Il mese di luglio ospita tradizionalmente l’assemblea annuale di Farmindustria. Un appuntamento, quello di quest’anno, che ha visto un passaggio di testimone importante: dopo undici anni, Massimo Scaccabarozzi lascia la presidenza dell’Associazione a Marcello Cattani che, durante l’assemblea pubblica, traccia un quadro articolato del comparto farmaceutico in un momento particolarmente delicato di cambiamento degli scenari geopolitici e geoeconomici mondiali, con la consapevolezza – dice Cattani – che non ci sarà un ritorno allo status quo ante.
Molti gli spunti di riflessione anche negli interventi delle altre personalità che si sono alternate sul palco. L’invito è quello di riascoltarli nella registrazione della diretta al link
Ma veniamo a quello che è il file rouge di questo numero di MakingLife e di cui si è ovviamente discusso anche durante l’assemblea di Farmindustria. Tra i temi in primo piano non poteva infatti mancare quello della globalizzazione, ovvero del nuovo concetto di globalizzazione, e delle ricadute che questo ha sul mondo produttivo: «Nel nostro settore – afferma Cattani – le tensioni sulle filiere e le riflessioni su reshoring, nearshoring e friendshoring assumono un ruolo determinante. Il rischio, in questo scomporsi e ricomporsi della realtà globale, è che le linee di frattura geopolitiche finiscano per intersecare gli scambi internazionali, rendendo così più complesso l’approvvigionamento di materie prime e di medicinali, con rischi di carenze che dobbiamo assolutamente scongiurare». Maurizio Marchesini, vicepresidente di Confindustria (oltre che presidente di Marchesini Group), sempre dal palco di Farmindustria, estende il concetto a tutto il mondo produttivo, ribadendo che «la globalizzazione non è finita: è soltanto cambiato l’approccio. È finita quella che potremmo definire globalizzazione acritica. Ma i rapporti sono talmente alti e talmente intrecciati tra i Paesi che la globalizzazione non finirà». E aggiunge che «non tutte le dipendenze commerciali sono rischiose. Lo sono quelle critiche, ovvero quelle per le quali non è possibile trovare altre forme di approvvigionamento o nei casi in cui la produzione interna non possa sopperire alle carenze». «Il centro studi di Confindustria – continua Marchesini – comunica risultati poco confortanti: il peso delle dipendenze Cristiana Bernini 6 critiche dell’Unione europea è cresciuto nel tempo.
Se nel 2003 potevamo considerare critico l’11,5% dell’import, nel 2020 questo è diventato il 20% e la brutta notizia è che quasi il 50% dell’import che l’Europa ha dalla Cina è critico. Anche la Cina ha aumentato la propria dipendenza critica ma purtroppo non dall’Europa; infatti, la quota di importazione critica cinese dall’Europa non supera il 3%. E questo è un dato che fa molto pensare». Il vicepresidente di Confindustria fa sapere che per avere una visione più completa e per capire se alcune di queste dipendenze critiche sono anche strategicamente bloccanti sarebbe necessario un dettaglio merceologico maggiore, cui Confindustria sta lavorando, ma al momento non ancora disponibile. Dai dati attualmente elaborati emerge che il settore farmaceutico naviga in controtendenza ma, dice Marchesini, «evidentemente dall’esame sono state escluse le materie prime e stiamo parlando solo di prodotti finiti».
Per comprendere ciò che sta accadendo bisogna considerare come sono cambiati i flussi commerciali che ruotano attorno alle tre grandi piattaforme: asiatica – e cinese in particolare – statunitense ed europea, con la piattaforma orientale che sta cercando di fare a meno delle altre due e persegue una politica industriale volta al disaccoppiamento dall’occidente e quella statunitense che tenta di ridurre la dipendenza dall’import cinese. «In questo scenario – afferma Marchesini – l’Unione europea prosegue un approccio minimalista, favorevole alla ricerca e sviluppo, con l’intento di non perdere completamente l’appeal dei propri prodotti. Il risultato che ne deriva è una crescita continua della dipendenza europea dalla Cina, mentre quest’ultima sta allentando i propri rapporti con le altre economie sviluppate, ma in compenso stringe maggiori integrazioni con quelle emergenti, soprattutto per quanto riguarda le materie prime».
Un quadro globale difficile, tratteggiato anche da Cattani, che ricorda come nel pharma l’Europa sia una player di primo piano per quanto concerne l’accesso a farmaci e vaccini. «Come cittadini europei – afferma il neoeletto presidente – non possiamo permetterci di perdere terreno a favore di aree del mondo già affermate come Stati Uniti e Cina o di non considerare il ruolo di realtà emergenti come gli Emirati Arabi che lavorano velocemente per divenire un hub mondiale in Medio Oriente e un ponte verso l’Asia». I dati ricordati da Cattani fanno sicuramente riflettere: «Solamente il 22% dei nuovi trattamenti globali proviene dall’Europa mentre quasi la metà proviene dagli Stati Uniti. Il 74% dei principi attivi di uso più consolidato in Europa dipende direttamente o indirettamente da produzioni primarie in Cina o in India. E la Cina sta recuperando il gap per ricerca e innovazione tecnologica con una velocità impressionante. Nell’ultimo decennio gli investimenti in Europa sono cresciuti del 4% all’anno, negli USA dell’8%, in Cina del 16% e negli ultimi cinque anni in Cina sono stati autorizzati praticamente tanti prodotti quanti nei Big europei». Sono sfide dinnanzi alle quali Europa e Italia non possono presentarsi impreparate. «Ci sono dei nodi strategici – ribadisce Marchesini – che vanno affrontati. Certamente non possiamo dominare le trasformazioni mondiali, però possiamo studiarle, conoscerle, averne consapevolezza, in modo da poterle affrontare in maniera corretta. La nostra possibilità come Paese e come Europa è quella di continuare a fare quello che sappiamo fare bene, fare le cose complesse e difficili, le cose che altri Paesi non sanno fare e in questo modo mantenere la nostra posizione». E conclude con una nota di fiducia: «L’imprenditore, il manager è ottimista per contratto. Se non lo fosse non farebbe il manager, non farebbe l’imprenditore. Il nostro è un grande Paese e io credo che come sempre anche questa volta ce la faremo».