’attenzione sta facendo prendere una nuova forma più completa e sfaccettata agli sforzi per coinvolgere i lavoratori. Si tratta della employee experience, un sistema integrato che prende in considerazione tutti gli aspetti dell’esperienza lavorativa, in un continuo rimando di feedback tra azienda e dipendente.
Valutazione da parte dei responsabili, gestione delle performance, scelta e perseguimento degli obiettivi, formazione, guadagni, benessere fisico e psicologico, design dell’ambiente di lavoro, attenzione alla diversità e all’inclusione sono tutti aspetti che caratterizzano l’esperienza lavorativa e rientrano nella visione olistica della employee experience.
Sarebbe infatti solo l’azienda a considerare questi aspetti separatamente: un lavoratore misura effettivamente il proprio benessere considerandoli nella loro interezza. E lo fa di continuo. Anche la costanza nel monitorare la soddisfazione e nel raccogliere i feedback dei dipendenti è infatti un aspetto fondamentale della employee experience.
In linea con questa tendenza servono allora degli strumenti di gestione semplici e veloci, che siano sempre a portata di mano. Proprio come le tante app nate proprio in quest’ottica. Pensiamo innanzitutto agli strumenti per videoconferenze utili per facilitare il lavoro in team, diventati un’abitudine in tempo di pandemia.
Ma anche alle app con cui i dipendenti possono consegnare i loro feedback, pensare al proprio benessere fisico e gestire le proprie performance. Alcune aziende hanno addirittura sviluppato delle app proprie, con cui ad esempio gestire la selezione del personale: l’esperienza del lavoratore in un’azienda comincia infatti già dal primo incontro.
Quando qualcosa va storto
La tendenza a mettere al primo posto nella scala delle priorità aziendali il benessere dei lavoratori non si sta diffondendo solo tra le imprese. Sono infatti i dipendenti stessi a chiederlo e, in alcuni casi, a pretenderlo. Una persona consapevole delle proprie capacità e del valore aggiunto che è in grado di portare all’organizzazione vuole infatti anche sentirsi apprezzata e lavorare in un ambiente sano e sereno. E se non trova queste condizioni può anche scegliere di andarsene.
Dal sondaggio con cui McKinsey ha cercato di analizzare il recente fenomeno di Big Quit è emerso infatti che proprio un cattivo rapporto con i colleghi e la carenza di engagement sono due dei motori principali che spingono i dipendenti ad andarsene. Al contrario di ciò che pensano i datori di lavoro, che indicano invece come spinte principali la ricerca di un impiego migliore e di una retribuzione più elevata. Una mancanza di ascolto e comunicazione interna che può costare cara.
Davanti alla frase “Se non ti va bene, quella è la porta”, i dipendenti potrebbero scegliere la porta, causando all’azienda un duplice svantaggio: la perdita di una persona e un contraccolpo economico. Anche il sondaggio condotto dalla statunitense SHRM (Society for human resource management) ha infatti evidenziato chiaramente che un ambiente lavorativo tossico è la principale causa di dimissioni tra i lavoratori, con un impatto economico per le aziende stimato in circa 223 miliardi di dollari nei cinque anni precedenti alla ricerca.
Il nuovo approccio dell’employee experience rinnova quindi il volto della comunicazione interna nelle aziende, con vantaggi a tutto tondo. E si pone in un contesto ormai maturo, fatto di attenzione da parte delle imprese ma anche di consapevolezza da parte dei dipendenti. Difficile a questo punto voltarsi dall’altra parte.
Employee experience da dove iniziare?
A fronte di molte aziende che sono già entrate nell’ottica di rinnovare la comunicazione interna a beneficio del dipendente, tante altre non si sono ancora messe alla prova. Da che parte iniziare in questi casi?
- Considerare la soddisfazione del lavoratore una priorità aziendale e riconoscere il valore dell’employee experience
- Individuare un responsabile che segua il progetto di employee experience e far convergere i diversi aspetti che impattano l’esperienza lavorativa, come la gestione dell’engagement, della formazione, degli obiettivi di carriera, dei benefit
- Coinvolgere tutte le persone dell’azienda, indipendentemente dalla posizione o dalla tipologia di contratto, con un’attenzione particolare ai responsabili di funzione, che hanno un ruolo determinante sull’esperienza quotidiana dei lavoratori
- Prendere spunto dalle altre aziende, magari quelle simili per dimensione, mercato e modello di business
- Allocare risorse adeguate per poter implementare un sistema di attività e strumenti integrati
- Sviluppare le competenze necessarie per utilizzare gli approcci di employee experience più innovativi
- Considerare le differenze culturali dovute al posizionamento geografico dell’azienda, che potrebbero influenzare il gradimento delle diverse iniziative
- Misurare la soddisfazione e il coinvolgimento delle persone in modo continuativo e non con strumenti una tantum come un sondaggio annuale
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