L’organizzazione della trasformazione digitale tra pandemia e ripresa

La pandemia e la tanto attesa ripresa stanno influenzando la trasformazione digitale in diversi modi. Gli Osservatori Digital Innovation della School of Managment del Politecnico di Milano provano a fare il punto tra investimenti, criticità e sistemi organizzativi

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Ci siamo dentro: la trasformazione digitale riguarda ormai tutti i settori e tutte le aziende. L’emergenza causata da COVID-19 ha però influito pesantemente su questo importante passaggio. La pandemia ha agito come una sorta di spartiacque, demarcando un prima e un dopo. Gli Osservatori Digital Innovation della School of Managment del Politecnico di Milano hanno quindi deciso di analizzare la situazione con un’indagine trasversale.

Pandemia e trasformazione digitale

La situazione emergenziale sembra aver avuto un ruolo decisamente positivo sulla trasformazione digitale per la maggior parte delle più di 160 grandi imprese e 500 PMI italiane coinvolte nell’indagine. Urgenza di innovare, consapevolezza da parte dei vertici aziendali e maggiore collaborazione tra funzioni sono le conseguenze positive della pandemia segnalate rispettivamente dal 78%, 68% e 63% delle aziende coinvolte. La condizione di emergenza ha infatti permesso dei cambiamenti che sembravano impossibili. Nascondendosi dietro a falsi alibi, infatti, spesso la tendenza delle aziende era quella di rimandare l’implementazione di tecnologie che nell’arco di pochi mesi sono invece state utilizzate con successo.

Tuttavia a volte sembra esserci la sensazione che, una volta conclusasi l’emergenza, ci possa essere un ritorno a vecchie e obsolete abitudini. Il numero di aziende convinte che le innovazioni digitali del periodo pandemico possano diventare strutturali sono infatti meno di quelle che dichiarano di aver avuto ricadute positive.

Investimenti

A fronte inoltre di un’accelerazione nel periodo pandemico dei progetti di digitalizzazione nel 66% delle grandi imprese, nelle PMI ha predominato una sostanziale immobilità. Il 60% di loro ha infatti dichiarato di non aver avuto impatti sul budget dedicato all’innovazione digitale in questo periodo. Nonostante ciò la stima della domanda di digitalizzazione per il 2022 elaborata dagli Osservatori e illustrata da Mariano Corso, responsabile scientifico della Digital Transformation Academy, è di un deciso e diffuso aumento.

Gli investimenti nel digitale delle grandi imprese verranno effettuati soprattutto in ambito di information security, raccolta e analisi di dati e sistemi gestionali. In secondo piano invece saranno quelli legati ai sistemi di interazione con i clienti e al cloud. A scendere infine saranno gli investimenti più strettamente connessi all’emergenza e cioè quelli in smart working e e-commerce.

Sempre l’information security attrarrà gli investimenti nel digitale delle PMI, insieme alla trasformazione in industria 4.0 e al cloud. A seguire vengono i sistemi di interazione con i clienti e il digital marketing. Gli ambiti in cui invece si investirà meno saranno smart working e logistica.

Criticità e disinformazione

Cosa interferisce allora con una piena integrazione del digitale con i sistemi aziendali? Corso continua esponendo il parere delle aziende. Il 36% indica il problema sempre attuale della mancanza di risorse economiche, mentre il 38% la mancanza di tempo da sottrarre ad altri ambiti di lavoro. Ma anche il reperimento delle competenze necessarie a comprendere i meccanismi sempre più complessi del digitale è un fattore importante, indicato dal 37% delle aziende intervistate.

Il 42% delle imprese lamenta inoltre una carenza di supporto da parte delle istituzioni. Un punto controverso, in quanto molti aiuti messi a disposizione delle aziende per favorire la transizione digitale spesso non sono stati sfruttati. Come il voucher per consulenza in innovazione messo a disposizione dal governo ma utilizzato solo dal 7% delle imprese intervistate. A volte infatti lo scetticismo e la disinformazione portano a perdere occasioni importanti. Ad esempio quelle legate al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR).

Il PNRR è infatti un progetto che prevede diversi metodi per incentivare la trasformazione digitale nelle aziende. Ma anche nelle Pubbliche Amministrazioni. Come infatti spiega Mauro Minenna, Capo Dipartimento per la Trasformazione Digitale della Presidenza del Consiglio dei Ministri, l’innovazione nel settore pubblico non deve lasciare indifferente quello privato, che può invece trarne giovamento.

Organizzare per innovare

Non è però sufficiente essere pronti a innovare e avere a disposizione un buon budget, come spiega Alessandra Luksch, direttrice dell’Osservatorio Startup Intelligence e della Digital Transformation Academy. Visto che il rischio delle operazioni di trasformazione digitale è alto, serve anche una buona organizzazione. Le imprese infatti si trovano a dover entrare in un mondo nuovo, con dinamiche molto diverse da quelle a cui sono abituate.

Il 39% delle grandi imprese intervistate tende quindi ad affidare la gestione della digitalizzazione a una figura o una funzione preposta. Nel 29% dei casi, invece, viene coinvolto un team di progetto composito. Il 10% delle aziende preferisce puntare su un comitato interfunzionale, mentre il 18% affronta la sfida come qualcosa di occasionale, da gestire di volta in volta. Solo il 3% delle grandi imprese è invece tanto avanzato dal punto di vista digitale da averne sdoganato la cultura e da poter quindi avere un’innovazione diffusa.

Nelle PMI la situazione è mediamente meno strutturata, con il 76% delle aziende che preferisce affrontare la questione in modo occasionale. Poco utilizzate sono infatti le soluzioni del team di progetto o l’individuazione di una figura o di una funzione preposta, rispettivamente indicate dal 6% e dal 18% delle aziende coinvolte.

In generale comunque l’innovation manager o una funzione dedicata sono soluzioni sempre più presenti e importanti nelle imprese. Sempre più frequente è infatti la tendenza a farle riportare direttamente al vertice aziendale. Questo favorisce anche una maggiore diffusione della cultura dell’innovazione nelle varie funzioni. Diffusione facilitata anche da un ruolo piuttosto recente. Quello degli innovation ambassadors, figure prestate dalle funzioni business con l’intento di connettere le esigenze di innovazione con quelle della direzione aziendale.

Criticità

Anche quando si riesce a trovare un buon modello organizzativo, però, le criticità non mancano. Luksch continua quindi a illustrare i risultati del sondaggio con le quattro maggiori problematiche riscontrate dalle aziende partecipanti. Per il 61% di loro un aspetto complesso è l’integrazione dell’innovazione con gli obiettivi strategici dell’impresa, passaggio importante per rendere la trasformazione coerente e credibile. Il 45% evidenzia poi una difficoltà nello scovare e ingaggiare gli innovatori all’interno delle varie funzioni aziendali.

Al terzo posto delle criticità si posiziona invece l’integrazione tra innovazione e business, indicata dal 42% delle aziende. Questo è un punto fondamentale, necessario per superare l’anello debole del passaggio in produzione dei progetti innovativi, che rischiano di incagliarsi proprio al momento dell’attuazione. In ultimo, il 35% delle aziende ha indicato come problematica la creazione di un ecosistema esterno collaborativo che possa amplificare la capacità di innovazione.

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