La disparità di genere nelle riviste scientifiche è uno dei segnali indiretti del più generale gender gap nella comunità scientifica. Il dato arriva dal confronto tra il numero di autori e quello di autrici negli studi pubblicati sulle riviste peer reviewed di settore.
Sulla prestigiosa testata The Lancet, ad esempio, le autrici nel 2018 contavano solo per un terzo del totale, il che è sorprendente considerando che le donne costituiscono più della metà dei laureati in scienze mediche. Nello stesso anno la situazione al Journal of experimental medicine (JEM) era anche peggiore con una quota femminile che non superava il 24%. Negli ultimi tre anni la situazione non sembra migliorata. Uno studio pubblicato a gennaio di quest’anno riguardante 145 riviste scientifiche e 1,7 milioni di autori calcola che il 75% degli autori sono uomini.
Le conseguenze dell’impatto
Un aspetto forse più sconcertante è che la disparità di genere nelle riviste scientifiche potrebbe essere legata al prestigio delle riviste stesse. Un’analisi delle testate di psichiatria pubblicata su The Lancet rivela infatti che le donne sono meno presenti nelle riviste a più alto impatto. Complessivamente, inoltre, sono rappresentate più spesso degli uomini come primi autori ma molto meno come autori senior. Il primo autore è generalmente quello che ha fornito il contributo più sostanziale alla ricerca in termini di tempo e prestazioni ma ”in molti casi – affermano gli autori dello studio (un uomo e una donna) – sono ricercatori junior che pubblicano i loro primi articoli post-dottorato”.
Curiosamente, quando autori di sesso diverso collaborano equamente alla ricerca, la bilancia pende dalla parte opposta. Uno studio che ha preso in esame oltre 3.000 pubblicazioni scientifiche in cui autori e autrici dichiaravano un eguale contributo ha scoperto che nel 56% dei casi il nome indicato per primo era quello dell’uomo: una sproporzione significativa, non solo dal punto di vista statistico.
No comment
Le donne sono anche meno presenti come autrici di commenti ai lavori pubblicati sulle riviste scientifiche. Un’analisi di tutti i commenti apparsi in 16 anni su Science e PNAS (Proceedings of the national academy of sciences) ha verificato che il divario di genere nella paternità delle lettere supera le differenze che si riscontrano nella pubblicazione degli articoli. Complessivamente, solo il 15% dei commenti ha un’autrice come primo nome contro il 24% degli articoli analizzati.
Le donne, inoltre, indirizzano una quota minore dei loro commenti verso le ricerche condotte da uomini rispetto a quanto non facciano i colleghi maschi. I ricercatori ipotizzano che questa riluttanza derivi dal fatto che le donne che sfidano le tradizionali gerarchie di status o criticano ricerche autorevoli subiscono mediamente reazioni più dure.
Se non affrontati, questi pattern potrebbero impedire lo scambio accademico tra uomini e donne finendo per marginalizzarle ulteriormente all’interno della comunità scientifica.
Riviste maschili
Tuttavia, la ricerca non è in grado di stabilire se siano le donne a proporre meno commenti alle riviste o se ne presentino in uguale proporzione ma vengano pubblicate meno spesso. Il dubbio è legittimo perché anche nelle redazioni scientifiche vi è una vistosa sproporzione tra i sessi.
Nello riviste di psichiatria dello studio già citato, ad esempio, vi era solo il 10% di caporedattrici e le donne rappresentavano il 31% dello staff di redazione e il 24% dell’editorial board. Nelle liste dei revisori di 17 riviste, inoltre, solo un terzo era rappresentato da donne.
La recente ricerca sulle 145 riviste scientifiche ha provato anche a verificare l’esistenza di bias da parte delle redazioni. Nonostante lo sbilanciamento nella composizione dei comitati di revisione sia difficile da giustificare (solo un membro su cinque è donna), i ricercatori sono giunti alla conclusione che non vi siano differenze di trattamento per gli articoli a firma femminile. Anche perché, nella maggior parte dei casi, questi lavori vengono valutati da referee dello stesso sesso.