SSN 2024, sgretolamento di un diritto costituzionale

Il servizio sanitario italiano sta lentamente – ma inesorabilmente – perdendo la capacità di soddisfare il suo mandato originario scivolando progressivamente verso un sistema largamente in mano ai privati

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Il Servizio sanitario nazionale ha cambiato volto. C’è chi difende la sanità pubblica e crede in un servizio uguale per tutti, ma c’è anche chi non crede più in un sistema in difficoltà ed è convinto che una sempre maggiore privatizzazione sia indispensabile o addirittura auspicabile. Ci sono però diritti che è bene restino imprescindibili e, al di là dalla opinione di ognuno, il futuro del nostro sistema sanitario nazionale riguarda tutti. Abbiamo intervistato Nino Cartabellotta, presidente di GIMBE (Gruppo italiano per la medicina basata sulle evidenze), fondazione che da più di 25 anni si occupa da vicino di monitorare e collaborare con il Ssn.

Perché è importante e necessario avere un Servizio sanitario nazionale pubblico?

Il fine ultimo del nostro Ssn è quello di offrire ai cittadini le migliori opportunità per scegliere la vita che desiderano vivere. In altre parole, il Ssn è necessario per promuovere la dignità della popolazione e garantire a tutti la capacità di compiere le proprie scelte e la libertà di metterle in atto. E tali capacità dipendono, tra i vari fattori, anche dallo stato di salute. Mettere in discussione la sanità pubblica, pertanto, significa compromettere non solo la salute, ma soprattutto la dignità dei cittadini e la loro capacità di realizzare ambizioni e obiettivi. Infine è utile ricordare che lo stato di salute e il benessere della popolazione condiziona la crescita del Pil: perché chi è malato non produce, non consuma e, spesso, limita anche l’attività lavorativa dei propri familiari.

Quali sono le problematiche più gravi che colpiscono attualmente il nostro servizio sanitario?

Oggi la vita quotidiana delle persone, in particolare quelle meno abbienti, è sempre più condizionata dalla mancata esigibilità del diritto fondamentale alla tutela della salute: interminabili tempi di attesa per una prestazione sanitaria o una visita specialistica, necessità di pagare di tasca propria le spese per la salute, sino all’impoverimento delle famiglie e alla rinuncia alle cure, ma anche pronto soccorso affollatissimi, impossibilità di trovare un medico o un pediatra di famiglia vicino casa, enormi diseguaglianze regionali e locali che possono arrivare a causare una migrazione sanitaria. Nel contesto di un Ssn profondamente indebolito e già segnato da inaccettabili diseguaglianze regionali, si innesta anche l’imminente attuazione delle maggiori autonomie in sanità che finirà per ampliare la frattura strutturale tra Nord e Sud del Paese. Le Regioni meridionali, infatti, saranno sempre più dipendenti dalla sanità del Nord, compromettendo l’uguaglianza dei cittadini nell’esercizio del diritto costituzionale alla tutela della salute. Lo vediamo già oggi: solo tre Regioni sulle 14 adempienti ai Livelli essenziali di assistenza sono del Sud (Abruzzo, Puglia e Basilicata) e tutte a fondo classifica. E l’ingente flusso di denaro della mobilità sanitaria, che ammonta a 4,25 miliardi di euro, scorre prevalentemente dal Meridione verso le Regioni che hanno già sottoscritto i pre-accordi per le maggiori autonomie.

Quali sono le ragioni che hanno portato alla situazione attuale? 

Tutti i governi degli ultimi 15 anni, indipendentemente dall’orientamento politico, hanno utilizzato la spesa sanitaria come una sorta di bancomat, dirottando le risorse verso altre priorità mirate a soddisfare gli interessi del proprio elettorato. Nel 2013 la Fondazione GIMBE ha lanciato la campagna “Salviamo il nostro Servizio sanitario nazionale” proprio per sensibilizzare decisori politici, manager, professionisti sanitari e cittadini sulla necessità di rimettere la sanità pubblica al centro del dibattito pubblico e dell’agenda politica. Avevamo infatti già previsto che la perdita del Ssn non sarebbe stata annunciata dal fragore di una valanga, ma si sarebbe concretizzata come il silenzioso scivolamento di un ghiacciaio, attraverso anni, lustri, decenni. Un disfacimento che lentamente, ma inesorabilmente, avrebbe eroso il diritto costituzionale alla tutela della salute. E dopo 10 anni, dati e cronaca dimostrano che il collasso del Ssn ci sta portando dritti verso un disastro sanitario, economico e sociale, già ben evidente in diverse aree interne del Sud. L’impoverimento del Ssn sta spianando definitivamente la strada a una sanità regolata dal libero mercato, dove l’accesso a tecnologie diagnostiche e terapie innovative sarà limitato a chi potrà pagare di tasca propria o avrà stipulato costose assicurazioni sanitarie, che tuttavia non potranno mai garantire una copertura globale come quella offerta dalla sanità pubblica.

La sinergia pubblico/privato, molto efficace in altri contesti, può funzionare anche nella sanità?

Bisogna dapprima avviare un ampio ripensamento del rapporto tra il settore pubblico e quello privato nella sanità. Il privato accreditato rappresenta una grande risorsa per il Ssn ma deve mantenere la funzione di integrazione al pubblico, sarebbe a dire che deve erogare le prestazioni che servono, dove servono e quando servono. Purtroppo l’utilizzo improprio dello strumento dell’accreditamento in alcune Regioni ha portato all’espansione incontrollata del privato accreditato, che, in un contesto di indebolimento del Ssn, si sta gradualmente sostituendo al pubblico. Questo problema diventa una minaccia quando le strutture private vengono acquisite dalle assicurazioni, creando un sistema parallelo interamente privato, sia nel finanziamento che nell’erogazione delle prestazioni sanitarie, un sistema in grado di sostituirsi interamente al pubblico, che segue le regole del libero mercato invece della tutela di un diritto costituzionale. Inoltre le cosiddette partnership pubblico-privato (PPP) hanno una specifica dimensione giuridica e un preciso campo di azione, entrambi mai regolamentati nel nostro Paese. Di conseguenza, spesso il termine indica qualsiasi ingresso di capitali privati nel Ssn da parte di aziende private che non sono certo enti di beneficienza: per questo occorre una legge quadro sulle PPP che definisca le regole del gioco. Più in generale, ritengo che qualsiasi forma di integrazione pubblico-privato possa contribuire al rilancio del Ssn a tre condizioni. Innanzitutto, il Ssn deve essere potenziato con risorse pubbliche; in secondo luogo le regole devono essere definite dalla parte pubblica e non dettate dall’indebolimento strutturale e dai bisogni dei cittadini; infine, l’offerta privata deve essere sempre complementare a quella pubblica, evitando approcci di offerta selettivi in relazione alla convenienza economica. Se manca una sola delle tre condizioni, non si configura affatto un rilancio del Ssn, ma una sua privatizzazione bella e buona.

Come si colloca l’Italia a livello europeo per quanto riguarda la spesa sanitaria pubblica?

Come già detto, tutti gli esecutivi degli ultimi tre lustri hanno considerato la spesa sanitaria come un costo anziché un investimento, ignorando che il benessere e la salute della popolazione sono fondamentali per la crescita economica: è così che l’Italia è finita per essere primo tra i Paesi poveri in Europa per spesa sanitaria pubblica pro-capite.  Infatti nel 2022 siamo davanti solo ai Paesi dell’Europa meridionale (Spagna, Portogallo, Grecia) e a quelli dell’Europa dell’Est, eccetto la Repubblica Ceca. Con un gap rispetto alla media dei Paesi europei che dal 2010 è progressivamente aumentato, arrivando nel 2022 a 873 dollari (pari a 801 euro) che, parametrato alla popolazione residente Istat al 1° gennaio 2023, per l’anno 2022 corrisponde a 47,3 miliardi di euro. Nell’intero periodo 2010-2022 il gap cumulativo arriva all’eccezionale cifra di 363 miliardi di dollari, ovvero circa 333 miliardi di euro.

Quali sono le prospettive future e le proposte concrete per un rilancio del Servizio sanitario?

La situazione è critica ma la Fondazione GIMBE, con il Piano di rilancio del Ssn, ha da tempo indicato la terapia per curare il nostro Ssn: rilanciare progressivamente il finanziamento pubblico per allinearlo almeno alla media dei Paesi europei; potenziare le capacità di indirizzo e verifica dello Stato sulle Regioni; garantire l’aggiornamento continuo dei livelli essenziali di assistenza per rendere subito accessibili le innovazioni, oltre che la loro esigibilità su tutto il territorio nazionale; 21rilanciare le politiche sul personale sanitario; riprogrammare l’offerta dei servizi socio-sanitari in relazione ai reali bisogni di salute della popolazione; regolamentare il rapporto pubblico-privato e la sanità integrativa; investire in prevenzione e promozione della salute; potenziare l’informazione istituzionale basata sulle evidenze scientifiche; aumentare le risorse per la ricerca indipendente; rimodulare ticket e detrazioni fiscali per le spese sanitarie.
Lo stesso Pnrr, al di là delle recenti rimodulazioni al ribasso, rappresenta una grande opportunità per rilanciare il Ssn solo se inserito in un quadro di rafforzamento complessivo della sanità pubblica. Infatti, in assenza di risorse vincolate per il personale sanitario, di riforme di sistema (in particolare quella sui medici di famiglia) e di un affiancamento dello Stato alle Regioni più in difficoltà, rischiamo di indebitare le future generazioni solo per finanziare un costoso lifting del Ssn. 

Quale deve essere quindi, il ruolo di politica e società nel rilancio del Ssn?

La politica deve prendere una decisione cruciale: se vuole che il Ssn rispetti il suo mandato originario deve investire in modo consistente e per molti anni. In alternativa, dovrà scegliere apertamente quali prestazioni garantire a tutti e quali lasciare al privato, al fine di evitare quei fenomeni subliminali di privatizzazione già in atto da anni. Anche i cittadini sono chiamati a fare la propria parte: da un lato devono battersi attivamente per costringere la politica a rimettere la sanità pubblica al centro dell’agenda, dall’altro devono saperne fare buon uso. Per questo l’alfabetizzazione sanitaria della popolazione è un elemento cruciale, colpevolmente trascurato dalle istituzioni del nostro Paese. Noi, come Fondazione GIMBE, abbiamo deciso di fare un ulteriore passo avanti: a undici anni dall’avvio della campagna #SalviamoSsn, abbiamo lanciato una rete civica nazionale con sezioni regionali. Riteniamo indispensabile diffondere a tutti i livelli il valore del Ssn come pilastro della nostra democrazia, strumento di equità e giustizia sociale, oltre che leva di sviluppo economico. L’obiettivo è coinvolgere sempre più persone nella tutela e nel rilancio del Ssn e promuovere un utilizzo informato di servizi e prestazioni sanitarie, al fine di arginare fenomeni consumistici. Perché, al di là delle difficoltà di accesso ai servizi, la maggior parte delle persone non ha ancora contezza del rischio imminente: quello di scivolare da un Ssn basato sulla tutela di un diritto costituzionale verso 21 sistemi sanitari regionali basati sulle regole del libero mercato. 

Cosa prevede la rete civica per salvare il Ssn lanciata da Fondazione GIMBE?

La rete civica #SalviamoSsn, alla quale è possibile aderire raggiungendo il sito Internet, opererà tramite gruppi regionali per coordinare iniziative e attività della campagna #SalviamoSsn sul territorio. La rete sarà popolata di ambassador, impegnati nel promuovere attivamente la campagna a livello locale, e da cittadini che aderiranno alla causa. Anche le organizzazioni pubbliche e private potranno sostenere attivamente la campagna. L’ambizioso obiettivo della rete è quello di coinvolgere il Paese per difendere e rafforzare il Ssn attraverso azioni coordinate e partecipazione attiva: per essere consapevoli di ciò che stiamo perdendo e lavorare insieme per tutelare la salute come diritto di tutti.