La terapia fagica: siamo entrati nell’era post-antibiotica?

L'incidenza delle infezioni polmonari è in aumento, in particolare da batteri resistenti: la terapia fagica può rappresentare una valida alternativa ad antibiotici sempre meno efficaci.

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terapia fagica

Tutte le condizioni che comportano una compromissione del sistema immunitario, siano esse patologie (come quelle muco-ostruttive, ad esempio la fibrosi cistica) o procedure (trapianti, chemioterapia del tumore) aumentano il rischio di acquisire infezioni respiratorie resistenti.

La diffusione di tali meccanismi di adattamento microbico ha determinato negli ultimi anni un incremento dell’incidenza di numerose malattie trasmissibili.

Il burden delle malattie respiratorie

Le malattie delle basse vie respiratorie, correlate ad un numero di decessi che nel mondo supera i 4 milioni, rappresentano una delle più importanti cause di morte e sono associate ad una qualità di vita molto bassa dei pazienti.

Inoltre, il numero di morti per infezioni polmonari MDR è più che raddoppiato fra il 2007 e il 2015.

Anche dal punto di vista economico, queste patologie rappresentano un burden notevole. Dati USA mostrano che i costi associati al trattamento complessivo di un paziente con fibrosi cistica possono raggiungere i 50.000 $ all’anno e che questa spesa è legittimata prevalentemente dall’assistenza per le infezioni respiratorie ricorrenti.

Uno scenario che peggiora di anno in anno a causa del peggioramento dell’antibiotico resistenza.

Terapia fagica: in cosa consiste

La terapia fagica (PT) non è uno strumento nuovo, dal momento che la sua introduzione risale ai primi del ‘900 e che è stata utilizzata (e viene ancora impiegata) estensivamente in alcuni Paesi dell’Europa orientale, principalmente Polonia e Russia.

Consiste nella somministrazione di alte dosi di batteriofagi virulenti e caratterizzati, allo scopo di trattare infezioni batteriche.

Qual è il meccanismo d’azione?

I fagi si legano al target presente sulla superficie esterna del batterio attraverso uno specifico recettore, iniettano nella sua cellula il loro materiale genetico e si impossessano dei dispositivi intracellulari necessari alla loro replicazione.

A valle della lisi cellulare, viene rilasciata una progenie di fagi che determina un rapido decremento della popolazione batterica che sostiene l’infezione, anche in contesti di antibiotico resistenza.

Il ciclo poi riprende e prosegue con un’infezione secondaria: questo permette di aumentare rapidamente il numero di fagi presenti nel tessuto bersaglio.

I meccanismi d’azione non convenzionali

Accanto a questo meccanismo d’azione convenzionale, i fagi possiedono anche un’attività anti-biofilm, un aspetto particolarmente importante ai fini della terapia di molte infezioni polmonari.

Questa azione si esplica sia attraverso una componente di inibizione della formazione del biofilm che attraverso la capacità di distruggere un biofilm già presente e attaccare i batteri presenti al suo interno.

Questo aumenta le possibilità di eradicare l’infezione.

Un’ulteriore aspetto della loro attività è rappresentato dall’azione immunomodulante. Mediante il rilascio di mediatori che spengono l’infiammazione, la presenza di fagi nei polmoni colpiti da infezione riduce il rischio di risposte eccessive e persistenti del sistema immunitario correlate alla formazione di lesioni permanenti.

Per le sue caratteristiche, la terapia fagica rappresenta pertanto una promettente potenziale alternativa o un potenziale valido supporto al trattamento antibiotico nell’eradicazione delle infezioni MDR.

Tuttavia, molti aspetti richiedono ulteriori approfondimenti.

La terapia fagica polmonare

Nella maggior parte dei casi di infezione polmonare resistente in cui la terapia fagica viene applicata (come terapia o come strumento preventivo) è impiegato un cocktail di batteriofagi formulato per essere inalato sottoforma di aerosol.

La messa a punto di una terapia fagica specifica implica che fagi attivi contro microorganismi quali Staphylococcus aureusEscherichia coliKlebsiella pneumoniae Pseudomonas aeruginosa siano disponibili “on demand”.

Spesso, tuttavia, risulta complesso coltivare popolazioni di fagi eterogenei e stabili, in particolare si viene a creare una scarsità di fagi in grado di infettare obiettivi strategici come l’MRSA.

Essendo la sperimentazione in fase ancora precoce, gli unici dati disponibili su questo strumento terapeutico provengono dall’uso compassionevole nel trattamento delle infezioni batteriche polmonari da S. aureusP. aeruginosa o E. coli MDR o pan-drug-resistant in cui tutte le opzioni terapeutiche erano esaurite. In questi setting, i cocktail di fagi hanno mostrato un profilo di sicurezza buono.

La terapia fagica viene anche applicata in gruppi di pazienti affetti da fibrosi cistica, bronchiectasie, discinesia ciliare primaria, BPCO e nel caso di tubercolosi MDR.

Lo stato dell’arte della terapia fagica

Una review recentemente pubblicata sulla rivista Current Opinion in Pulmonary Medicine ha preso in esame i recenti passi avanti compiuti nell’uso dei batteriofagi per il trattamento delle infezioni polmonari, in particolare causate da Gram-negativi resistenti, inclusi Pseudomonas aeruginosa, Acinetobacter baumannii, Klebsiella pneumoniae e Burkholderia spp.

La rassegna fa il punto della situazione.

Malgrado i dati piuttosto promettenti in termini di efficacia e sicurezza, sussistono implicazioni etiche e pratiche che limitano il possibile sviluppo della terapia fagica.

In primo luogo, tutte le fasi della procedura di coltura e selezione dei microorganismi devono rispettare standard molto elevati, per prevenire possibili ripercussioni sulla sicurezza del prodotto.

Risulta anche piuttosto complicato ottenere una popolazione fagica dotata delle caratteristiche necessarie per comporre il cocktail terapeutico, che deve essere formulato secondo criteri piuttosto rigidi e specifici.

Poiché la sperimentazione è ancora in fase precocissima, anche nella prospettiva di ottenere dati che confermino le aspettative i tempi di approvazione sarebbero lunghissimi. Certamente non coerenti con l’effettivo bisogno terapeutico.

Nella pubblicazione, i ricercatori sottolineano come questo trattamento potrebbe avere impatto significativo soprattutto su gruppi specifici di pazienti, come quelli affetti da fibrosi cistica.