Non è la specie più forte o più intelligente a sopravvivere, ma quella che si adatta meglio al cambiamento
Questa celebre frase, dai più attribuita all’evoluzionista Charles Darwin, deve certamente essere stata scritta pensando ai batteri.
Come sappiamo, sono creature straordinariamente abili nell’adattarsi alle circostanze esterne, anche quando queste sono particolarmente avverse. È proprio questa caratteristica ad aver permesso loro di sopravvivere più a lungo rispetto a qualsiasi altro organismo presente sulla Terra.
Parte del merito di questa longevità va anche alle abilità sviluppate nell’aggirare l’effetto tossico degli antibiotici. A discapito dell’uomo e delle sue possibilità di cura delle infezioni, queste molecole sono ormai armi poco affilate.
E, se, da un lato, è fondamentale individuare nuovi composti efficaci, dall’altro non è semplice capire come aggirare le resistenze batteriche.
Batteri: una strategia di sopravvivenza
Per sopravvivere alle mutazioni dell’ambiente circostante, i batteri devono muoversi sul filo di un equilibrio molto delicato. Capire quante e quali risorse investire nello sviluppo e nelle modifiche della morfologia cellulare e quante risparmiarne per non farsi trovare eccessivamente indeboliti.
Verrebbe da chiedersi perché, nel mezzo di una tempesta potenzialmente perfetta, come può esserlo l’esposizione ad un antibiotico, il batterio si distragga con attività apparentemente frivole come cambiare forma anziché concentrarsi sull’obiettivo primario della sopravvivenza.
In realtà, una delle teorie fisiche enunciate sulla crescita di questi microorganismi chiarisce l’arcano. E con esso anche la posizione inattaccabile del microbo, ligio al suo dovere.
Secondo la fisica, a fare la differenza sono proprio l’accrescimento cellulare e l’aumento della curvatura di parete del batterio. Questi fenomeni promuoverebbero la capacità microbica di superare l’impasse determinata dal contatto con sostanze inibitrici della sintesi proteica.
Ciò che non uccide fortifica
Avremmo molto da apprendere dai batteri: la resilienza umana è roba da poco se confrontata con le skills esibite da questi microbi.
Ne sa qualcosa Shiladitya Banerjee, che con la sua équipe della Carnegie Mellon University, presso la quale è docente di Fisica, ha studiato attentamente il comportamento del Caulobacter crescentus, un organismo diffusamente usato come modello sperimentale.
Per esaminare il suo comportamento, il Caulobacter è stato esposto ad una dose sub-letale di antibiotico (il cloramfenicolo, per la precisione). Quando messo a contatto con una sostanza tossica ma non abbastanza da ucciderlo, il microorganismo compie quello che definiremmo un colpo di teatro. Cambia radicalmente forma, si ingrandisce e accentua il raggio di curvatura della cellula.
Superare lo stress e tornare a crescere
Volubile? Può darsi. Ciò che è certo è che non si tratta di una casualità, ma di una precisa scelta strategica. Il Caulobacter mette in campo le sue risorse e tenta il tutto per tutto. Alla fine, tanta abilità viene premiata, ahinoi.
Le modifiche morfologiche gli consentono di ridurre il rapporto superficie/volume e dunque di limitare la superficie di contatto con l’ambiente nel quale è presente l’antibatterico. Assorbendo meno veleno, aumenta le sue possibilità di sopravvivergli.
Se ci pensiamo bene, è quello che succede quando non rispettiamo le prescrizioni mediche relative agli antibiotici. Non attaccando il patogeno con una quantità letale di antibiotico, perché ci dimentichiamo una dose o riduciamo le frequenza di assunzione oppure perché abbreviamo autonomamente la terapia, gli diamo la possibilità di riorganizzarsi e diventare più forte.
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