Verso l’equità di genere

Provare a scrivere un articolo sulle gender disparity/opportunity è abbastanza sconfortante dato il rischio di cadere in una pletora di luoghi comuni. D’altra parte, il luogo comune è appunto una sorta di paesaggio familiare, e come sappiamo tutti, spesso sono proprio i paesaggi familiari che ci sfuggono nelle loro particolarità e peculiarità. Così come ogni tanto è doveroso fare una passeggiata curiosa per la propria città, allo stesso modo riflettere su luoghi comuni è occasione di vedere cose familiari sotto diverse prospettive

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Verso l'equità di genere in farmaceutica

Provare a scrivere un articolo sull’equità di genere è abbastanza sconfortante dato il rischio di cadere in una pletora di luoghi comuni. D’altra parte, il luogo comune è appunto una sorta di paesaggio familiare. E come sappiamo tutti, spesso sono proprio i paesaggi familiari che ci sfuggono nelle loro particolarità e peculiarità. Così come ogni tanto è doveroso fare una passeggiata curiosa per la propria città, allo stesso modo riflettere su luoghi comuni è occasione di vedere cose familiari sotto diverse prospettive.

Da un punto di vista accademico, io frequento le Facoltà (ora Dipartimento) di Farmacia dal 1992, essendo ora il Direttore di uno di questi dipartimenti. I corsi di laurea in Farmacia e CTF sono tradizionalmente, e sempre più di frequente, approdo per un numero maggiore di studentesse rispetto agli studenti. Per lo meno così appare dal mio punto di vista aneddotico. Peraltro questo specchia una tendenza generale di maggior accesso di ragazze all’istruzione universitaria. L’interpretazione maggiormente condivisa di questo dato è nota, ed è legata a una maggior difficoltà di accesso al mondo del lavoro per le ragazze.

Disparità di genere all’università: le statistiche di AlmaLaurea

AlmaLaurea fornisce utili statistiche per identificare i trend relativi al percorso di studio e al destino dei laureati. Attualmente le donne rappresentano circa il 70% dei laureati, ogni anno, in Farmacia e CTF. A fronte di un voto medio di laurea leggermente più alto e di un analogo tasso di occupazione a uno, tre o cinque  anni, lo stipendio medio è più alto per i laureati maschi che per le femmine.

La situazione di impiego universitario rispecchia purtroppo la situazione vista nei corsi di studio. È vero che numero di ricercatrici tende ad aumentare progressivamente da diversi anni. D’altra parte, il numero di posizioni apicali raggiunte continua a mostrare (pur con eccezioni) disparità di genere non indifferenti. Ancora una volta, analisi sociologiche ed economiche su questo processo si sprecano e non si vuole ripeterle qui. È forse più interessante e costruttivo discutere sulle iniziative che nel mondo della ricerca farmaceutica – accademica e industriale – si sono prese e si stanno prendendo per ritrovare un’equità di genere nelle posizioni apicali. Dando dunque opportunità di visibilità e carriera a ricercatori/trici che potrebbero averle viste rallentate a causa di pregiudizi di genere o di difficoltà socio-economiche relative alla gender disparity.

I consessi apicali, accademici e delle società scientifiche, sono caratterizzati da notevoli disparità di genere, che vengono affrontate in maniera diversa. L’allocazione delle cosiddette ‘quote’, soprattutto per posizioni di elevata qualificazione professionale, spesso si scontra con una diffidenza, probabilmente non del tutto immotivata, basata sulla contrapposizione con criteri puramente meritocratici. Tuttavia, occorre pur notare come nessun indicatore rappresenti una situazione rispecchiabile nelle composizioni dei consessi direttivi o nell’accesso a posizioni di responsabilità/prestigio e quindi desumere l’esistenza di un bias di genere diventa quasi automatico (occorre, naturalmente, osservare che non è il solo bias riscontrabile).

Iniziative per promuovere l’equità di genere

Al fine di bilanciare questi squilibri, molte società scientifiche, negli ultimi anni, hanno promosso attività relativamente diverse tra loro. La American Chemical Society, attraverso la Divison of medicinal chemistry e il The Journal of Medicinal Chemistry ha promosso l’iniziativa ‘Women in medicinal chemistry’ con numeri speciali della rivista (con il più alto impact factor nella disciplina) contenenti solo articoli pubblicati da ricercatrici. Analogamente, la European federation for medicinal chemistry, nei suoi congressi, affida a scienziate di elevato livello l’organizzazione di specifiche sessioni (non gender related).

Ancora, si diffondono sempre più, in molti ambienti accademici, iniziative, ultimamente ancora più facilitate dalla diffusione della modalità remota (un esempio fra tutti è “Euchems global women breakfast”, ma ce ne sono moltissimi) che sono forum di discussione scientifica e professionale riservati alle scienziate e ricercatrici. E ancora, iniziative quali il “Women leaders in pharma”, oppure ancora premi di laurea o di ricerca specificatamente riservati a giovani ricercatrici.

Qual è il senso di tale iniziative, e sono iniziative che dovrebbero o potrebbero esser imitate in ambienti aziendali o accademici?

Risposte semplici a problemi complessi naturalmente non esistono. Paradossalmente (ma fino a un certo punto) potremo dire che il problema sarà risolto quando non si porrà più la domanda. Tuttavia, in maniera più costruttiva, il senso di tale iniziative, a giudizio di chi scrive, non è tanto quello di ‘offrire visibilità’ che è ovviamente un modo (apparentemente) sofisticato di togliere visibilità istituendo le riserve di quota. Quanto piuttosto quello di accrescere il senso di self-confidence e creare un networking specifico (non di contro-lobbying ma di conoscenza reciproca) che possa fungere da volano per le successive iniziative, eventi, promozioni.

In un certo senso questo è un approccio che è stato utilizzato con un certo successo per superare diffidenze e disparità di etnia in contesti professionali elevati. Rappresenta dunque un modello da implementare in molti contesti, anche di piccole dimensioni.

Equità di genere tra realtà e narrazione

Infine, ma non meno importante, si dovrebbe cominciare a modificare una narrazione, che non è esente da elementi di un certo romanticismo, secondo cui il mestiere del ricercatore è un mestiere che richiede dedizione temporale ed emotiva totale. Questo tipo di narrazione – pur in buona fede – tende inevitabilmente a danneggiare chi, fisiologicamente, ha bisogno di periodi di interruzione. Nonché coloro a cui, culturalmente, è demandata la crescita dei figli.

Oramai, da molto tempo, è evidente che le cose sono tutte compatibili. Anzi, una visione olistica del proprio tempo e dei propri interessi non solo è compatibile, ma addirittura promuove la creatività e la produttività sul posto di lavoro. Le aziende e le istituzioni, anche di ricerca, che favoriscono e incentivano tale atteggiamento  inclusivo dovrebbero – come per fortuna capita sempre più spesso – esser apprezzate e valorizzate per questo. La consapevolezza e l’inclusione sono sicuramente più efficaci che le quote di genere.

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