Far esplodere la pace attraverso una Dichiarazione di Interdipendenza

Il superamento dei conflitti e la ricerca della pace può avvenire attraverso una sorta di Dichiarazione di Interdipendenza dove predominano la cooperazione e le connessioni sociali

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Il conflitto è presente a ogni livello della società. Ci sono conflitti sul luogo di lavoro tra manager e sottoposti, ci sono conflitti tra medici e infermieri, ci sono conflitti tra professioni differenti. Poi purtroppo vi sono conflitti anche tra Stati. Oggi ne siamo testimoni diretti. Siamo sgomenti, ma soprattutto sorpresi. Non eravamo più abituati a questa possibilità: ci avevano fatto credere che stessimo vivendo nella Fine della Storia.

I conflitti interpersonali appaiono inevitabili e fino a un certo grado possono essere gestiti e, anzi, possono essere anche salutari: un franco scambio di opinioni, argomentazioni e, se c’è la volontà, superamento e sintesi finale. I conflitti tra gli Stati, anzi chiamiamole con il loro nome: le guerre, sono inaccettabili. Qui le persone che prendono decisioni hanno studiato, sono abituate a dialogare. Si tratta di persone che sanno che ci saranno conseguenze disastrose e nonostante questo decidono di agire per causare il più alto numero di morti alla controparte.

Il primo passo verso la cooperazione

Dunque, abbiamo appurato che per conflitto si può intendere una situazione posta lungo un continuum che va dalla discussione franca e accesa fino alla distruzione reciproca (ma più spesso alla distruzione di chi non ha deciso per il conflitto). Nella sua versione positiva, il conflitto può essere il primo passo verso la cooperazione.

Molti autori vedono queste due situazioni come contrapposte, e di fatto lo sono, ma possono anche presentarsi lungo una successione temporale, indubbiamente evolutiva. La cooperazione fiorisce laddove due attori, o più, si accorgono che facendo qualcosa insieme ottengono molto di più di quanto non avrebbero se procedessero separati. In Italia, abbiamo qualcosa di molto peculiare, come raccontano coloro che si occupano di economia solidale, abbiamo l’impresa sociale. Cooperative che lavorano per sostenere persone in difficoltà, spesso malate, collaborando con lo Stato e agendo sul mercato. Entrano nel mercato e fanno impresa. Un esempio di cooperazione molto positiva.

L’importanza del riconoscimento dell’identità dell’altro

Il riconoscimento dell’identità dell’Altro è fondamentale per ridurre le possibilità del conflitto. Possiamo fare due esempi. Il primo esempio è quello dei campi di concentramento nazisti. Come ci ricorda il filosofo sociale Axel Honneth, la prima cosa che accadeva agli ebrei (e agli zingari, agli omosessuali, agli oppositori politici) era la privazione della loro identità. Appena entravano, veniva tolto loro il nome e divenivano un numero tatuato sul braccio.

L’altro esempio, meno estremo ma comunque drammatico, viene fatto dal sociologo Erving Goffman. In un suo libro sulle istituzioni totali, Goffman ricordava che negli anni Cinquanta, nei manicomi americani, i pazienti erano delle “non-persone“: i sanitari parlavano di loro come se non fossero presenti. In sintonia, si riveda l’inossidabile film Qualcuno volò sul nido del cuculo. Ma questi due esempi trascendono addirittura il conflitto perché siamo all’annichilimento dell’Altro.

Il conflitto sociale

Invece, nell’ambito della sociologia della salute possiamo fare riferimento al conflitto sociale. La causa principale del conflitto sociale è la diseguaglianza. In una società nella quale le classi sociali sono distanti tra loro e dove vi è scarsa mobilità sociale si generano invidia, violenza e cultura della sopraffazione.

In questa società domina il capitale sociale bonding(quello del clan) e langue il capitale sociale bridging(la possibilità che interagiscano persone di classi sociali differenti).

Manca inoltre una componente fondamentale della società che è la fiducia. Una mancanza che genera costi sociali, ma anche economici, enormi. Senza fiducia bisogna proteggersi  in tutte le dimensioni: fisiche e giuridiche. Se ho una bicicletta devo comprare due lucchetti, se ho un’azienda devo tutelare ogni scambio con un contratto, nella mia casa devo mettere le grate e le telecamere.

In queste società anche la salute ne risente. Sono più diffusi stili di vita malsani e comportamenti violenti. Anche le diseguaglianze sanitarie sono amplificate, con i fattori socio-economici che pesano in modo sproporzionato sui poveri e che li conducono a pessime condizioni di salute molto più che nelle società maggiormente egualitarie. E l’accesso alle cure è solo formale.

Non vi è una cura che possa guarirci dal conflitto e, se ci guardiamo intorno, sembra che la società sia un corpo che non riesce a disfarsi di questa malattia cronica. Un sistema che non apprende dai propri errori. Forse l’unica pallottola magica che potrebbe farci rinsavire è la consapevolezza della nostra interdipendenza. Per raggiungerla servono più connessioni, più comunicazioni e più relazioni.

La Dichiarazione di Interdipendenza

Il sociologo-medico Nicholas Christakis dell’Università di Yale ha preso molto sul serio la forza delle connessioni sociali e ha dimostrato come le abitudini si trasmettano attraverso le relazioni di conoscenza, amicizia e parentela. Ad esempio, ha mostrato che se un amico di un nostro amico, una persona che noi neppure conosciamo, smette di fumare, anche noi abbiamo il 25% di possibilità di smettere (il nostro amico il 50%). Inoltre, attraverso le reti sociali si diffondono anche i cambiamenti del peso corporeo (diventare più magri o più grassi) e addirittura i divorzi!

Nel suo libro, intitolato coerentemente Connected: the amazing power of social network and how they shape our life (che si può tradurre con “Connessi: lo stupefacente potere delle reti sociali e come danno forma alla nostra vita”), Christakis alla fine si domanda come utilizzare a vantaggio dell’umanità le connessioni. E risponde che ci si deve impegnare a diffondere il bene e la gentilezza, perché lungo le connessioni queste dimensioni si amplificano e generano valore. Nella Dichiarazione di Interdipendenza le connessioni sociali debbono avere il posto d’onore. Insomma, riprendendo un’altra dichiarazione, la Dichiarazione di Siviglia: “La stessa specie che ha inventato la guerra, ora può inventare la pace”.