Il 15 settembre 2022 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto del Ministro della Salute e del MEF («DM») che certifica il superamento del tetto di spesa dei dispositivi medici pari al 4,4% del Fondo Sanitario Nazionale (FSN) per gli anni 2015, 2016, 2017 e 2018.
Per quanto riguarda il ripiano dell’eventuale superamento del tetto di spesa regionale per gli anni citati, il DL Aiuti bis prevede un articolato iter che si concluderà con l’adozione da parte delle regioni e delle province autonome di una serie di provvedimenti con cui sarà richiesto concretamente alle società del settore di corrispondere una somma proporzionale alla quota dello sfondamento della spesa in eccesso, precedentemente certificata.
Entro 90 giorni dalla pubblicazione del Decreto (14.12.2022), infatti, le regioni e le province autonome devono adottare un provvedimento riportante l’elenco delle aziende fornitrici che concorrono ai piani di ripiano. Tali aziende entro 30 giorni dall’adozione del provvedimento dovranno versare quanto loro attribuito dal piano [1].
Quali sono le implicazioni IVA?
Nonostante l’imminenza della data di pubblicazione del provvedimento, nulla è stato statuito dal legislatore o chiarito dall’Agenzia delle Entrate sulle implicazioni IVA derivanti dalla dubbia natura giuridica del payback sui dispositivi medici. Sulla base del dato letterale dell’art. 9-ter, c. 8, del d.l. n. 78/2015 emerge che sia la rilevazione a monte del superamento del tetto di spesa sia il computo a valle della quota di ripiano in capo alla singola azienda debbano basarsi sul fatturato al lordo dell’IVA.
Sebbene le imprese fornitrici destinatarie del payback debbano versare alle regioni/province autonome l’ammontare loro attribuito dal ripiano, che comprende sia la quota parte dei corrispettivi dei dispositivi medici ceduti sia l’IVA, le difficoltà operative a cui esse vanno incontro sono molteplici:
- la complessa individuazione della modalità di scorporo dell’IVA dalla quota di ripiano assegnata a ciascuna impresa. Pensiamo ad esempio a quelle imprese il cui fatturato è costituito sia da cessioni con IVA al 22% sia con IVA al 4%;
- l’assenza di indicazioni (a differenza del payback farmaceutico) sulla possibilità/modalità di recupero e/o detrazione della quota di IVA inclusa nell’ammontare dovuto da ciascuna impresa. Laddove il recupero dell’IVA non fosse ammissibile, l’IVA inclusa nel payback verrebbe a costituire un costo puro per le imprese.
Non essendovi al riguardo indicazioni né nelle norme né nella prassi le possibili opzioni percorribili consisterebbero nel:
- riconoscere al payback natura di contributo/tributo con conseguente irrecuperabilità dell’IVA;
- riconoscere al payback natura di riduzione del prezzo (sulla scorta di quanto statuito in ambito di payback farmaceutico che rappresenta una deroga alle regole generali e pertanto non applicabile in via analogica). In tal caso, la recuperabilità dell’IVA dovrebbe essere garantita dai principi individuati, tra le altre, dalla sentenza della Corte di Giustizia Europea sulla causa C-317/94, (“Elida Gibbs”), considerando l’ammontare restituito a titolo di payback come uno sconto sul prezzo originariamente fatturato.
In attesa di un intervento chiarificatore, le aziende possono valutare di presentare un’istanza di interpello all’Agenzia delle Entrate.
[1] Ricordiamo che in caso di inadempimento dell’obbligo di ripiano, “i debiti per acquisti di dispositivi medici delle singole regioni e province autonome, anche per il tramite degli enti del servizio sanitario regionale, nei confronti delle predette aziende fornitrici inadempienti sono compensati fino a concorrenza dell’intero ammontare”