Sanofi sta affrontando una sfida di credibilità. Giovedì scorso la società francese ha annunciato l’intenzione volersi separare dalla divisione Consumer Health, che comprende integratori alimentari e prodotti venduti senza prescrizione medica presente in 150 Paesi con oltre 11mila dipendenti. Dopo l’annuncio ha lasciato sul terreno della Borsa francese oltre 21 miliardi di dollari (-18%), un effetto prevedibile e previsto, ma ora la vera sfida è quella sul lungo periodo.
L’operazione, che non avverrà prima di un anno, fa parte di una strategia mirata a concentrarsi su medicinali e vaccini innovativi e prevede un forte aumento degli investimenti per lo sviluppo di nuovi farmaci e risparmi fino a 2 miliardi di euro tra il 2024 e la fine del 2025. Sanofi “sta valutando diversi scenari” per lo scorporo ma il più probabile sembra la creazione di un’entità quotata, con sede in Francia.
Una scelta ragionevole
Con questa mossa l’azienda mira a valorizzare il suo core business ma perde una fonte sicura e costante di flusso di cassa e, con la spinta a spendere di più nello sviluppo di farmaci per l’immunologia e l’infiammazione, è costretta ad abbandonare l’obiettivo di profitto del 2025 (che prevedeva un margine operativo del 32%) per favorire la “redditività a lungo termine”.
Secondo gli analisti si tratta di una decisione “strategicamente ragionevole” ma i tagli alle ambizioni di guadagno sono “piuttosto sostanziali” e non potevano essere apprezzati dal mercato. Anche perché si abbinano ai deludenti risultati della trimestrale: vendite per 11,96 miliardi di euro contro i 12,06 miliardi previsti, pari a una riduzione del 4,1% su base storica (ma un incremento del 3,2% se non considerassimo le differenze di cambio nelle valute). Escludendo gli elementi straordinari, anche l’utile netto è in flessione dell’11% a 3,2 miliardi di euro e il free cash flow è calato del 31% a 1,85 miliardi.
Portfolio in trasformazione
Per queste difficoltà Sanofi ha chiamato in causa anche l’entrata in commercio – a marzo di quest’anno – di diverse versione generiche del suo farmaco Aubagio per la sclerosi multipla recidivante. Aubagio nel 2021 fatturava quasi 2 miliardi di euro ed era il quarto best-selling di Sanofi. Comunque, nel frattempo un altro farmaco del colosso francese si sta rivelando un blockbuster: Dupixent, per l’eczema atopico è passato dai 5 miliardi di euro del 2021 a 9,3 miliardi nel 2022 e, secondo l’ultima nota del produttore, dovrebbe superare quota 10 miliardi nel 2023.
Il CEO Paul Hudson ha dichiarato che l’attività dei farmaci innovativi è migliorata a sufficienza per poter reggere la situazione finanziaria senza la stampella dei flussi di cassa dei prodotti di consumo ma gli analisti di Barclays prevedono che l’attenzione degli investitori si concentrerà soprattutto “sulla cancellazione degli obiettivi di guadagno a breve termine, attenuando la visione favorevole del piano per l’unità consumer”. Al momento la situazione sembra dar loro ragione: in poche ore la big Pharma è tornata alle quotazioni di un anno fa.
Un test per Sanofi
La scommessa adesso si gioca tutta sulla credibilità di Sanofi che deve dimostrare il valore delle sue scelte. La decisione di Sanofi di separarsi dal settore consumer-healthcare e di aumentare gli investimenti in R&D è una mossa strategica che potrebbe portare a innovazioni future e a una crescita a lungo termine ma tradizionalmente la società francese ha mostrato una produttività limitata nel campo della ricerca e sviluppo, ed è ancora incerto se l’attuale leadership sia in grado di cambiare questa percezione per convincere gli investitori a supportare questa strategia.
La situazione potrebbe evolvere con l’arrivo sul mercato di alcuni trattamenti significativi, acquisiti attraverso strategie mirate. Gli analisti sottolineano che il lancio di un nuovo trattamento per il diabete di tipo 1, ottenuto attraverso l’acquisizione di Provention Bio per 2,9 miliardi di dollari, insieme a quello per l’emofilia A denominato Altuviiio e alla terapia Beyfortus basata su anticorpi per prevenire una comune infezione respiratoria nei neonati, rappresenta un significativo test per le competenze di marketing dell’azienda. Per ora Sanofi prevede vendite combinate per 400 milioni di euro.
“Sono opportunità troppo buone per lasciarsele sfuggire”.
Paul Hudson, Ceo di Sanofi
Too big to miss
Un’altra mossa di Sanofi in tema di malattie infiammatorie croniche è stata la partnership firmata all’inizio di ottobre con Teva per sviluppare e commercializzare una nuova terapia anti-TL1A per il trattamento delle malattie infiammatorie intestinali (IBD), come la colite ulcerosa e la malattia di Crohn. La collaborazione, valutata fino a 1,5 miliardi di dollari, prevede che Sanofi paghi a Teva 500 milioni di dollari per unirsi alla competizione su questa classe di farmaci che vede già presenti giganti come Roche e Merck & Co. Quest’ultima ha recentemente messo sul tavolo 10,8 miliardi di dollari per assicurarsi Prometheus Biosciences e accedere a un anticorpo che mira al fattore di necrosi tumorale (TNF)-like ligand 1A (TL1A).
Hudson ha affermato che la promozione di sperimentazioni in fase avanzata di nuovi farmaci immunologici come il frexalimab (per il trattamento di diverse malattie autoimmuni e infiammatorie, inclusa la sclerosi multipla) e l’amlitelimab (un potenziale trattamento di prima classe per una serie di malattie mediate dal sistema immunitario e disturbi infiammatori, inclusa la dermatite atopica moderata-grave e l’asma) creerebbe “un valore enorme” che controbilancerebbe l’aumento della spesa per gli investimenti.