Lunga vita agli scarti alimentari

I residui e gli scarti provenienti dalla lavorazione del settore alimentare offrono composti bioattivi, enzimi e nutrienti potenzialmente utili anche all'industria farmaceutica

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filiera agroalimentare

Lische di pesce, bucce della frutta, scarti vegetali. Molto di quello che comunemente viene considerato un rifiuto può diventare una preziosa materia prima, anche per il mondo della nutraceutica. Esistono infatti realtà – anche italiane – che hanno deciso di mettere in pratica i dettami dell’economia circolare per ricavare dagli scarti della filiera agroalimentare molecole di elevato valore per il settore dell’healthcare.

Si tratta di un gioco in cui vincono tutti: le aziende che alleggeriscono i costi di smaltimento dei rifiuti e addirittura ne traggono un guadagno, i consumatori che possono beneficiare di composti che altrimenti non sarebbero disponibili e i ricercatori che possono imparare e mettere in pratica tecniche all’avanguardia. E, non in ultimo, l’ambiente, grazie alla riduzione dell’inquinamento e al risparmio dell’energia e delle risorse che andrebbero impiegate per smaltire i rifiuti e produrre nuovi composti da zero.

Piante

Non sono solo le parti delle piante che comunemente consumiamo, come frutti, semi e infiorescenze, a essere ricche di sostanze benefiche. Per compiere al meglio il proprio ciclo vitale, infatti, le piante assorbono molecole dall’esterno e producono metaboliti che accumulano nelle diverse parti della loro struttura: fusto, foglie, radici. Parti che normalmente vengono eliminate dalla mano dell’uomo durante i processi di manutenzione delle colture e di potatura.

Frutta

Sebbene il fatto che la frutta contenga molecole di elevato valore per la nostra salute non stupisca, potrebbe farlo invece scoprire la quantità di prodotto che viene eliminata nelle lavorazioni industriali. Quella a guscio è un caso esemplare, visto che buona parte del frutto non è edibile: nel caso delle nocciole si arriva addirittura al 52-57% rappresentato da guscio e cuticola. Ferrero, però, in collaborazione con università e centri di ricerca internazionali, ha trovato il modo di dare valore allo scarto di lavorazione di questo frutto, estraendo dal guscio una fibra prebiotica denominata Axos, dalle proprietà antiossidanti e dagli effetti benefici sul sistema immunitario, su quello cardiovascolare e sul metabolismo dei lipidi.

Verdura

Come per la frutta, anche il consumo di verdura può essere poco efficiente in termini di scarto. Nel caso di ortaggi come il carciofo o il finocchio, ad esempio, meno della metà del prodotto risulta edibile, con scarti che raggiungono anche il 60%. Eppure in quei rifiuti così ricchi di fibre si nascondono sostanze dai grandi benefici per la salute. Il progetto FENNEL, ad esempio, si è concentrato sul finocchio predisponendo delle linee di ricerca specifiche per ottenere dai suoi scarti capsule gastro-resistenti da impiegare come integratori.

Bevande

Anche dagli scarti della filiera produttiva delle bevande si possono inoltre recuperare preziose molecole. Un esempio è offerto dalla startup milanese Heallo che dalle trebbie di orzo, residuo di lavorazione della birra, ha ricavato un brevetto chiamato Jaxplus, una selezione di arabinoxilani particolarmente efficaci nel contrastare l’innalzamento del picco glicemico e nello stimolare la produzione di insulina dopo i pasti.

Non solo vegetali

L’estrazione di sostanze bioattive di interesse farmaceutico, infine, non coinvolge solo gli scarti vegetali. Composti importanti come collagene, omega-3 e vitamina D sono infatti nascosti negli scarti della lavorazione del pesce che, a seconda del prodotto ricavato, può raggiungere picchi del 70%. L’azienda genovese produttrice di conserve di pesce Mare Aperto e la sua casa madre, la spagnola Jealsa, hanno quindi scelto di aderire ai principi dell’economia circolare appoggiandosi a Valora Marine Ingredients, azienda specializzata proprio nel riutilizzare il 100% dei rifiuti provenienti dalla filiera ittica, non solo per produrne mangimi e concime, ma anche per ricavarne molecole a uso alimentare e farmaceutico.

E il packaging?

Oltre al farmaco in sé, i dettami dell’economia circolare sono applicabili con successo anche alla produzione dei materiali di confezionamento. L’elenco delle iniziative che propongono packaging sviluppati a partire da scarti agroalimentari potrebbe infatti essere molto lunga. La bioplastica, ad esempio, può essere ottenuta con diversi processi a partire da svariati punti di partenza: ortaggi come il carciofo e frutti come la mela sono ottimi candidati ed Enea ne propone addirittura una versione ricavata dal lattosio proveniente dagli scarti dell’industria casearia.

Utilizzare i principi dell’economia circolare per ottenere molecole a uso farmaceutico sembra quindi un esercizio dalle potenzialità sconfinate, che stimola le capacità tecnologiche così come il business. Le opportunità di investimento infatti non mancano e neanche quelle di guadagno. Secondo i dati di Integratori Italia, associazione che rappresenta il settore presso Confindustria, il volume di affari del mercato degli integratori alimentari nella prima metà del 2021 ha infatti superato i due miliardi di euro, in crescita di più del 7% rispetto allo stesso periodo del 2020.