In Svezia l’aspettativa di vita alla nascita è di 83 anni, mentre in Ciad è di trent’anni di meno. Un bimbo che nasce a Treviso vivrà tre anni e mezzo in più rispetto al bimbo nato a Siracusa o a Napoli (dati Istat, 2022). In quasi tutti i Paesi del mondo al crescere del reddito diminuisce il tasso di fumatori. Sovrappeso e obesità in Italia sono in aumento, con la Campania in testa, mentre la provincia di Bolzano ne è meno colpita. Le statistiche potrebbero continuare ma la tendenza rimane stabile. Generalmente, le scienze sociali si caratterizzano per avere teorie piuttosto incerte, probabilistiche e legate a contesti specifici. Invece, il legame tra salute e fattori socio-economici è una certezza inattaccabile. Reddito e istruzione sono legate a specifici stili di vita che hanno conseguenze sulla salute. Giocoforza, si sarebbe tentati di dire che se le persone meno istruite fumano di più e sono a maggior rischio di obesità dei laureati, c’è un problema di informazione. Dunque, andrebbe potenziata la comunicazione sanitaria per certe categorie di persone. In gergo: “segmentare il target” (da leggere con accento milanese). Non è così. Tra fattori sociali e salute vi è una relazione complessa che, però, porta a un unico risultato: la sconfitta dei poveri, dei vulnerabili, dei “worse off”.
Non è una questione di scarsa informazione: condizioni di vita, stress, deprivazione, incertezza “complottano” tra loro, si rafforzano a vicenda e asfaltano la strada per degli esiti nefasti in termini di morbidità e mortalità. Si tratta di una cospirazione che ha la caratteristica di essere sotto agli occhi di tutti, ma le cose che diamo per scontato non le notiamo. Come la lettera rubata di Edgar Allan Poe.
C’è poi un altro aspetto: essere poveri è molto costoso. Negli Stati Uniti, tre rotoli di carta igienica comprati separatamente costano come una confezione da dieci, ma chi ha problemi economici ne compra uno alla volta. Chi vive in aree urbane povere, inoltre, non ha la possibilità pratica di comprare della frutta fresca, ma solo cibo-spazzatura. Si tratta di quello che efficacemente viene detto “desert food”. Ironicamente, ci si può consolare con il fatto che se anche la frutta ci fosse sarebbe troppo costosa per la maggior parte dei residenti. Ma non serve andare nello Stato ricco più diseguale del mondo, certe cose si possono notare anche in Italia. Per esempio, non tutti sanno che pagare una bolletta in tabaccheria costa 2,50 euro in più. Per molte persone l’addebito in conto corrente è rischioso perché si rischia il rosso. Dunque, ci sono costi aggiuntivi ingenti proprio per motivi di povertà. Lasciamo poi perdere l’accesso ai mutui e ai relativi tassi di interesse, che crescono in funzione direttamente proporzionale al bisogno. Sul tema degli immobili c’è una battuta simpatica: “Il superbonus? Una patrimoniale al contrario: si tassano i contribuenti a favore dei proprietari di immobili”. Chi lo ha detto? Un comunista, un no-global, un sostenitore del proletariato unito? Non proprio: Mario Monti (Corriere della sera, 4 maggio 2024). Insomma, i poveri hanno delle spese che i ricchi non si possono permettere.
Nella sociologia vi sono almeno due importanti teorie riguardo alle diseguaglianze di salute. Entrambe sono nettamente distanti dal “deficit model”: la teoria psicologica che assume che le diseguaglianze della salute siano il risultato della mancanza di informazione di cui soffrirebbero i più deboli.
La prima teoria è quella legata alla “sindrome di status”. Si tratta di un approccio che si focalizza sugli effetti della deprivazione relativa e, quindi, sullo stress e il disagio che le persone vivono quando si percepiscono in posizioni sociali inferiori alle altre. Secondo questo approccio la posizione sociale che una persona occupa a livello lavorativo influisce sulla sua percezione di esercitare un controllo della propria vita. Con lo scendere nella «gerarchia sociale», crescono senso di impotenza e fatalismo, e quindi la convinzione di non essere in grado di padroneggiare gli eventi, abilità che in psicologia viene detta «mastery» o auto-efficacia. La psicologia ha dimostrato che le persone con un elevato senso di controllo sugli eventi, rispetto a coloro che si sentono in balia degli accidenti, hanno una più elevata competenza sanitaria, sono maggiormente inclini a intraprendere stili di vita sani, hanno una percezione generalmente positiva del loro stato di salute, si ammalano meno e godono di un minor tasso di mortalità.
La seconda teoria, molto accreditata in sociologia, è quella che si riferisce alle “cause delle cause”. Questo approccio pone in primo piano gli effetti di reddito e istruzione sugli altri “determinanti” di salute. Ad esempio, persone di un elevato livello di reddito e di istruzione avranno facilità a condurre stili di vita sani e frequenteranno persone simili, amplificando così un circolo virtuoso di buona salute. E nel caso di bisogno sanno destreggiarsi nella burocrazia sanitaria e riescono facilmente ad attivare connessioni sociali per raggiungere informazioni sui servizi di cui necessitano. Al contrario, persone di basso status socio-economico sono esposte a rischi elevati di salute, spesso non hanno abbastanza denaro per mangiare in modo salutare e alleviano situazione lavorative monotone o stressanti con il tabacco. Anche in questo caso i contatti sociali sono di tipo “omofilo”: si frequentano persone simili che rafforzano certi comportamenti dannosi, dando vita a un circolo vizioso. Come sintetizza con efficacia John Mirowski della University of Texas: «I poveri debbono sopportare un triplo carico: hanno più problemi da risolvere; le loro storie personali li lasciano spossati e impotenti; questo senso di impotenza li demoralizza e mina la loro capacità di agire concretamente per risolvere i problemi. Il risultato, per molti, è una moltiplicazione delle malattie e della disperazione».
Non è facile per lo Stato ridurre le diseguaglianze di salute, chiaramente è molto difficile agire in modo istantaneo sui determinanti di salute. La politica sembra non fare abbastanza, ma a dire il vero, in questa situazione di crisi di idee, forse la salute potrebbe essere un incentivo forte per i partiti. Tutte le famiglie sanno cosa significa avere uno (o più) malati in casa. Se la politica si accorgesse (finalmente) che occuparsi di salute paga in termini elettorali, il contrasto sistematico alle diseguaglianze sanitarie potrebbe diventare una realtà.