Le terapie digitali (“Digital Therapeutics” / DTx) sono tecnologie digitali per la salute che secondo ISO/TR 11147:2023 e Digital therapeutics alliance possono essere definite come “… software sanitari che hanno l’obiettivo di trattare o alleviare una malattia, una condizione clinica o una lesione generando ed erogando un intervento medico che ha un impatto terapeutico positivo e dimostrabile sulla salute di un paziente”.
Numerose DTx sono disponibili in diversi Paesi europei (in Germania in particolare) e negli Stati Uniti, per il trattamento di patologie croniche o ad andamento cronico prevalentemente in ambito neuropsichiatrico, cardiovascolare ed endocrino-metabolico, e l’auspicio è che questa opzione terapeutica possa essere presto resa disponibile anche ai pazienti italiani.
Le DTx non sono una eccezione
Le DTx sono dispositivi medici e ricadono, quindi, sotto il Regolamento UE 2017/745, che non ha una sezione specifica per queste tecnologie ma stabilisce che per i dispositivi medici sia necessario dimostrare un beneficio clinico e cioè che, oltre che sicuri, essi siano anche clinicamente efficaci. Questa dimostrazione dovrebbe essere realizzata attraverso una indagine clinica, delle cui caratteristiche non vengono peraltro forniti nel Regolamento particolari dettagli. Un importante tema di confronto all’interno della comunità scientifica e fra gli stakeholder interessati allo sviluppo, alla certificazione, alla place in therapy e all’utilizzo delle DTx è dunque rappresentato dalle modalità con le quali realizzare la validazione preclinica e soprattutto clinica di questi prodotti. In termini generali, la posizione degli sviluppatori di DTx è quella di sottolineare le peculiarità di questi prodotti rispetto ad altri dispositivi medici e soprattutto ai farmaci, e proporre pertanto un approccio “fit-for-purpose” che tenga conto della opportunità di prevedere un percorso di validazione agile (in considerazione della tendenza a rapida obsolescenza di queste tecnologie), della natura iterativa dello sviluppo, del profilo di rischio tendenzialmente (più) basso ecc. Seppur riconoscendo che i metodi tradizionali di ricerca delle evidenze non sono sistematicamente e tout court applicabili alle DTx, e che le DTx in effetti presentano peculiarità da considerare in fase di disegno di studio, chi scrive ritiene necessario che venga però evitata la tendenza ad avallare il concetto di “eccezionalismo digitale” evocato alcuni anni fa da un editoriale pubblicato su The Lancet, considerando cioè la medicina digitale come qualcosa di diverso, che non deve sottostare alle regole della medicina “analogica” come l’abbiamo fino a ora conosciuta, ma può permettersi percorsi significativamente facilitati. Nel caso delle DTx non dobbiamo dimenticare che stiamo parlando di dispositivi a finalità terapeutica, e appare quindi ragionevole che le indagini cliniche specifiche per questi prodotti, e realizzate a supporto della loro certificazione e autorizzazione (e magari addirittura di un rimborso da parte dei servizi sanitari), consentano di documentarne in maniera adeguata e uniforme il profilo di efficacia e sicurezza, in maniera almeno simile a quella dei farmaci. Non si comprende infatti come un professionista sanitario chiamato a prescrivere o a suggerire a un paziente l’uso di una DTx, per esempio per la depressione, dovrebbe farlo sulla base di dati sperimentali prodotti in studi a bassa numerosità campionaria, con disegni sperimentali poco rigorosi e magari su endpoint scarsamente rilevanti dal punto di vista clinico, a fronte di farmaci utilizzati per la stessa indicazione e validati attraverso percorsi sperimentali molto impegnativi. Nella consapevolezza che la pretesa di applicare procedure e processi di valutazione delle DTx troppo rigidi potrebbe compromettere lo sviluppo e la disponibilità sul mercato di questa tipologia di prodotti, d’altro canto non è con tutta probabilità corretto rinunciare a una adeguata valutazione sperimentale che permetta di differenziare (e valorizzare come meritano) i prodotti digitali efficaci dall’opportunismo commerciale. E ciò a garanzia dei professionisti sanitari, delle autorità sanitarie ma soprattutto dei cittadini/pazienti.
L’importanza dell’engagement
In termini pratici, un primo aspetto da condividere è rappresentato dalle finalità/obiettivi che dovrebbero essere oggetto dell’indagine clinica per le DTx. In tal senso, oltre al già citato e fondamentale beneficio clinico in termini di efficacia (inclusa se possibile la durata della risposta terapeutica), è importante che vengano acquisite informazioni sul profilo di sicurezza del dispositivo e, a integrazione di ciò, indicazioni su usabilità della tecnologia ed engagement dell’utilizzatore.
Volendo tracciare una ipotesi di percorso di una DTx, potremmo fare riferimento a un modello che riproduce in termini generali e qualitativi il ben noto percorso di ricerca e sviluppo dei farmaci (vedi figura). Nello specifico della validazione clinica possiamo riconoscere una fase esplorativa (studi pilota) utile a una iniziale proof of concept, seguita da una fase allargata a finalità confermatoria e volta a produrre le evidenze di efficacia e sicurezza necessarie per l’approvazione nella specifica indicazione terapeutica (studi pivotal). In particolare per questa fase è altamente raccomandabile l’esecuzione di sperimentazioni cliniche metodologicamente rigorose (fino al gold standard degli studi randomizzati controllati) e in grado di documentare effetti “evidence-based” significativi da un punto di vista statistico (quindi facendo riferimento a una casistica adeguata da un punto di vista numerico, oltre che qualitativamente rappresentativa della popolazione target per la DTx). Preme sottolineare che per una DTx, proprio per il claim terapeutico di queste tecnologie, il parametro di valutazione dell’efficacia deve riguardare l’outcome clinico e non solo indicatori di processo, che possono invece essere sufficienti per altri tipi di prodotti digitali come i cosiddetti care support. A titolo di esempio, se l’indicazione terapeutica fosse rappresentata dall’ipertensione arteriosa, una DTx dovrebbe dimostrare di essere in grado di ridurre in maniera statisticamente significativa la pressione, mentre per un care support potrà essere sufficiente documentare un miglioramento della autogestione del paziente (maggiore aderenza ai controlli pressori e alle terapie, adozione di stili di vita più corretti ecc.).
Come accade per le terapie farmacologiche, e forse ancor più che per esse, per le DTx sono importanti gli studi post-marketing che permettono un aggiornamento del profilo beneficio/rischio in popolazioni più ampie, eterogenee e real-life, e l’acquisizione di dati potenzialmente utili a ottimizzazioni del software (da considerare con attenzione il tema delle eventuali modifiche e il loro possibile impatto sulla certificazione del prodotto).
Per concludere, due ultime considerazioni di carattere generale. Le DTx sono prodotti che agiscono con meccanismi di informazione-interazione-motivazione del paziente, che ha pertanto un ruolo particolarmente attivo per il successo terapeutico: in quest’ottica, la pianificazione degli studi orientati alla produzione di evidenze per le DTx dovrebbe quindi attentamente considerare le dimensioni riguardanti la selezione e la motivazione dei pazienti e dei caregiver, e auspicabilmente il coinvolgimento di loro rappresentanti già dalla fase di definizione dei progetti di studio. In secondo luogo, lo sviluppo clinico delle DTx non può essere scisso dalla creazione di awareness fra i professionisti sanitari e i cittadini/pazienti, indispensabile per l’adozione di questi prodotti nella pratica clinica. Come ulteriore sfida per gli sviluppatori di DTx, e tenuto conto della necessità di diffondere l’utilizzo di questi prodotti il più possibile in maniera tempestiva dopo la loro commercializzazione, idealmente il percorso di sviluppo clinico e il programma formativo-informativo che ne favorisca l’adozione dovrebbero essere realizzati con ampia sovrapposizione temporale.
Scorrendo i contenuti dell’articolo viene spontaneo chiedersi se la strada della validazione clinica delle terapie digitali rappresenti lo strumento concreto per superare la diffidenza diffusa che l’applicazione dell’intelligenza artificiale, alla base di questi dispositivi, possa rappresentare un rischio se mal governata dall’uomo. Partendo da questa riflessione non si può che condividere il rigoroso approccio scientifico insito nel concetto di convalida, intesa come strumento per dimostrare in maniera documentata la affidabilità e ripetibilità dell’oggetto sottoposto a verifica. La conseguenza inevitabile di questo rigore è la necessità di investire in questa metodologia traendo vantaggio dalla consistenza scientifica che ne deriva e conseguentemente dalla dimostrazione del raggiungimento dei risultati attesi, da interpretarsi anche come vantaggio competitivo. In questo modo, e solo in questo, il rigore scientifico del metodo diviene strumento di differenziazione e selezione e diviene gradito nel momento in cui, come nel citato caso dei farmaci, alla terapia dovessero essere garantiti esclusività di mercato e rimborso da parte del Sistema sanitario nazionale in virtù della dimostrata capacità di migliorare lo stato di salute del paziente e conseguentemente ridurre i costi correlati (in particolare l’ospedalizzazione ma magari anche quelli correlati al trattamento farmacologico cronico). In questa sintetica disamina si innesta poi la necessità di identificare gli interlocutori ideali per il paziente dalle fasi di inserimento dell’approccio terapeutico digitale a quelle di monitoraggio periodico e assistenza continua durante il percorso. Per la tipologia di prodotto e per la sua “affinità” con le terapie farmacologiche tradizionali, la figura professionale del farmacista e il concetto di farmacia dei servizi, associati al concetto di presidio territoriale, si innestano a pieno titolo quali referenti di elezione sia per la fase di diffusione dei dispositivi sia per il monitoraggio e assistenza ai pazienti rappresentando anche un osservatorio privilegiato per la raccolta dei dati epidemiologici correlati all’utilizzo delle terapie digitali. A queste riflessioni fa eco il crescente utilizzo in altri Paesi di questi strumenti terapeutici per migliorare e tenere sotto controllo l’evoluzione di patologie croniche che possono risultare invalidanti se non associate a stili comportamentali e dietetici opportunamente monitorati unitamente all’aderenza alla terapia farmacologica. In questo contesto si rafforza pertanto il principio di fare ricorso alla validazione clinica per attestare ausili terapeutici digitali, il cui scopo ultimo è concettualmente associabile a quello del farmaco, al fine di assicurarne l’efficacia, la sicurezza e la qualità per il raggiungimento del benessere e della salute.