Quello della Connected Care, la presa in carico globale del paziente con l’integrazione e la condivisione del PDTA, sembra essere il modello più adeguato per guidare l’evoluzione digitale in Sanità.
Saremo tutti produttori di dati? Probabilmente sì. E tanto di guadagnato, se verranno condivisi e utilizzati per consentire un migliore accesso ai servizi sanitari (anche domiciliari), limitare l’ospedalizzazione e garantire la continuità di cura.
Il futuro è già qui
Giovanni Gorgoni, CEO di AReSS Puglia, introduce il tema della Connected Care per l’integrazione delle reti cliniche nel corso del Congresso SIHTA 2021.
Con il supporto del Policlinico di Bari, AReSS Puglia ha di recente avviato il progetto COReHealth, la prima esperienza regionale di telemedicina nel panorama nazionale.
Oggi sono già disponibili tecnologie che consentono diversi domini di connessione.
Le tecnologie On Body e In Home riguardano il cittadino/paziente e sono già ampiamente utilizzate. Per quanto riguarda, invece, la dimensione Community le tecnologie sono adeguate ma il salto culturale per usarle non è stato ancora compiuto.
I palmari a disposizione degli operatori sanitari, i sistemi usati per il coordinamento dei team e i dispositivi lab-on-a-chip sfruttano tecnologie In Clinic, mentre quelle In Hospital garantiscono la possibilità di connettere in ospedale un certo numero di macchine e dare vita a smart operating rooms o sistemi di localizzazione in tempo reale (del paziente all’interno della struttura o dei ferri in sala operatoria, ad esempio).
Le tecnologie digitali nella creazione del valore
Ricorre il tema della digitalizzazione della Sanità come singularity dei nostri tempi: una strada che, già imboccata, non ammette ripensamenti.
Dobbiamo guardare avanti, gestire le minacce strutturalmente e congiunturalmente insite in questa trasformazione. E individuare efficaci criteri di valutazione degli investimenti. Parole, quelle di Gorgoni, familiari agli esperti di HTA in ascolto.
La direzione è quella della messa a punto di nuovi processi (non nella ristrutturazione di quelli già esistenti) e della diffusione di un nuovo mindset.
I 3 elementi chiave della trasformazione digitale
La trasformazione digitale è il risultato del cambiamento abilitato dalle tecnologie IT: non una sostituzione degli attori coinvolti, ma un affiancamento. Un cambiamento anche di mentalità, allineato agli obiettivi a lungo termine del sistema Paese.
La sua azione si sviluppa lungo 3 direttrici.
La prima è quella della persona: migliorare l’esperienza dell’utente significa condividere il patient journey, il suo PDTA.
La seconda è quella dell’organizzazione, attraverso la trasformazione dei processi operativi: trasversalizzare l’assistenza significa passare ad un approccio multidisciplinare, in base al quale il paziente viene curato non dal singolo medico da un team di professionisti.
In ultimo, la tecnologia. Occorre intervenire sui modelli di business, abbandonando il concetto clinico di specialità e creando una connessione per condizione clinica.
La digitalizzazione dei processi in tempi di COVID-19
Sogei è la società di Information Technology di cui il Ministero dell’Economia e delle Finanze detiene il 100% e che opera sulla base del modello in-house providing.
Realizza servizi informatici in grado di governare la complessità del sistema pubblico, nella prospettiva di una “tecnologia che è servente a tutto il resto”, per dirla con le parole di Carla Ramella, Direttore del Dipartimento Dogane e Monopoli di Sogei.
La tecnologia accelera l’evoluzione e, al contempo, moltiplica gli interrogativi, anche etici, cui trovare risposta. Durante i momenti più critici della pandemia, la necessità di individuare soluzioni rapide per la limitazione del contagio ha reso necessaria una continua verifica dei sistemi di sicurezza.
La Ramella ripercorre quel periodo, raccontando come Sogei abbia, anche il linea con il suo operato in tempi normali, profuso grande sforzo nelle azioni di protezione dei dati, in stretta collaborazione con il Garante della Privacy.
L’impulso prodotto dalla pandemia ha dato, in questo senso, una forte spinta all’irrobustimento dei sistemi di cyber security ma anche all’avvicinamento dei cittadini alla tecnologia.
Le persone hanno finalmente compreso il valore degli strumenti digitali disponibili, hanno capito come trarre vantaggio anche da quelli esistenti da tempo e fino a quel momento trascurati.
L’ecosistema della connected care
La Connected Care è un modello che permette al cittadino-paziente di accedere ai servizi sanitari e di condividere i dati con tutti gli attori presenti in Sanità.
È supportata da diverse tecnologie digitali, che permettono:
- la prevenzione e il monitoraggio dello stile di vita durante la fase di accesso
- la cura: il cittadino è paziente e utilizza la tecnologia per prenotare e pagare le prestazioni
- il follow up: la tecnologia permette la redazione della cartella clinica, l’accesso a sistemi di intelligenza artificiale e ad altri strumenti di supporto decisionale e di telemedicina per il monitoraggio, anche da remoto.
Il Fascicolo Sanitario Elettronico
Nell’ambito della Missione 6 del PNRR sono stati stanziati 15,63 miliardi complessivi. Di questi 8,63 miliardi sono destinati all’Innovazione, ricerca e digitalizzazione del SSN e 7 alle Reti di prossimità, strutture intermedie e telemedicina per l’assistenza sanitaria territoriale.
Chiara Sgarbossa, Direttore dell’Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità del Politecnico di Milano, sottolinea come ben due linee di investimento siano incentrate sui dati: quella del potenziamento dell’infrastruttura e quella del fascicolo sanitario elettronico (FSE).
Il FSE consentirebbe di andare incontro al modello della Connected Care. Ma, mentre sulla carta i fascicoli hanno un’attivazione diffusa con indici di attuazione dei servizi minimi vicini al 100%, di fatto non sono diffusamente alimentati dalle aziende locali. In 8 Regioni del territorio la percentuale di compilazione è praticamente nulla.
Il FSE rimane poco utilizzato anche dai medici di medicina generale.
Fra i cittadini, solo il 12% l’ha utilizzato, in particolare per scaricare referti, accedere alla ricetta elettronica e prenotare visite online. I servizi attivati durante l’emergenza hanno favorito la sua conoscenza presso i cittadini, ma non ancora in maniera efficace.
La telemedicina
Dei 7 miliardi stanziati per la realizzazione del nuovo modello di assistenza territoriale, uno va allo sviluppo della telemedicina.
È in questo ambito che si sono verificate le accelerazioni più significative: la Sgarbossa ricorda la pubblicazione delle linee guida da parte dell’Istituto Superiore di Sanità e la tariffazione delle visite in telemedicina.
Teleconsulto, televisita e telemonitoraggio rappresentano soluzioni il cui utilizzo precedente alla pandemia era solo sperimentale e che, durante l’emergenza, hanno conosciuto ampia diffusione.
Alcune categorie di pazienti, fra cui i malati cronici, dichiarano di trovare la telemedicina una funzionalità molto interessante su cui vorrebbero una maggiore offerta da parte del SSN.
Connected care: cosa fare per raggiungere gli obiettivi
La cultura digitale è maturata in questi mesi: anche persone prima reticenti ora, avendo avuto prova dei vantaggi che la digitalizzazione può offrire, guardano all’innovazione con occhio diverso. Occorre, tuttavia, lavorare ancora molto sulla diffusione di una mentalità nuova.
Così come è necessario investire sulla formazione delle competenze digitali e rafforzare la governance, uniformando i servizi attorno al paziente.
Non è sufficiente intervenire arricchendo la dotazione di strumenti e apparecchiature. Le ingenti risorse messe a disposizione nell’ambito del PNRR avranno anche lo scopo di promuovere l’evoluzione dei processi di cura.
E sarà fondamentale impostare modelli di assessment per valutare l’impatto di queste tecnologie sul paziente, sugli operatori e sul SSN nel suo complesso, per capire quali sono gli aspetti vantaggiosi e abilitare l’uso di buone pratiche.